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David Thorne, il nuovo ambasciatore Usa in Italia

di Giancarlo Chetoni - 17/09/2009

 

 
David Thorne, il nuovo ambasciatore Usa in Italia
 



Ex cognato di J. Kerry, 64 anni, noto imprenditore e deputato di Boston, amico personale di Rahm Emanuel, attuale capo dello staff della Casa Bianca, David Thorne ha vissuto a Roma negli anni ‘50 quando suo padre era consigliere economico per il piano Marshall, compito che in realtà serviva da copertura al suo incarico di agente della Cia. (Adnkronos ). Ricevuto l’accredito dal Quirinale si è fatto un giretto in Lungotevere Cenci, poi ha incontrato l’8 Settembre (!) Alemanno al Campidoglio e l’11 (!) Fini a Montecitorio. Visite calorose, coinvolgenti, graditissime dagli interessati. Il Sindaco di Roma con i suoi viaggi a Sderot del Maggio 2009, 4 ore prima che Frattini venisse spinto a calci nel sedere da Eni e Tremonti a corto di palanche, a tentare un semplice approccio con Teheran, è di fatto un punto di fondamentale riferimento dell’anti-Italia. Rientrato a Villa Taverna il rappresentante di Barak Obama si è dato subito da fare. Ha chiesto, al governo italiano di inasprire i rapporti con la Repubblica Islamica dell’Iran. Per marcare la necessità di una continuità nei rapporti Usa-Italia il negretto democratico di Washington ha trovato nel repubblicano Thorne il soggetto giusto. La collaborazione tra i 2 Paesi dovrà rimanere quella che era ai tempi di Spogli. L’arrivo e l’insediamento del 37esimo ambasciatore a stelle e strisce in Italia ha ridato fiato alle solite “raccomandazioni”: fare attenzione agli Stati Canaglia del Golfo Persico e dell’America Indio Latina, prendere le misure necessarie a isolare a livello economico e politico l’Iran e Venezuela dove Eni e Repsol, con una quota a testa del 32.5 %, nel Golfo di Cardon hanno di recente acquisito diritti di sfruttamento su 4 giacimenti con potenzialità di estrazione di 1.4 miliardi barili di olio equivalenti. Ecco la motivazione del “viva Italia“ del presidente “bolivariano” al Festival del Cinema di Venezia, la successiva visita a Madrid e il vertice a quattr’occhi Zapatero Berlusconi con Scaroni ancora una volta a spingere “papi” perché affrontasse il tema di un coordinamento della politica energetica delle 2 Compagnie di Stato anche in Brasile e Bolivia nell’incontro-bilaterale alla Maddalena. A fine agosto, assicurano fonti della presidenza del Consiglio che hanno voluto mantenere l’anonimato “gli americani ci hanno esortato a prestare molta cautela nel dare avvio a nuove attività economiche in Iran”. Richiami che hanno prodotto e continuano a produrre effetti negativi per miliardi di euro sul commercio estero del nostro Paese, e più estesamente su quello di Francia e Germania per la miopia di Sarkosy e Merkel, mentre non costano un solo cent agli Stati Uniti d’America che non hanno con Teheran né rapporti diplomatici né interscambio commerciale. Da Palazzo Chigi è partito immediatamente un telegramma della presidenza del Consiglio indirizzato a tutte le sedi nazionali delle aziende tricolori pubbliche e private presenti in Iran, compreso l’Eni. Il testo non lasciava margini di dubbio. Far rientrare a “casa” tutto il personale strettamente non necessario. Senza uno straccio di spiegazione, così su due piedi.
A 24 ore di distanza qualche sherpa della presidenza del Consiglio ha fatto arrivare ai vertici delle imprese che fanno affari con Teheran un lungo comunicato, non formale, con cui si invitava a prendere in considerazione un congelamento degli investimenti già programmati considerando come altamente probabili ulteriori risposte negative di Teheran sul dossier “nucleare” dopo la scadenza di settembre della “mano tesa” di Barak Obama ad Ahmanidejad. Un avviso ai naviganti di moto ondoso in aumento in previsione di un possibile tzunami. Il testo chiudeva con l’impegno a nome del titolare di Palazzo Chigi di poter beneficiare di opportunità di compensazioni in aree del Mediterraneo. Il riferimento al “nuovo cantiere libico” è apparso evidente. Nel G8 dell’Aquila i cosiddetti Grandi della Terra avevano preso un impegno.
Quello di rivedersi a New York per parlare a quattr’occhi con Ban Ki Moon, mettere ancora una volta sul tappeto il dossier Iran e coordinare tra G8, Europa e Onu un piano finalizzato a esercitare una crescente pressione su Teheran. Insomma si continua a fare i conti senza l’oste del diritto di veto di Russia e Cina e del largissimo consenso che riscuote l’Iran tra i 112 Stati non allineati che hanno rappresentanti all’Onu. Il 23 Agosto a New York il summit c’è stato, allargato a tutto lo stato maggiore dell’Unione Europea, presenti Javier Solana, Benita Ferrero Welder e Carl Bildt, svedese, presidente di turno a Bruxelles. Naturalmente in Italia nessuno ne ha saputo nulla. Da noi si discute di Bossi e Fini, della marachelle pruriginose del premier o peggio degli appelli di Giorgio Napolitano e altra spazzatura. Al termine dei lavori del G8 allargato non è uscito dal Palazzo di Vetro nessun comunicato. Nelle stesse ore il premier russo Putin ha voluto sottolineare su Itar Tass, che “ un attacco militare all’Iran sarebbe un operazione inaccettabile e gravida di pesantissime, forse irreparabili, conseguenze per la pace nel Golfo Persico e in Medio Oriente”. A tagliare la testa al toro ai cosiddetti Grandi della Terra ci ha pensato Ahmadinejad. “Teheran - ha detto il leader iraniano - non terrà alcun negoziato su propri legittimi diritti. Il caso “Iran” è chiuso e non lo riapriremo. La tecnologia nucleare e l’uso delle centrali atomiche ad acqua leggera per la produzione di energia elettrica sono un diritto fondamentale della nazione iraniana. Le minacce che riceviamo non ci spaventano, abbiamo incontestabilmente dalla nostra parte il diritto internazionale e possediamo le capacità militari per rispondere a qualunque aggressione armata. Siamo pronti ad affrontare altre sanzioni per far mantenere al nostro popolo la testa alta”. Quello che è lecito per decine di Stati non può essere impedito o vietato all’Iran. La Turchia dopo aver stretto un accordo finale per la fornitura chiavi in mano della prima delle 3 centrali atomiche e acquistato materiale militare, compreso batterie di sofisticatissimi missili antiaerei, per 2.5 miliardi di dollari dalla Russia, ha in prospettiva problemi analoghi a quelli dell’Iran.
E’ ormai evidente che sia nell’Egeo che nel Mediterraneo Orientale la Usa e Nato stiano perdendo dei punti fondamentali di sostegno sia geopolitico che militare. Il Kosovo e la Macedonia per Atene, la guerriglia del PKK che hai suoi santuari nel nord del Kurdistan iracheno che Biden vuole autonomo da Baghdad, per Ankara, rappresentano pericolosi campanelli di allarme per i 2 Paesi. Il ministro degli Esteri di Ankara Ahmet Davutoglu in visita a Teheran il 13 settembre, a brevissima distanza da un nuovo patto di cooperazione energetica tra Turchia e Iran, durante un incontro con Said Jalil segretario del Consiglio Supremo della Sicurezza si è detto disposto, nell’intento di allentare la tensione che sta crescendo nella Regione, ad ospitare ad Ankara un summit tra Usa, Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia e Germania e Iran per trovare una soluzione al dossier nucleare dell’Iran.