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Washington minaccia l'Italia

di Gianni Petrosillo - 19/08/2009

 

Avvertimenti mafiosi dagli Usa al Governo Italiano , confermano che la troppa libertà presa in politica estera non è ben vista a Washington.


 

E c’era pure chi sosteneva che l’ “intrusione” di Berlusconi ad Ankara annunciava soltanto l’ennesima figura di merda internazionale, un ulteriore atto di narcisismo del nano di Arcore il quale, senza i riflettori puntati sulla sua “eccelsa bassezza”, rischia costantemente di scomparire dalla faccia del mondo.

Poveri coglioni della stampa italica e misera gentucola di sinistra che quando il dito indica la luna finisce col capo rivolto sulla nuda terra come i vermi. Vorrei poter fare nomi e cognomi degli stolti che mi accusarono (l’articolo incriminato s’intitolava “La geopolitica energetica”) di dare credito ai vaneggiamenti del Cavaliere presenzialista, volato in Turchia per un ridicolo cucù, anziché alla Merkel, a Putin e Erdogan.

Ma così non la pensano gli americani (e nemmeno lo stesso Primo Ministro russo che in quell’occasione apprezzò il gesto di mediazione della parte italiana, impegnatasi per rendere più agile l’accordo tra russi e turchi) che nel progetto South Stream riconoscono un grave pericolo per la loro supremazia in Europa.

Le vie dell’energia sono politiche e strategiche, prima che economiche, che lo si intenda una volta per tutte.

Tanto analiticamente risistemato, gli Usa fanno sapere al nostro governo che è ora di diversificare gli approvvigionamenti: “L’interesse italiano dovrebbe essere diversificare le fonti di approvvigionamento mentre in questa maniera si aumenta la dipendenza da Mosca”. E da quando in qua gli interessi italiani li conoscono meglio all’estero? Un altro diplomatico americano va dritto al cuore della questione: “Non comprendiamo perché l’Eni si comporti da lobbista di Gazprom in Europa promuovendo con South Stream un oleodotto destinato a trasformare l’Italia nella nuova Ucraina d’Europa, totalmente dipendente dal gas di Mosca”. Noi invece comprendiamo benissimo le ansie di questi scaltri ambasciatori di pene statunitensi. Quindi costoro vorrebbero farci fare la stessa fine dell’Ucraina, magari organizzando una rivoluzione colorata nel nostro paese? I conti cominciano a tornare. Gli attacchi di questi mesi a Berlusconi, troppo incline alle mezze erezioni e alle eiaculazioni non autorizzate, avevano un obiettivo preciso. Ciò che i partner d’oltreoceano non gradiscono nelle frequentazioni del nostro premier non attiene alle sinuosità e alle sublimi forme discinte di letterine ed escort, ma riguarda verosimilmente i tratti virili e nerboruti di Vladimiro Putin da Pietroburgo.

Oggi, come tutti avrebbero dovuto capire da un bel pezzo, con gli accordi energetici si sviluppano politiche di securitizzazione e alleanze geopolitiche che sono strategiche per i futuri assetti del potere mondiale. Potere mondiale che sfugge piano piano dalle mani degli Usa.

Come dice argutamente l’articolo tratto dalla Stampa che riporto sotto, ciò che più preoccupa Washington è: “ l’impressione che l’Italia si sia schierata con la Russia nel grande gioco per gli equilibri energetici del XXI secolo”. Speriamo che sia molto più che una mera impressione.

Per tali ragioni si vorrebbe imporre all’Italia di diversificare le fonti e magari anche di smembrare l’Eni facendola tornare nei ranghi ordinati dei servi fedeli sui quali l’America deve poter contare in questa fase di caos multipolare. Non è nemmeno da escludersi che dalle minacce velate si passi, prima o poi, a quelle esplicite o, addirittura, ai fatti. Berlusconi e Scaroni sono avvisati, e con loro tutta l’Italia che pensa di fare di testa propria.

 

DAGOSPIA
Qui Washington: cari Silvio e Paolino avete rotto i coglioni. E Paolino non è il fratello intestatario, ma Scaroni, il big boss dell'Eni. Duro messaggio recapitato a mezzo Stampa (p.4) con il seguente titolo: "Italia ed Eni troppo amiche della Russia". L'alleanza nel gasdotto non piace Oltre Oceano. E il giornale diretto da Marione l'Africano spiattella il risentimento Usa e detta la linea: "Roma deve diversificare". In otto mesi di "Piombo quotidiano", non avevamo ancora visto un avviso ai navigati tanto brutale.

 MARIO CALABRESI - copyright Pizzi

Fossimo nei panni del CaiNano non sottovaluteremmo neppure l'intervento del potente gran maestro di giornalismo Jean Marie Colombani, che dalla Francia auspica un ricambio in Italia: "Bisognerebbe capire quando Fini avrà il coraggio di prendere la guida di quella parte della destra che definirei civilizzata" (Repubblica, p.7 e non P2, fare attenzione).

Facciamo due più due e diciamo che aveva ragione Maria Giovanna Maglie Larghe: Stampa e Repubblica sono i più acerrimi nemici del suo adorato Papi Silvio. Tenerne conto.

 

Gelo con Washington: "Italia e Eni sono troppo amiche della Russia"
 
Tecnico al lavoro in un gasodotto

La partnership per il gasdotto South Stream non piace agli  Usa: Roma deve diversificare

MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Le scelte di politica energetica di Silvio Berlusconi e dell’Eni preoccupano l’amministrazione Obama. Al Dipartimento di Stato i resoconti sul blitz del premier italiano in Turchia per suggellare il patto fra Erdogan e Putin sul gasdotto South Stream hanno sollevato malumori. «L’interesse italiano dovrebbe essere diversificare le fonti di approvvigionamento mentre in questa maniera si aumenta la dipendenza da Mosca» afferma un diplomatico ben a conoscenza del dossier. Poco lontano dal Dipartimento, in uno dei pochi caffè attorno a Foggy Bottom, un altro diplomatico usa toni più aspri chiedendo l’anonimato: «Non comprendiamo perché l’Eni si comporti da lobbista di Gazprom in Europa promuovendo con South Stream un oleodotto destinato a trasformare l’Italia nella nuova Ucraina d’Europa, totalmente dipendente dal gas di Mosca». 
 
Il linguaggio poco paludato svela un’irritazione americana che nel mondo petrolifero è di pubblico dominio. Al 14° piano del grattacielo al numero 475 della Quinta Strada, l’Eurasia Group di Ian Bremmer produce resoconti periodici sulla rivalità fra il South Stream, con il quale la Russia vuole creare una nuova linea di trasporto del proprio gas verso l’Europa Occidentale, e il Nabucco, sostenuto da Washington e da un folto gruppo di Paesi europei, accomunati dal desiderio di importare gas non russo per scongiurare la dipendenza energetica dal Cremlino. «La competizione è sulla fonte a cui attingere per il gas - spiega John Levy, specialista di Eurasia Group per il Caucaso - perché South Stream è sostenuto da italiani, francesi e tedeschi, che da tempo fanno importanti affari con Gazprom, mentre Nabucco è voluto da chi cerca nuovi partner per gli approvvigionamenti». 
 
Poco più giù sulla Quinta Strada, al numero 500, ha sede la società Louis Capital Markets il cui direttore esecutivo Edward Morse ha la fama di essere il maggior esperto mondiale di energia. Camicia celeste senza cravatta e gelato «Ben & Jerry» sul tavolo, Morse ritiene che la partita sia ancora più ampia: «Mosca vuole il South Stream per non dover più far passare il proprio gas destinato all’Europa Occidentale attraverso l’Ucraina, con cui è ai ferri corti, e al tempo stesso per essere lei a distribuire in Occidente il gas dei ricchi giacimenti kazaki e turkmeni», mentre Washington «ha interesse a non veder l’Europa dipendente dalla forniture russe», identificando fonti alternative di gas nelle «disponibilità potenziali di due Stati alleati come l’Azerbaigian e l’Iraq». Sono partite strategiche opposte perché gli Stati Uniti puntano a sfruttare il gas per integrare l’Europa con le repubbliche indipendenti del Caucaso e con l’Iraq, mentre Mosca sta tentando di creare un legame energetico con l’Europa Occidentale talmente consistente da indebolire i rapporti transatlantici, ovvero la solidità della Nato.
 
«Ciò che colpisce di questa partita è che al momento tanto South Stream che Nabucco sono progetti teorici, perché la Russia non ha gas a sufficienza per il primo e l’Azerbaigian non mette ancora a disposizione il gas per il secondo» aggiunge Morse, secondo il quale «siamo ancora nella fase della trattativa fra i due fronti» e per questo colpisce che «l’Italia, attraverso l’Eni, sta giocando con i russi a poche settimane di distanza dagli abbracci dell’Aquila fra Obama e Berlusconi». Agli specialisti del settore non è sfuggito che lo scorso 5 giugno a San Pietroburgo il vicepremier russo Igor Sechin - ex agente del Kgb, regista della politica energetica del Cremlino e fedelissimo di Putin - nel suo discorso sulle priorità di politica energetica della Federazione russa abbia nominato un unico personaggio straniero: l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, plaudendo alla sua idea di «creare un’agenzia globale del greggio». Nella bozza del testo preparata dagli speechwriter di Sechin il nome di Scaroni non c’era, è stato Sechin ad aggiungerlo di proprio pugno. Ma gli americani non si fidano di Sechin, presidente della compagnia petrolifera Rosneft che ha ingoiato le proprietà della Yukos di Mikhail Khodorkovsky, l’oligarca leader dell’opposizione che Putin fece arrestare per evasione fiscale nel 2004 e sta scontando una condanna a otto anni di carcere.
 
Ciò che accomuna i diplomatici di Washington e gli analisti di petrolio di New York è l’impressione che l’Italia si sia schierata con la Russia nel grande gioco per gli equilibri energetici del XXI secolo, tanto più che il South Stream dovrebbe vedere la luce nel 2015, appena tre anni dopo il North Stream grazie al quale Mosca potrà esportare direttamente gas alla Germania senza dover più attraversare i territori delle confinanti e irrequiete Bielorussia e Polonia. E’ uno scenario che porta a prevedere che la Russia fornirà alla Germania ben il 60% delle importazioni di gas ed all’Italia almeno il 20%, consentendo a Gazprom di controllare nel 2015 il 33% del mercato europeo rispetto all’attuale 28. Il sospetto che circola a Washington è che «Berlusconi possa avere interessi particolari nell’aumentare i legami energetici con la Russia» ma nelle sue frequenti missioni negli Stati Uniti Scaroni ha spiegato che c’è continuità fra le scelte dei governi Berlusconi e Prodi perché sono frutto della situazione energetica in cui versa l’Europa. 
 
Con la Germania che programma la chiusura totale delle centrali nucleari e la Spagna che fa altrettanto con quelle a carbone, la dipendenza dell’Ue dal gas è destinata ad aumentare. Se a ciò si aggiunge che la produzione europea di gas - Norvegia esclusa - è destinata nei prossimi anni a scendere da 250 a 150 miliardi di metri cubi annui per far fronte a un fabbisogno di 550 miliardi significa dover programmare un aumento delle importazioni, che al momento sono di 300 miliardi di metri cubi. E i maggiori fornitori rimangono Russia e Norvegia, seguiti da Algeria e Libia, con sullo sfondo lo scenario del gas liquido Lng presente nell’Africa meridionale. E’ questa la cornice che spinge l’Italia verso il South Stream, un progetto da 12 miliardi di dollari - per importare 63 miliardi di metri cubi annui - che Gazprom si è già impegnata a finanziare per la metà. Tanto più che il Nabucco, secondo gli studi dell’Eni, è un progetto indebolito dalla mancanza di impegno degli azeri nel fornire gas e dall’impossibilità di portare quello turkmeno e kazako attraverso il Mar Caspio perché, trattandosi di un lago, far transitare un tubo richiederebbe l’avallo da parte di tutti i Paesi rivieraschi e la Russia, che è fra questi, si oppone. 
 
Ciò che distingue il monopoli dell’energia è però l’incertezza delle alleanze perché trattandosi di geopolitica tutto può cambiare rapidamente, rimettendo in discussione gli attuali equilibri: un rasserenamento dei rapporti fra Mosca e Kiev taglierebbe le gambe al South Stream mentre se Teheran dovesse aprire a sorpresa all’America, l’Occidente avrebbe gas a sufficienza per far decollare il Nabucco. L’amministrazione Obama guarda invece in altra direzione: per garantire all’Europa l’energia di cui avrà bisogno nei prossimi 20 anni pensa a una ricetta composta da nucleare, energie rinnovabili, risparmi nei consumi e carbone pulito. Si spiega così quanto dice Morse sulla «novità europea più interessante del momento» ovvero il «boom di arrivi di carbone nei porti di Amsterdam, Rotterdam e Anversa». Le tensioni fra Italia e Stati Uniti sui temi energici sembrano destinate a segnare l’imminente debutto dei due ambasciatori Giulio Terzi a Washington e David Thorne a Roma