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Sesso e Divino: alla porta del bacio

di Emilio Michele Fairendelli - 06/08/2009

cujus carnem gemèntem

contristàtam et doléntem

pertransìvit glàdius

dallo Stabat Mater di Jacopone da Todi, sec XIII

 

Gian Lorenzo Bernini, Transverberazione del cuore di Santa Teresa, 1647-1652

Gian Lorenzo Bernini, Transverberazione del cuore di Santa Teresa, 1647-1652

Dagli inizi della psicoanalisi a Georges Bataille, nella violenta temperie delle nuove scienze semiologiche, del  postmoderno e della decostruzione  la riflessione sull’erotismo  ha fissato alcuni punti fondamentali:

-         l’irriducibilità  della dimensione erotica a qualunque identità univoca: biologica, animale, naturale;

-         la sua unità con quanto di sacro e di unico, di indicibile, vi è nell’uomo;

-         la sua appartenenza certa alla dimensione spirituale, in virtù dell’ analogia – comunque l’esperienza sessuale venga agita, anche nei casi più poveri e distorti – con l’esperienza mistica;

-         la sua capacità di veicolare e rendere abitabili, coscientemente sperimentabili le coordinate principali del nostro essere nel mondo: forza vitale, energia, potere, morte.

Su questo, alcuni elementi:

Eros e Thanatos

 

Nella visione freudiana la lotta tra Eros e Thanatos costituisce la forma più profonda dell’ambivalenza, dell’angoscia e del senso di colpa nell’uomo.

La pulsione di morte viene  individuata come pulsione verso l’inorganico, il luogo dove ogni angoscia ha termine.

Per Freud questa pulsione è agita da un demone che vuole l’abolizione della vita, il ritorno allo stato inorganico, ancora prima di ogni irretimento individuale: si tratta della volontà di ripristinare uno stato precedente,  quella materia inanimata che esisteva, incosciente, prima che agli inizi del tempo si operasse lo slittamento verso la vita.

La volontà di un ritorno, frutto dell’angoscia, o di una gravità che agisca sull’essere.

Contrapporre Eros e Thanatos è possibile se l’altra pulsione, la pulsione erotica, è individuata come una pulsione coesiva, costruttiva, “con la tendenza a conservare la sostanza  vivente legandola in unità sempre più vaste”.

La pulsione erotica non è  invece che una pulsione di morte differentemente declinata.

La meta non è più la pace dell’inorganico, ma una morte che possa – come essa sola può – condurre ad una ineffabile supercoscienza:  la carne e i cuori dei due amanti  verso quella unità impossibile di cui nulla sanno ma che sopra ogni altra cosa desiderano, l’approdo, altrettanto ignoto, del mistico nel mare di Luce di Dio.

In Eros e Thanatos come in tutta la sua opera Freud fissa statuti del mondo mentale e vitale, mondi della coscienza umana ben distinti dal campo di azione dello spirituale, dall’Anima.

Il funzionamento di questi statuti, il loro meccanismo può essere analizzato, chiarito, gli effetti terapeutici – la libertà dell’uomo dalla coazione – all’interno dello spazio di quei due mondi  raggiunti, ma la verità ultima non può essere colta.

In cosa differiscono vita e morte?

Con la morte il corpo fisico è in realtà divorato dalla vita: l’effervescenza della putrefazione, lo sciogliersi dei visceri,  il ritorno degli elementi all’aria e alla terra verso un nuovo germinare.

Per chi sapesse vedere, anche le fibre sottili  dell’essere umano, i filamenti luminosi del suo mentale e del suo vitale si sfanno e, dal piano che è loro proprio, vanno a ricostituirsi in nuova vibrazione, ad appartenere a nuovi esseri.

La mancanza assoluta della dimensione della gioia nell’opera freudiana, che sembra ricercare dentro l’uomo come in neri tunnel minerari non è forse dovuta a questa incapacità di intuire compresenze scorgendo solo causalità e coazione, contrapposizioni, non vedendo la totalità, il Canto dell’essere?

Osserviamo la riproduzione per scissione  di una singola cellula.

Essa muove nel suo mare organico.

Poi qualcosa accade.

La cromatina e le proteine condensano oltre una certa soglia, i filamenti cromosomici si attraggono e respingono, duplicano, la membrana esterna si ispessisce preparandosi alla catastrofe.

Poi la cellula, rispondendo ad un comando, in un tempo rapidissimo rispetto al resto dell’intero processo, che dura giorni, forma due globi che muovono in direzione opposta con la loro essenza cromosomica,  riduce il proprio asse centrale a zero: è la scissione.

L’intensità, la voluttà di quel momento di creazione/distruzione anche in un processo così primitivo organicamente è avvertibile dai nostri sensi più superficiali e da quelli  più profondi e rivive ogni volta nella nostra esperienza sessuale.

La cellula madre non esiste più.

Se le fingiamo una coscienza, quel momento le dovrà essere apparso come il collasso del mondo, nel terrore per una morte che sale oscuramente dal proprio sè, dalla propria ricchezza biochimica.

Al suo posto due nuovi esseri, le cellule figlie, continuano a vivere e la loro opera nel mondo.

Alla vera base della biologia, sul terreno dal quale nelle ere sono sorti il corpo e la coscienza dell’uomo è dunque questo il momento più alto, il nostro momento, dove vita e morte si fondono una nell’altra.

In un mio articolo precedente annotavo come per alcune tradizioni esoteriche la Manifestazione in cui esistiamo  sia nata dallo squilibrio, dalla volontà di esteriorizzazione di un embrione. L’apparire, nell’unità dell’embrione generato dal Divino, della coscienza di ciò che è esterno a se stesso, la decisione di rispondere a un comando emanando in quegli spazi incompiuti, vuoti,  la propria Luce ed Intelligenza per formare tutto ciò che diverrà costituisce un atto erotico,  contiene vita e morte come nella scissione cellulare, e, da lì, tutto il nostro destino.

Sesso estremo: la mistica malposta

Per uno stato ordinario di coscienza solo nel sesso le coordinate principali del nostro essere nel mondo – vita, forza, potere, morte – possono essere abitate, sperimentate.

L’accesso a una energia sessuale pura, non trasfusa nella realtà, non degradata per la discesa nei livelli del mentale, del vitale, del fisico, è riservato a chi padroneggi tecniche eccezionali, da quelle tantriche fino alla ritenzione e alla trasmutazione del seme maschile.

La proibizione di ogni attività sessuale ordinaria, regola di tutti gli ashram indiani, ha effetti solo sul sadhaka, solo cioè su chi sia davvero in cammino sulla via dello yoga.

La questione è in quel caso meramente tecnica: la conservazione di energie vitali e fisiche.

La lontananza, l’essere aldifuori di quella che è una dimensione di degrado di qualcosa che discende da una sorgente alta e incorrotta, una dimensione abitata anche nell’esperienza più quotidiana da lampi di animalità e crudeltà non può che aiutare il quietarsi della mente, la facilità della concentrazione nell’atto meditativo, il raffinarsi della nostra sostanza grezza.

Per chi non sia  su questa strada, il sesso rimane un campo in cui noi vogliamo combattere.

Lo vogliamo in modo ardente, per vocazione cosmologica e adamitica, senza requie, forse intuendo una vittoria aldilà di un breve piacere,  del  ripetuto fremere dei nervi.

Le attività delle comunità dedite alle pratiche sadomasochistiche e alle sperimentazioni corporali, il mondo del cosiddetto sesso estremo sono in questo senso estremamente significative.

Il loro simbolo è in verità La transverberazione del cuore di Santa Teresa (*), la scultura di Gian Lorenzo Bernini in cui la Santa, il volto sconvolto in un’estasi di piacere e di dolore, il corpo trasfigurato nella nube di tessuto della veste, una mano e un piede visibili e frementi, vive il momento in cui il dardo dell’Angelo le trafigge il cuore.

Al volto di dolore l’Angelo, la spalla maschia e forte, oppone l’atto del colpire in un sorriso, la sua mano sinistra  apre la veste della Santa per metterne a nudo il cuore, dal cielo cadono violenti raggi di Luce che dichiarano l’essenza spirituale della scena.

La letteratura psicoanalitica ha chiarito nel dettaglio le cause  della pulsione sadomasochistica e dei percorsi di esperienza sessuale correlati (traumi o abusi subiti richiamabili o meno alla coscienza, l’incontro con la violenza  fisica o psichica, con l’abbandono, lesioni chirurgiche, ogni irretimento nella distruttività) e descritto le sue modalità possibili.

Il sadomasochista reagisce a una situazione di angoscia e di rapporto con il proprio vissuto  che risulterebbe altrimenti non sostenibile.

Trattiamo ovviamente di un qualcosa contro l’uomo e la sua libertà, una dipendenza, come dimostra la coazione verso  l’esperienza e la necessità, come per alcool e droghe, di dosi di stimolo crescenti.

I comportamenti sadomasochistici sono per i dizionari medici patologia solo quando impediscono la normale attività di un essere umano, ledono il suo equilibrio sociale e relazionale, quando diventano potenzialmente criminali o lesivi della libertà di altri.

Il praticante potrebbe infatti non senza ragione obiettare, come spesso avviene di fronte al terapeuta con il quale egli discute le proprie inclinazioni, che la normale penetrazione e le sue modalità sono già di per se stesse violente -le si osservi!- e che se il problema è solo di misura  e non concettuale è lo scenario della discussione a dover mutare radicalmente.

Il motto delle comunità BDSM Sano, Sicuro, Consensuale tenta di dichiarare l’esperienza sadomasochistica e di sperimentazione corporale come una pura esperienza di libertà, di porre – come per il simbolo ufficiale delle comunità, una sorta di Tao tripartito, dove le tre aree corrispondono alle  modalità principali della pratica – una base filosofica per il movimento.

Libertà, ma verso dove?

In realtà una cosa è ciò che ci porta, ci costringe  ad un abitare un campo esperienziale – su questo la psicoanalisi ha risposto ad ogni interrogazione – altro è ciò che in questa condizione è sperimentabile, ciò che da questa condizione, e solo da questa,  è possibile vedere.

Come ci ricorda il Baal Shem Tov il pensiero più turpe, più crudele, la condizione più povera ed abbietta ci visitano, ci obbligano a volgerci verso di loro per mostrarsi e per mostrare altro, per non essere dimenticate, per essere redente.

Anche ciò che ci porta verso di loro, ciò che ci costringe a seguirli, per quanto nato da esperienze di violenza e di morte, per quanto processo di degrado e di disfacimento interiore, per quanto coazione,  è parte di questo processo di redenzione.

Allo stesso modo  il vissuto, la devastazione morale di Céline sono le condizioni che lo hanno costretto a una scrittura feroce e delirante nella quale egli, e noi con lui,  può vedere orizzonti umani prima nascosti.

Così il pittore costretto all’assenzio, a una mente, un cuore, un corpo trasformati dal liquido psicotropo può solo da lì dipingere figure e forme capaci di penetrare il senso più profondo della materia.

Cosa dunque è possibile vedere una volta entrati, lo si creda nostro malgrado o per nostra scelta, nel campo del sadomasochismo, delle sperimentazioni corporali, del sesso estremo?

La forza vitale, l’energia del corpo e del sangue, il piacere e il dolore uno come nel volto di Santa Teresa, le identità tra momento mistico e momento erotico, tra carne e spirito, la disperazione di non poter attingere  al secondo percorrendo le vie della prima – da qui il colpo, la ferita, la costrizione, la profanazione, che assomigliano un interrogare – di non poterlo trovare aldilà della prima attraversandola, si mostrano qui in tutta la loro chiarezza.

La sperimentazione sessuale sui corpi, l’applicazione a questi di energia e vibrazioni, nel gioco o nella finzione drammatica, contengono anche un presentimento, una fede, riconoscono alla carne un potere che ancora non sa apparire.

Gli attori diventano Michelangelo che la leggenda vuole, furente, colpire il suo Mosè: “perché non parli?”

Perché la carne non parla? Perché essa, il sangue, lo sperma non mostrano il loro volto, ciò che li rende sacri in quanto viventi, ciò che li muove?

La ricerca del Divino, la sua cifra, non è lontana: il sesso estremo appare oltre ogni irretimento e quando ancora resti  nei confini dell’ umano come una mistica malposta.

Aldilà di tali confini precipitano gli abissi dell’inumanità, della follia senza alcun resto, del crimine.

In stanze di pietra insanguinata forze asuriche ballano una forsennata danza di morte contro l’Essere stesso:  Gilles de Rais, le torture e le stragi di Erszébet Bàthory, le giornate  di Sade.

Il corpo dell’uomo, del giovane, della donna gravida, del nascituro, deve essere annientato, la profanazione non riguarda la sola bellezza ma l’Uomo in quanto unico e tale, in quanto imago Dei, in quanto Tempio, la sua carne: non ne deve restare nulla, solo umide ombre di sangue e linfa a terra, ossa tritate.

Nelle passioni omicide al termine de Le centoventi giornate di Sodoma, elenco infinitamente noioso per un lettore che vorrebbe vedere almeno qualche figura Sade chiarisce esattamente il suo scopo, cosa si debba fare, toccare con il punto più basso della carne lo Spirito e  profanarlo per sempre, più esattamente fermarlo:

 

“(83)…strappa il cuore in petto a una ragazza ancora viva; lo fora, fotte questo buco ancora caldo e pulsante, lo riempie di sperma e rimette il cuore al suo posto, ricuce la ferita…”

Il cielo si oscura e non è più possibile scorgere alcuna stella.

Satana devasta i corpi, profana il sangue e i visceri del suo nemico primo, l’Uomo, in queste fortezze di pietra e ferro.

Fatica inutile, degna di forze avverse  primitive e poco efficienti: aldifuori delle mura del castello  sadiano e di poche decine di vittime e di carnefici l’umanità intera vive, germina, cresce, avanza nella coscienza e nei corpi – non importa con quanta consapevolezza, con quanta compiutezza, con quanta volontà – nel bacio e nella compassione umani, non nella distruzione.

Quanto è dunque più importante ciò che da qui possiamo vedere, nominare e trasformare perché ben saldi nel nostro cuore – come direbbe il Baal Shem Tov – di quanto qui avvenga di innominabile, di mortifero, di definitivo.

 

La porta del bacio

 

Costantin Brancusi alzò nel 1938, nei giardini pubblici della cittadina di Targu Jiu, in Romania, la porta del bacio.

Su ogni faccia dei piedritti della porta è rappresentato un cerchio perfetto bordato da un anello e inciso in due metà sull’asse verticale.

Ciò che la scultura dice e continua a dire – da settant’anni, prima dei disastri d’Europa e prima della lunga notte romena -  è: silenzio, unità suprema.

Gli amanti stanno in un movimento senza pace: per un solo istante il loro bacio è un comune respiro sospeso diventando subito un gioco frenetico, la spasimante raggiera dei loro corpi si muove senza sosta  alla ricerca di una unità impossibile, il gioco stesso degli occhi è un continuo vagare, cercando di vedere nell’altro ciò che ancora non si può vedere.

 

Costantin Brancusi, La porta del bacio, Giardini di Targu Jiu, Romania, 1938

Costantin Brancusi, La porta del bacio, Giardini di Targu Jiu, Romania, 1938

Il cerchio nella scultura è l’embrione uno, indiviso, compiuto.

Un anello perimetrale lo protegge,  ogni faccia dei piedritti è incisa da una linea verticale che parte dal bordo inferiore del cerchio e scende a toccare la terra.

Questo è dunque il vero bacio, il cui tocco è silente e compiuto, il cui esito è una pienezza dove non esiste dualità.

Come cederà l’anello esterno? Solo dall’interno, dall’indiviso, si potrà scegliere di lanciare la propria perfezione in ciò che è aldifuori.

Perché? Quale ordine, quale volontà deve essere eseguita?

Quale Amore segreto regna?

Cosa accadrà, poi?

Chi  potrà mai riparare?

Brancusi ci offre la vera immagine di  ciò che  cosmologicamente era prima di ogni divisione.   Il compito dei fedeli al bacio d’amore è ricomporre – in simulacro, per quanto quaggiù sia possibile, in modo anche parziale e fuggevole – quella unità.

Occupare il posto che ci appartiene attendendo che gli altri spazi vengano a loro volta abitati, vivere nella verità di sé e delle cose, intuire quell’amore dell’Essere per il quale si operò la prima divisione.

Esserne parte, onda e raggio.

Pronunciando una verità non attendiamo alcuna risposta, perché questa è già stata data: noi deponiamo un bacio su quelle labbra.

Anima mia…è la parola reciproca degli amanti,  a invocare l’unità.

Così il corpo cerca il suo corpo, partendo dalla carne, l’Anima la sua Anima.

Solo allora ogni altra declinazione del sesso viene superata, abbandonata come un vuoto involucro e l’Amore primo è meno lontano.

Conta solo essere in quel bacio, con colui che  era con noi prima della pluralità.

* * *

(*) propongo al lettore come variante in questo senso la Santa Luitgarda di M. B. Braun (1710), scultura in pietra del Ponte Carlo a Praga, ancora più tremenda in quanto narrazione sul solo piano orizzontale: Cristo cade schiodandosi dalla croce, un braccio ha già ceduto, l’altro è teso e, ancora fissato dal chiodo nel palmo , regge il peso di tutto il corpo, la testa sofferente ha ruotato violentemente – si è rovesciato il cuneo di legno su cui poggiava – la Santa è afferrata alla spalla dalla mano libera del Cristo, spinta a baciare la ferita del costato, è quanto anche lei vuole, baciare quel sangue, tocca  la gamba del crocifisso al ginocchio; alla base della scultura un  piccolo angelo ne bacia un altro, senza capelli, deforme, come morente, sulla bocca…