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Francesco Bracciolini, poeta epico ed eroicomico del Seicento

di Fabrizio Legger - 14/09/2009

 

 

Tra i poeti italiani del Seicento ingiustamente ritenuti “minori”, il toscano Francesco Bracciolini (nato a Pistoia nel 1566 ed ivi morto nel 1645) fu invece uno dei “maggiori”.

Si tratta di un poeta che oggi è pressoché completamente dimenticato, anche editorialmente, mentre invece fu uno degli scrittori più rappresentativi della Controriforma cattolica, tanto da essere citato e ammirato anche dal grande Lope de Vega (1562-1635) il più eccelso poeta della Spagna barocca e uno tra i maggiori della letteratura mondiale.

Zelante fideista e cattolicissimo sino al midollo, il Bracciolini, di carattere sanguigno e passionale, irriducibile avversario dell’eresia ugonotta, calvinista e luterana ma anche fiero nemico dell’insidioso islamismo, mise la sua intelligenza acuta al servizio dei pontefici della sua epoca e la sua penna sferzante a disposizione della sacrosanta causa della Controriforma.

Fu dapprima al servizio del cardinale Federigo Borromeo e poi del cardinale Matteo Barberini, che in seguito venne eletto pontefici e  assunse il nome di papa Urbano VIII. E per entrambi svolse non solo mansioni di segretario, confidente politico e diplomatico, ma, soprattutto di poeta cattolico che si faceva portavoce della dura reazione controriformistica al pestifero dilagare delle eresie luterana, anglicana, calvinista, anabattista e puritana nel cuore stesso dell’Europa.

Molti critici hanno bollato il Bracciolini come un bigotto e come un baciapile asservito alla politica controriformistica dei Papi, definendo la sua poesia come tronfia propaganda in versi del cattolicesimo romano.

Se da un punto di vista meramente ideologico questo è innegabile, altrettanto non si può dire da un punto di vista esclusivamente poetico e letterario, perché non è affatto giusto né sensato liquidare così sbrigativamente un poeta di tutto rispetto, colto e ispirato, autentico e molto attento al ruolo anche “ideologico” della poesia, come fu appunto Francesco Barcciolini.

Certo, la sua poesia non eguaglia quella dell’Ariosto, del Tasso o del Marino, ma, per esempio, per ciò che concerne l’epica, i poemi del Bracciolini sono di gran lunga superiori a quelli del Chiabrera o del Graziani. La sua è una poesia comunque degna di nota, non fosse altro che per la sua scelta ferma e convinta di propagandare attraverso l’epica le istanze, gl’ideali e le concezioni del contro riformismo cattolico, che nei poemi del Bracciolini ha come avversari gli zoroastriani iranici, i bulgari pagani e gli ugonotti francesi.

A parte una copiosa produzione di poesie liriche pubblicate in volume con il titolo Rime, che raccolgono sia poesie amorose, sia di argomento sacro e di encomio (a imitazione delle Rime del Tasso), il Bracciolini (buon amico del Chiabrera e come lui appassionato di poesia epica) scrisse ben tre poemi epici, e cioè La Croce Racquistata, La Bulgaria Convertita e La Roccella Espugnata, oltre ad un divertente poema eroicomico, intitolato Lo scherno degli Dei, al quale, ancora oggi, il poeta deve la fortuna di essere citato nelle storie letterarie.

Tra i poemi italiani del Seicento, La Croce Racquistata è sicuramente il più degno di stare accanto alla Gerusalemme Liberata del Tasso, a parer mio assai più de Il Conquisto di Granada di Gerolamo Graziani, del Tancredi di Ascanio Grandi, della Siriade di Pier Angelo da Barga, de La Babilonia Distrutta di Scipione Errico o della Scanderbeide di Margherita Sarrocchi.

Il poema braccioliniano, in ventiquattro canti in ottave, edito nel 1611, narra della campagna del basileus bizantino Eraclio contro i persiani sasanidi dello shah Cosroe, una campagna che si svolge nei territori assolati della Mesopotamia, causata dal furto della reliquia della Santa Croce di Cristo rubata dai persiani durante l’invasione della Palestina e l’occupazione di Gerusalemme. Il basileus, dietro forti pressioni della devota madre Elena (esortata in sogno dagli angeli ad indurre il figlio a recuperare la preziosa reliquia), prepara un gigantesco esercito e, muovendo dall’Anatolia e dalla Siria, invade la Mesopotamia, pronto a marciare su Ctesifonte, capitale dell’impero sasanide, dove lo attende il fiero re Cosroe, con il suo immenso esercito, supportato dalle terribili arti negromantiche dei magi zoroastriani, asserviti alle spaventose potenze delle Tenebre. Alla fine di una serie di tremende battaglie, i bizantini riescono a sconfiggere i persiani e a recuperare la tanto bramata Croce di Cristo, che viene trionfalmente riportata a Cosatntinopoli.

In sostanza si tratta di un poema che esalta una spedizione punitiva dei cristiani bizantini contro gl’iranici zoroastriani, con il chiaro intento di recuperare a tutti i costi la sacra reliquia. Con Eraclio e i bizantini stanno schierate le forze del Cielo, vale  a dire il Padreterno, Gesù Cristo e le schiere degli angeli. I persiani, invece, sono aiutati dalle forze degl’inferi, rappresentate dai demoni, che si accaniscono contro le truppe cristiane di Bisanzio scatenando loro contro gli elementi della natura e le oscure potenze infernali.

Ovviamente, si nota in maniera lampante che il Bracciolini compone il suo poema avendo l’occhio costantemente fisso alla Gerusalemme Liberata del Tasso: egli elenca adunanze di eserciti, descrive incantesimi e magici prodigi, interventi delle forze demoniache e delle potenze angeliche, fughe di eroine attraverso cupe selve, innamoramenti tra guerrieri e guerriere che militano nei contrapposti eserciti, interventi di eserciti che giungono da lontano per dare manforte a uno dei due contendenti (per esempio, l’esercito degli indiani, il cui re, chiamato da Cosroe, giunge dal lontano Oriente per portare aiuto militare al monarca sasanide).

Caratteristica de La Croce Racquistata è che, ancor più di quanto non fece il Tasso nella Gerusalemme Liberata, si assiste in essa ad una fusione totale tra l’elemento epico e quello romanzesco, fusione che provoca nei lettori un grandissimo effetto di meraviglia e di stupore, in quanto vi è una abbondanza di episodi legati al magico, al soprannaturale e al fantastico (come, per esempio, quando all’inizio del poema il demonio Idrasse, per tentare di bloccare l’avanzata dell’esercito bizantino in Mesopotamia, provoca con i suoi poteri occulti uno spaventoso straripamento del fiume Eufrate, il quale solleva le sue acque come la mole di un gigante minaccioso e le abbatte sul campo bizantino provocando morte e distruzione).

Ma, al tempo stesso , un medesimo e profondamente sentito spirito religioso permea il poema del Bracciolini e quello del Tasso, il che li rende davvero simili per intenti e per ideali, anche se, ovviamente, da un punto di vista artistico e poetico, la continuamente citata Gerusalemme Liberata è infinitamente superiore al poema braccioliniano.

Tra i personaggi principali, il basileus Eraclio corrisponde al Goffredo tassiano, mentre il campione dei guerrieri bizantini, Baicano, ricalca molto da vicino il personaggio di Rinaldo. La guerriera Erinta, invece, assomma in sé le figure della Clorinda e dell’Erminai tassiane, mentre la figura di Cosroe, pur se molto diversa, racchiude alcune caratteristiche che lo avvicinano (ma solo in parte) alla figura cupa e terribile di Solimano.

Insomma, un poema tipicamente controriformistico, in cui i bizantini sono presentati come campioni e difensori della vera fede, pronti a morire e a sacrificarsi per recuperare la Santa Croce di Cristo, mentre i persiani sono dipinti come truci politeisti adoratori di demoni, che combattono le loro guerre di rapina e di conquista avendo al loro fianco gli spiriti maligni degl’inferi evocati dalle arti oscure dei terribili magi. In ogni caso, tra i poemi del Pistoiese, La Croce Racquistata è sicuramente il migliore, anche se, ovviamente, non lo si può avvicinare alla Gerusalemme Liberata, che resta il modello insuperabile al quale il Bracciolini tentò vanamente di accostarsi.

La Bulgaria Convertita, in dodici canti in ottave, pubblicato nel 1637, è un altro poema edificante in cui il Bracciolini canta la conversione dei Bulgari al Cattolicesimo, ponendo in evidenza come di fronte alla luce della Verità la menzogna dell’Eresia sia costretta a lasciare il campo alla vera fede, che è ovviamente, per lui, quella cattolica della Santa Romana Chiesa.

Protagonisti del poema sono lo zar dei Bulgari, Trebelo, papa Niccolò I e l’eretico ariano Fozio. Dopo essersi lasciato sedurre dal veleno dell’eresia ariana propagandata da Fozio, il quale agisce affiancato dai demoni degl’inferi, lo zar Trebelo, illuminato dalle parole del Papa e dagli influssi che gli giungono dagli spiriti angelici, ripudia l’arianesimo e abbraccia la religione cattolica, esortando i suoi cortigiani e il suo popolo a seguirlo nel cammino verso la Verità e la Luce. Poi, dopo avere fatto segregare Fozio in un carcere sotterraneo dal quale non avrebbe mai più dovuto uscire, tutto rapito dall’estasi mistica Trebelo si fa monaco e si rinchiude in un chiostro.

Ma il figlio maggiore di Trebelo, a cui il padre aveva lasciato il trono, ispirato dai demoni, non vuole rinunciare all’eresia ariana, ragion per cui fa liberare Fozio e riproclama il culto eretico. Allora Trebelo abbandona il convento, raduna attorno a sé un esercito di fedelissimi guerrieri cattolici e affronta il figlio e i suoi seguaci ariani in una sanguinosa battaglia, a cui partecipano anche angeli e diavoli, schierati dall’una e dall’altra parte: Fozio viene ucciso, il figlio ribelle di Trebelo viene catturato e  accecato. Poi, il vecchio zar pone la corona di Bulgaria sul capo del suo figlio minore e fa quindi ritorno al chiostro, dove termina i suoi giorni in compagnia degli angeli.

Rispetto a La Croce Racquistata, questo è un poema ancora più controriformistico, assai più noioso e prolisso, edificante oltre misura, tutto incentrato a combattere spietatamente l’eresia (in questo caso, nell’eresia ariana incarnata dal fanatico Fozio, il Bracciolini maschera la sua rabbiosa avversione per il luteranesimo e il calvinismo) e a mostrare i continui interventi delle potenze del Cielo e dell’Inferno nella terribile lotta che i credenti cattolici combattono contro gl’insidiosi eretici.

La trama del poema è interessante, i personaggi stimolano la curiosità del lettore, ma si sente che l’opera ha un’impronta troppo tassiana: ancor più che ne La Croce Racquistata, il Bracciolini segue qui pedissequamente il modello del Tasso, lo imita, lo fa suo nel linguaggio, nella descrizione dei personaggi, nel raffigurare il continuo scontro tra Luce e Tenebre. Anzi, il difetto più vistoso di questo poema è proprio rappresentato da una sovrabbondanza del mirabile, del prodigioso, del fantastico, del soprannaturale, ora incarnato dalle apparizioni dei demoni, ora dalle presenze angeliche, ora dagli interventi di negromanti e creature infernali che si schierano senza sosta con l’uno o con l’altro dei contendenti: tutto questo soffoca l’azione umana, diminuisce il risalto degli eroi del poema e lo avvolge in un’atmosfera di mirabolante e di sensazionale che, a lungo andare, riesce pure un po’ stucchevole.

Anche La Roccella Espugnata, in venti canti in ottave, è un roboante e ambizioso poema di esaltazione della fede cattolica e della dura lotta intrapresa dai cristiani fedeli al Papa contro i perfidi eretici, in questo caso, i pestiferi ugonotti francesi, a giudizio del Bracciolini non sufficientemente puniti nella sanguinosa strage della Notte di San Bartolomeo, ovvero il gran massacro degli ugonotti e del loro  altezzoso condottiero, l’ammiraglio de Coligny, avvenuto a Parigi il 24 agosto 1572.

In esso, pubblicato in una prima edizione in quindici canti, nel 1630, e, successivamente, nell’edizione definitiva in venti canti, il Bracciolini, sostenuto da una sincera ispirazione fideistica e da un estro epico molto più vigoroso che nei due precedenti poemi, narra dell’assedio e della conquista della cittadella fortificata di La Rochelle, sull’Atlantico, estremo baluardo degli eretici ugonotti che tentano di resistere alle preponderanti eserciti della monarchia francese, comandati dall’intrepido e  risoluto Armand du Plessis, Duca di Richelieu e potente cardinale al servizio della Corona di Francia, implacabile sterminatore di eretici sul suolo francese ma alleato e sostenitore delle potenze protestanti nella lunga Guerra dei Trent’Anni (1618-1648), in evidente funzione anti-spagnola.

Si tratta di un poema strettamente ancorato alla realtà storica, in quanto i fatti descritti si erano verificati nel 1629. In quest’ambiziosa opera, il Pistoiese celebra i tre principali momenti del regno turbolento di Luigi XIII e vi intreccia, come era necessario, amori, incantesimi, battaglie, prodigi, tempeste, intrighi e atti di eroismo fideistico. Gli eroi, in questo caso, sono i soldati cattolici e  il loro condottiero supremo, il cardinale di Richelieu, protetti dalle schiere angeliche e dalla Beata Vergine, mentre sugli odiati eretici ugonotti, protetti vanamente dai demoni degl’inferi, piovono gli acuminati strali poetici del Bracciolini.

Forse, fra i tre poemi epici composti dal Pistoiese, La Roccella Espugnata è probabilmente il migliore, sia per la vivace ispirazione che lo anima, sia perché il tema cantato era molto sentito dal poeta e dal pubblico cattolico per il quale scriveva. Pur essendo indubbiamente difficile scrivere un poema epico su un argomento di cui tutti, all’epoca, potevano conoscere i particolari, il Bracciolini, sorretto da una felice vena creativa, riuscì a dare vita ad un vero poema in piena regola, amalgamando abilmente fatti storici ed elementi fantastici, rievocazioni di battaglie e intereventi soprannaturali, azioni di guerra e mirabolanti incantesimi, dando come sempre gran spazio all’elemento a lui sì congeniale della lotta tra la Luce e le Tenebre incarnata dalle figure degli angeli e dei demoni.

Purtroppo, il difetto principale di questo poema è dato dal fatto che il Bracciolini lo scrisse troppo frettolosamente, perché voleva darlo alle stampe mentre gli echi di quel memorabile vento bellico contro i detestati eretici erano ancora in corso, perciò l’opera risente, nel complesso, di tale impazienza, mentre alcuni canti sanno di riempitivo e sembra siano stati inseriti nel corpus del poema soltanto per allungarlo ed evitare così una brevità che, invece, avrebbe forse giovato all’intera struttura dell’opera.

Tra le altre opere del Bracciolini sono da ricordare il “poema pontificio” dal titolo L’Elezione di Urbano VIII, poema in versi sciolti assai freddo, mancante di ispirazione, noioso, che di poetico non ha assolutamente nulla, se non il fatto che è scritto in versi (in esso il Pistoiese immagina che il pontefice sia partecipe di una guerra tra i Vizi e le Virtù, al termine della quale, ovviamente, il Santo Padre risulta trionfante vincitore), il poemetto in versi sciolti dal titolo Instruzione alla vita civile (pubblicato nel 1637, sorta di vero e proprio manuale di comportamento del pio e buon cattolico, legato alla cosiddetta “etica della prudenza”) e il poema mitologico intitolato Lo scherno degli Dei, pubblicato nel 1618, con il quale il Pistoiese volle provare a cimentarsi anche con il poema eroicomico.

Secondo molti critici letterari, tra tutti i poemi eroicomici del Seicento questo del Bracciolini è davvero il migliore, superiore non soltanto a L’Asino del De’ Dottori, a Il torracchione desolato di Bartolmeo Corsini, a Il Malmantile racquistato di Lorenzo Lippi e a La troia rapita di Loreto Vittori, ma alla stessa La secchia rapita di Alessandro Tassoni, che passa, comunemente, per il più famoso e letto tra questo genere di bizzarri poemi.

Lo scherno degli Dei è un poema mitologico (in quanto ha per protagonisti gli dei dell’Olimpo greco) che però è scritto in chiave anti-mitologica, coerentemente all’ideologia controriformistica che il Bracciolini professava, un’ideologia che propugnava una diffussione capillare della cultura cattolica nelle arti e nella letteratura, mettendo al bando tutti i retaggi della cultura classica paganeggiante che, sino al primo Rinascimento, aveva pienamente dominato tanto nelle arti figurative quanto in quelle poetiche e letterarie. Non bisogna dimenticare, infatti, che il Bracciolini fu grande amico dell’abate Grillo e del cardinale Matteo Barberini, entrambi facenti parte di quell’ambiente classicista romano caratterizzato da una feroce polemica anti-mitologica.

La parte centrale del poema è incentrata sui duplici amori della dea Venere con il dio Vulcano (suo sposo) e con il dio Marte (suo amante), amori piccanti e lussuriosi che sottopongono le tre divinità allo scherno degli altri dei olimpici. L’opera ha spunti divertenti, passi ricchi di arguzia e di ironia, ma, nel suo insieme, risulta un poemone piuttosto goffo e ridondante, anche se, occorre ammetterlo, è decisamente migliore degli altri sopra citati poemi del genere. Le parti più interessanti sono quelle che descrivono il degrado degli dei pagani, i quali, vittime di invidia, lussuria, avidità, maldicenza, ira e ipocrisia, finiscono con il porsi sullo stesso piano di quegli umani da cui pretendono di essere adorati e venerati, divenendo così simili ad uomini e donne viziosi, dai costumi lerci e spregevoli, assolutamente mancanti di moralità.

L’ironia del Bracciolini c’è e si sente, talora raggiunge anche punte di sarcasmo, ma nell’insieme, per il lettore moderno, Lo scherno degli Dei resta un’opera noiosa e prolissa, caratterizzata più da un’acre animosità che da una vera e propria dialettica comica, improntata ad un sano realismo popolaresco, come si può invece riscontrare in molti passi de La secchia rapita del Tassoni. Sostanzialmente, quindi, ci si trova di fronte ad un poema che sembra scritto più su commissione che non su ispirazione, dove la poesia non decolla in quanto l’estro poetico ricco di umorismo, che dovrebbe essere alla base del poema eroicomico, è troppo gravato dalla pesante cappa di moralismo bigotto con cui il Bracciolini lo avvolge. Eppure, all’epoca, il poema ebbe parecchio successo, tanto che per anni Lo scherno contese a La secchia il primato del genere eroicomico.

In conclusione, la poesia del Pistoiese, sia in ambito lirico, sia in ambito epico ed eroicomico, è caratterizzata da una grande “disinvoltura versaiola”, cioè da una facilità notevole nel comporre versi altisonanti sui più disparati argomenti. Ma è al contempo una poesia che risente appieno delle mode e delle atmosfere barocche dell’epoca, e infatti eccede spesso in ampollosità, artifici retorici, metafore magniloquenti, nonché in una retorica che appesantisce notevolmente la pur fervida ispirazione poetica.

Eppure, nonostante questi limiti, i poemi epici del Bracciolini sono degni di nota sia per gli argomenti trattati, sia per la facilità inventiva che li caratterizza, sia per la fermezza e la fiducia incrollabile negli ideali cattolici e controriformistici esaltati dal poeta. Sotto questo aspetto, il Pistoiese si rivelò “poeta militante” e campione dell’ortodossia cattolica ancora più del Tasso, tutto proteso nel difendere la Santa Romana Chiesa e la Controriforma contro la peste dell’eresia protestante, nelle sue diverse e aberranti manifestazioni: ugonotta, luterana, anabattista, puritana, anglicana, calvinista…

Insomma, un poeta-guerriero questo Bracciolini, che usò i versi al posto della spada e che combatté le sue battaglie non sui campi insanguinati della Guerra dei Trent’Anni, ma nelle pagine dei suoi poemi epici che ancora oggi, a distanza di quattro secoli da quando furono scritti, rifulgono di una gloria poetica oggi, purtroppo, ingiustamente dimenticata!