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Ultime notizie dal mondo

di redazionale - 21/09/2009

 

·        Iran. 1 settembre. Pressioni sull’AIEA riguardo all’Iran. «Quando si parla di Iran mi viene detto: fai il tuo lavoro, sei solo un esperto, ma quando si parla di altri temi mi dicono: tu sei il difensore del Trattato di Non Proliferazione». Queste le dichiarazioni del direttore uscente dell’AIEA, Mohammad El Baradei, che in un’intervista al “Bollettino degli scienziati atomici” degli USA ha svelato di aver ricevuto pressioni per quanto riguarda il dossier iraniano. «La cosiddetta minaccia nucleare iraniana è un’enorme manovra propagandistica, nessuno ha prove certe che l’Iran a breve avrà armi nucleari», ha detto El Baradei. Nel suo ultimo rapparto, l’AIEA ha dichiarato che l’Iran ha ridotto la portata della sua campagna di produzione di combustibile nucleare e ha soddisfatto le richieste di un monitoraggio più efficace nell’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz. Secondo la stessa Agenzia, Teheran ha diminuito il ritmo della produzione di uranio arricchito, il che ha permesso agli ispettori dell’AIEA di visitare l’impianto di Arak come richiesto da tempo.

 

·        Israele / Norvegia. 4 settembre. Dopo la Svezia, anche la Norvegia entra in rotta di collisione con il regime israeliano per via dei suoi crimini ai danni dei palestinesi. Secondo il sito Arabmonitor, il fondo pensioni norvegese ha investito i suoi capitali anche in società israeliane, ma il ministro delle Finanze Kristin Halvorsen ha annunciato in una conferenza stampa a Oslo il disimpegno dalla compagnia israeliana Elbit per ragioni etiche. La Elbit fornisce il sistema di monitoraggio al “Muro dell’Apartheid” con cui Israele sta circondando i Territori palestinesi occupati. «Non intendiamo sovvenzionare società che contribuiscono direttamente a violare la legge umanitaria internazionale», è stato il commento del ministro. La Halvorsen ha reso noto che la quota di Elbit detenuta dal fondo pensioni norvegese è stata già venduta prima dell’annuncio. Israele ha convocato l’ambasciatore norvegese accreditato nel Paese annunciando «ulteriori passi in segno di protesta».

 

·        Israele. 4 settembre. Nuove colonie, una corsa contro il tempo. Il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, intende autorizzare la costruzione di alcune altre centinaia di unità abitative nelle colonie ebraiche della Cisgiordania. Intende farlo prima di accettare le pressioni della Casa Bianca per un congelamento temporaneo degli insediamenti funzionale al rilancio del processo di pace. La notizia è stata diffusa oggi da media online di Tel Aviv, che riferiscono anticipazioni di fonte anonima interna allo staff del primo ministro. La fonte ha peraltro sottolineato che sono ancora da definire termini e limiti di un’eventuale adesione dell’attuale governo israeliano alle richieste statunitensi di congelamento.

 

·        Iran / Venezuela. 5 settembre. Il presidente venezuelano Hugo Chavez è giunto a Teheran. Si tratta della sua settima visita in Iran. Dopo l’arrivo, Chavez ha dichiarato di essere convinto che la Repubblica islamica non rinuncerà al suo programma nucleare, sottolineando come non sia stata esibita una sola prova a dimostrazione che l’Iran punti alla realizzazione della bomba atomica. Chavez ha affermato che presto anche il Venezuela verrà accusato di volere l’arma nucleare.

 

·        Iran / Venezuela. 5 settembre. Si rafforzano le relazioni politico-economiche tra Caracas e Teheran. Durante la visita di Chavez verranno sottoscritti una serie di accordi in diversi settori, da quello dell’energia al commercio, passando per sanità e settore finanziario. Il settore chiave è quello energetico: Caracas invierà nel Paese mediorientale, tra i più ricchi al mondo di giacimenti di petrolio e gas ma con un’industria della raffinazione molto debole, ventimila barili di benzina al giorno. Il nuovo accordo si aggiunge ad uno analogo firmato nel 2007 e arriva nel momento in cui la comunità internazionale, su pressione di Washington, ipotizza la chiusura dei rubinetti del petrolio verso Teheran in mancanza di un suo cambio di rotta sul fronte del nucleare. L’intesa, di 800 milioni di dollari annui in un fondo in Iran, dovrebbe prendere il via ad ottobre e servirà, ha spiegato Chavez, a finanziare l’acquisto di nuove tecnologie iraniane. Per questo è prevista la costituzione di un fondo comune che finanzi progetti di scambio tra prodotti petroliferi venezuelani e beni, servizi, tecnologie e strumenti iraniani. Teheran ha inoltre ottenuto lo sfruttamento di una delle aree nella falda petrolifera dell’Orinoco, attraverso un investimento congiunto di circa 1,4 miliardi di dollari. Si raffforza così l’alleanza antimperialista tra i due Paesi, che fanno parte di quel «nuovo fronte indipendente» auspicato dal leader supremo della rivoluzione iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei. Il leader religioso ha portato ad esempio proprio l’America Latina, sempre meno “cortile di casa” di Washington. Chavez e Ahmedinejad hanno sottolineato l’identità di vedute sul fronte internazionale, il primo sostenendo il diritto di Teheran a sviluppare il nucleare a fini pacifici, evidenziando che «non c’è una sola prova che l’Iran stia costruendo la bomba nucleare», mentre il secondo ha condannato la presenza di truppe statunitensi in America Latina, confermato dall’accordo militare tra Colombia e USA.

·        Svezia / Israele. 6 settembre. Visita in Palestina cancellata per il ministro degli Esteri svedese. Carl Bildt, presidente di turno dell’Ue, ha rinviato la sua prevista visita nella Palestina occupata il prossimo 11 settembre, perché il momento non è «opportuno». La decisione è stata presa per via della crisi nelle relazioni tra Stoccolma e Tel Aviv, nata dalla pubblicazione di un reportage sul quotidiano svedese Aftonbladet che accusa le forze di occupazione sioniste di aver trafugato per anni organi di palestinesi uccisi nei Territori occupati.

 

·        Libano. 6 settembre. Senza Aoun, Hezbollah non parteciperà al governo. Nawaf Mousawi, parlamentare di Hezbollah, ha affermato che il “Partito di Dio” non parteciperà al futuro governo libanese se non sarà incluso il Movimento Libero Patriottico, alleato di Hezbollah, la maggiore forza politica cristiano maronita libanese guidata da Michel Aoun. Secondo indiscrezioni il premier incaricato Saad Hariri si appresterebbe a presentare al presidente della Repubblica una lista di ministri senza rappresentanti del movimento di Michel Aoun, il quale ha fatto sapere a Hariri di volere cinque poltrone ministerali, tra cui un «ministero chiave».

 

·        Palestina. 6 settembre. Leader di Hamas ai paesi arabi: diffidate della proposta israeliana di rallentare temporaneamente la costruzione degli insediamenti in cambio della “normalizzazione” delle relazioni. L’invito ai paesi arabi è del leader di Hamas, Khalid Mishaal, durante una conferenza stampa svoltasi al Cairo, in occasione della due giorni di incontri con il Segretario generale della Lega araba, Amr Moussa, e con il capo dell’intelligence egiziana, Omar Sulayman, sul conflitto interno palestinese e quello arabo-israeliano. La proposta è stata definita una «equazione pericolosa». Il riferimento di Mishaal è all’intenzione del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, di normalizzare le relazioni con i paesi arabi in cambio di un “parziale” congelamento degli insediamenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Per quanto riguarda le sollecitazioni dell’amministrazione Obama di sospendere la costruzione delle colonie, Mishaal ha affermato: «È in corso un tentativo israeliano di eludere le richieste statunitensi». Ha quindi aggiunto di apprezzare l’invito di Obama al congelamento degli insediamenti e di «aspettare misure concrete per il processo di pace».

 

·        Iran / Brasile. 6 settembre. Lula appoggia Ahmadinejad sul nucleare. Il presidente brasiliano Luis Inacio Lula da Silva ha chiesto alle potenze occidentali di cessare le pressioni su Teheran e di sostenere la pace. «Penso che ci siano molte sanzioni, a fronte di un dialogo insufficiente» ha dichiarato nel corso di un’intervista con i media francesi in vista della visita di Stato del presidente Nicolas Sarkozy a Brasilia. «Credo che Obama, Sarkozy e Brown dovrebbero parlare con Ahmedinejad. Credo lo dovrebbero fare tutti» ha aggiunto. Secondo Lula le sanzioni «isolano sempre di più l’Iran rendendo sempre più difficile raggiungere un accordo». Per quanto riguarda le contestate elezioni che hanno portato alla conferma del leader iraniano, il presidente brasiliano ha fatto un parallelo con le presidenziali statunitensi del 2000, richiamando la comunità internazionale a non interferire con le questioni interne iraniane.

 

·        Perù. 6 settembre. Impegnativo recupero di una pattuglia militare accerchiata da diversi giorni da Sendero Luminoso. Quattro i giorni necessari per evacuarla. Diversi i feriti. Era caduta il 1° settembre in un’imboscata a Santo Domingo di Acobamba, al confine dei dipartimenti di Junín e Ayacucho, una zona montagnosa sotto controllo della guerriglia. Dalle alture, i guerriglieri di Sendero tenevano sotto fuoco costante i militari, sparando anche contro gli elicotteri che tentavano di atterrare. Uno di questi è stato abbattuto mercoledì. I tre occupanti sono morti.

 

·        Belgio. 7 settembre. Conti pubblici belgi in «fallimento virtuale». È allarme rosso in Belgio per le prospettive dei conti pubblici in seguito agli effetti della crisi. Per il ministro del bilancio, Guy Vanhengel, paragonando i conti pubblici a quelli di un’azienda, si potrebbe parlare di una situazione di «fallimento virtuale» del Paese. Quella lanciata da Vanhengel è una provocazione, spiega oggi in prima pagina Le Soir, principale quotidiano francofono, un segnale d’allarme destinato a giustificare drastici tagli alla spesa pubblica che dovrebbero arrivare al 20%, ovviamente tutta in conto a quella sociale. Secondo l’ultimo rapporto del Consiglio superiore delle finanze belga, a politiche invariate e anche in presenza di una forte ripresa economica a partire dal 2011, il deficit pubblico del Belgio salirà al 7% a causa soprattutto dei maggiori interessi che dovranno essere pagati sul debito pubblico a partire dall’anno prossimo. Un debito che, senza interventi correttivi, nel 2020 arriverà ad essere pari al 137% del Pil, un livello record superiore a quello che, nel 1993, faceva del Belgio e dell’Italia i Paesi Ue con il debito pubblico più alto.

 

·        Israele. 7 settembre. Tel Aviv non si ferma. Il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak ha formalmente autorizzato la costruzione in Cisgiordania di oltre 360 nuovi alloggi per coloni “ebrei”. In un prossimo futuro ne saranno approvati altri 90. Gran parte degli alloggi si trovano in insediamenti ebraici ultraortodossi situati in Cisgiordania a ridosso della linea di demarcazione in vigore fino al 1967. Di queste abitazioni, 149 saranno costruite nella colonia di Har Gilo nel blocco di Goush Katif, vicino a Betlemme; 84 a Modiin Ilit, ad ovest di Ramallah; 76 a Givat Zeev, a nord di Gerusalemme; 25 a Kidar, nei pressi della colonia di Maale Adoumim, ad est di Gerusalemme; 20 nell’insediamento di Maskiot, nella valle del Giordano. L’approvazione dei nuovi alloggi giunge a pochi giorni dal ritorno in Israele di George Mitchell, l’emissario del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. La sua missione punta a rilanciare i negoziati fra Israele e i palestinesi, partendo proprio dallo stop a nuovi insediamenti. Missione che, a vedere anche la decisione odierna, non sta dando grandi frutti. L’amministrazione USA, infatti, ha soltanto ottenuto dal premier Benyamin Netanyahu un impegno a una riduzione della durata di alcuni mesi dell’attività di espansione delle colonie. Inoltre Netanyahu ha chiarito agli Stati Uniti che dovrà essere completata la costruzione di 2.500 alloggi già in fase di costruzione in Cisgiordania.

 

·        Iran. 7 settembre. Cina e Russia contrarie a nuove sanzioni contro l’Iran. Lo scrive il settimanale tedesco Der Spiegel, secondo cui si metterà a rischio il vertice di fine settembre a margine della sessione autunnale delle Nazioni Unite con USA, Francia, Inghilterra e Germania. Stando al Der Spiegel, secondo alcuni diplomatici che hanno partecipato a Koenigstein ad una riunione preparatoria dell’incontro previsto in ambito ONU, non si è riusciti a stabilire nemmeno un calendario delle prossime riunioni. L’attuale atteggiamento di Russia e Cina rende così improbabile non solo un vertice dei capi di Stato e di governo dei 6 Stati chiamati a decidere nuove sanzioni, ma mette a rischio anche un incontro tra i ministri degli Esteri. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad intanto afferma che Teheran porterà avanti il suo lavoro sul nucleare e non negozierà mai sui suoi «ovvi» diritti. Il presidente USA Barack Obama ha dato alla Repubblica Islamica tempo fino a fine settembre per sedersi al tavolo con i sei e trattare i benefici commerciali da ricevere in cambio della sospensione del suo programma nucleare e dell’arricchimento dell’uranio. «Continueremo il nostro lavoro all’interno del quadro definito dalle norme internazionali e in cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica delle Nazioni Unite», ha ribadito Ahmadinejad, che comunque intende presentare un proprio “pacchetto” di proposte alle potenze mondiali per perorare la creazione di «un uso pacifico dell’energia nucleare pulita» disponibile per tutti i Paesi e per evitare la diffusione delle armi nucleari.

 

·        USA. 7 settembre. L’attuale crisi finanziaria è un evento che capita una volta ogni secolo. È un’affermazione dell’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan nel corso di una videoconferenza a Mumbai e riportata dall’agenzia Bloomberg. Per Greenspan i requisiti di capitale delle banche vanno aumentati ed assicura che i «prodotti esotici non torneranno», riferendosi a quelle “obbligazioni strutturate” contenenti i famosi “mutui subprime” che hanno innescato il collasso finanziario del 2007-2008. Ricordiamo che in quel caso i debiti dei proprietari di case vennero frazionati e “impacchettati” in titoli obbligazionari collocati nel mondo intero, fino ai fondi comuni d´investimento emessi da importanti banche europee. Secondo le indiscrezioni raccolte dal New York Times, però, le banche starebbero già studiando nuove speculazioni finanziarie. Un mercato su cui si sta puntando è quello assicurativo, rilevando le polizze vita degli anziani che hanno bisogno di denaro contante e “confezionandole” in pacchetti da vendere sul mercato. Così come per i “subprime”, abbiamo un gruppo finanziario che: compra le polizze scontate cedute dagli anziani e dai malati bisognosi di incassare subito il premio; impacchetta questi futuri crediti in nuovi bond (obbligazioni); li colloca sul mercato.

 

·        Irlanda. 8 settembre. Cala il sostegno al Trattato di Lisbona a meno di quattro mesi dal referendum. Secondo un sondaggio condotto dall’Irish Times, sebbene il “Si” al Trattato Europeo rimanga saldamente in testa (46% degli intervistati), rispetto all’ultimo sondaggio si registra un calo dell’8% delle preferenze. Percentuale che va divisa tra il No (29%), che aumenta di un punto, e gli indecisi (25%), il 7% in più rispetto all’ultimo sondaggio.

 

·        Turkmenistan. 8 settembre. Chávez propone al Turkmenistan di entrare nell’«OPEC del gas». Il presidente del Venezuela, Hugo Chávez, ha proposto ieri al suo omologo turcomanno, Gurbanguli Berdimujammedov, durante la sua visita in Turkmenistan finalizzata a stringere i rapporti tra Caracas e Ashjabad, di far parte del progetto di organizzazione di paesi esportatori di gas naturale, simile all’OPEC. Lo riferisce l’agenzia ufficiale russa RIA-Novosti. Dalla capitale della ex repubblica sovietica in Asia Centrale bagnata dal mar Caspio, Chávez ha precisato che l’organizzazione dei paesi esportatori di gas naturale sarà integrata da Russia, Iran e Venezuela. Secondo l’agenzia, il presidente del Turkmenistan non ha dato una risposta alla proposta di Chavez e si è limitato a segnalare che il suo paese occupa il quarto posto nel mondo, dopo Russia, Iran e Qatar, per riserve di gas naturale. In tal senso, Berdimujammedov ha detto che soltanto il giacimento Eletén Sud conta una riserva per 14 bilioni di metri cubi di gas. Il Turkmenistan cerca di diversificare le sue esportazioni tanto verso Iran, Cina e Russia come verso l’Europa attraverso il futuro gasdotto Nabucco, cui sta dando impulso l’Unione Europea e che è appoggiato dagli Stati Uniti. Berdimujammedov ha ribadito in questi giorni che il Turkmenistan, la cui Costituzione prevede la neutralità, continuerà a mantenersi al margine di alleanze politiche e militari e che allo stesso tempo darà impulso a politiche di amicizia e cooperazione vantaggiose con tutti i paesi. Prima dell’arrivo del presidente venezuelano, la Cancelleria turkmena ha diramato una dichiarazione nella quale sottolinea che «darà inizio ad uno sviluppo attivo delle relazioni» tra i due paesi. Chávez è il primo capo di Stato latinoamericano a visitare il Turkmenistan. Dopo una breve visita ieri alla Mostra di Venezia, Chávez viaggerà oggi alla volta della Bielorussia e domani della Russia.

 

·        Irlanda del Nord. 9 settembre. Disattivata ieri una bomba di 240 km. Ne dà notizia l’Esercito, che ritiene sia stata collocata da dissidenti dell’inattivo Esercito Repubblicano Irlandese (IRA) per compiere un imminente attentato. Il luogo del ritrovamento è nelle vicinanze di Forkhill, in prossimità della frontiera che divide l’isola. Avrebbe avuto un «effetto devastante» in caso di esplosione, dicono gli artificieri.

 

·        Palestina. 9 settembre. Ben il 90% vive sotto la soglia di povertà e il 65% di questi in condizioni di «estrema povertà». Questa la condizione dei residenti di Gaza  dopo l’attacco militare israeliano (“Piombo Fuso”) del dicembre-gennaio scorsi. Secondo l’agenzia Misna sono le conclusioni essenziali del rapporto diffuso ieri dall’ufficio per lo sviluppo e il commercio delle Nazioni Unite. Si tratta dei livelli di povertà più bassi mai registrati dal 1967 a oggi. I danni provocati dall’operazione militare israeliana (nella quale sono morte oltre 1400 persone, in prevalenza civili) ammontano a circa 4 miliardi di dollari, tra danni diretti (circa 2 miliardi di dollari) e secondari. Una somma, sottolinea l’ONU, che supera di tre volte la bilancia commerciale di Gaza. L’operazione militare ha distrutto le infrastrutture, 21mila edifici pubblici e privati, danneggiato seriamente l’approvvigionamento di acqua ed energia, rinforzando in generale la tendenza al sottosviluppo. «Il declino economico palestinese trova la sua spiegazione nell’implacabile politica israeliana di blocco sia interno che esterno, nella riduzione delle capacità produttive palestinesi e nella perdita di terre e di risorse naturali provocata dal muro di separazione e dalle colonie israeliane che continuano ad estendersi», recita il rapporto.

 

·        Yemen. 9 settembre. Washington alimenta le tensioni, Teheran invita al dialogo. Il presidente statunitense Obama scrive una lettera al suo omologo yemenita Ali Abdullah Saleh, sottolineando come la sicurezza dello Yemen sia «vitale» per la sicurezza degli Stati Uniti e promettendo al governo di Sanaa aiuti economici e assistenza nella «lotta al terrorismo». Lo riferisce l’agenzia ufficiale yemenita Saba. La lettera giunge mentre il potere yemenita è impegnato in una durissima campagna militare, dagli obiettivi assai dubbi, contro la confessione zaidita sciita, e in una repressione poliziesca alle richieste di pari opportunità delle forze politiche e sociali dello Yemen meridionale. Da Teheran, il ministro degli Esteri, Manouchehr Mottaki, al telefono con il suo collega yemenita Abu Bakr al Qirbi, ha sollecitato il governo di Sanaa a risolvere con il dialogo e non con i cannoni la controversia con i zaiditi ed ha offerto la mediazione di Teheran.

 

·        Kurdistan. 9 settembre. Muoiono sette soldati turchi in scontri con guerriglieri kurdi. Altri tre sono rimasti feriti in una serie di scontri verificatisi, ieri, in varie parti del Kurdistan Nord tra militari e appartenenti al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). La notizia è stata data da varie emittenti locali. L’agenzia pro-kurda Firat assicura che i combattimenti proseguono sulle montagne di Cirav, nella provincia di Siirt.

 

·        Afghanistan. 9 settembre. Alcune cifre della guerra, secondo Asia Time. Le sovvenzioni per le operazioni di guerra in Afghanistan sono passate dai 20,8 miliardi di dollari nel 2002 ai 60,2 miliardi nel 2009, per un totale di 228,2 mliardi. I fondi per la guerra richiesti dall’amministrazione Obama per il 2010 sono 68 miliardi (una cifra che, per la prima volta dal 2003, supererà quella relativa ai fondi per l’Iraq). A questi si aggiungono i 2,5 miliardi fondi richiesti recentemente dall’ambasciatore Karl Eikenberry per spese non di carattere militare. I fondi spesi dal 2001 per la ‘ricostruzione’ afgana (38 miliardi di dollari) sono andati più della metà per l’addestramento e l’equipaggiamento delle forze di sicurezza afgane. I fondi stimati per sostenere ed aggiornare le forze afgane nei prossimi 10 anni, secondo l’ex assistente segretario alla difesa Bing West sono 4 miliardi all’anno. Quanto agli attacchi dei taliban, quelli complessivi nei primi cinque mesi del 2009, rispetto allo stesso periodo del 2008, sono +59%, quelli con esplosivi nel 2009, rispetto allo stesso periodo del 2008, sono +114%. Il tempo necessario per avviare una causa presso i tribunali del governo oscilla tra i 4-5 anni con la corruzione, mentre nelle aree sotto controllo dei taliban è di 1 giorno senza corruzione. Il salario mensile di un membro della polizia nazionale afgana è di 100 dollari (meno di 4 al giorno); i taliban pagano i propri combattenti dai 4 agli 8 dollari al giorno (spesso il solo ‘lavoro’ disponibile). La presenza stimata di campi base di al-Qaeda in Afghanistan: 0. Numero di centri di comando regionali statunitensi: 4 (a Kandahar, Herat, Mazar-i-Sharif e Bagram); prigioni USA e centri di detenzione: circa 36 (sovraffollati e spesso violenti) con 15.000 detenuti. Numero di basi USA: almeno 74 soltanto nel nord dell’Afghanistan; altre sono in costruzione (il numero totale non è reso disponibile dalle autorità statunitensi).

 

·        USA. 9 settembre. Solo Stati Uniti e Israele meritano di essere considerati come «asse del male». A sostenerlo è Paul Craig Roberts, sottosegretario al Tesoro dell’amministrazione Reagan, in un articolo per il settimanale American Free Press. Roberts, attualmente scrittore, giornalista ed esperto di politica estera, spiega: «Israele, come ha scritto l’ex presidente Jimmy Carter, è un regime di apartheid, dispone di armi nucleari ed è abbastanza fanatico per poterle addirittura usare (...) Oltre un milione di iracheni hanno perso la vita per via delle politiche statunitensi». E conclude: «Ora vorrei sapere se il paese canaglia è l’Iran oppure lo sono gli Stati Uniti e Israele. È l’Iran che ha ucciso in Iraq? È l’Iran che ha espulso gli abitanti di una terra dalla loro patria per occuparne le terre, o questo è ciò che fa da 60 anni Israele?».

 

·        Afghanistan. 10 settembre. Gli Stati Uniti hanno commesso «un grave erore strategico» nel distogliere l’attenzione dall’Afghanistan dopo la sconfitta delle forze d’occupazione sovietiche. L’errore non sarà ripetuto, ha aggiunto nell’intervista alla televisione Al Jazeera il capo del Pentagono, Robert Gates. «Credo che abbiamo imparato la lezione». Gates ha ammesso che il numero di perdite in Afghanistan ha indebolito il sostegno dell’opinione pubblica alla guerra, ma ha escluso in modo categorico un ritiro anticipato. Le forze armate statunitensi, ha detto Gates, avevano riconosciuto nel 2005 che la violenza era in aumento, ma non erano in grado di dispiegare un maggior numero di soldati a causa dell’impegno militare in Iraq.

 

·        Afghanistan. 10 settembre. Berlino, Londra e Parigi vogliono fissare nuovi obiettivi in Afghanistan. Gordon Brown, Nicolas Sarkozy ed Angela Merkel hanno inviato ieri una lettera congiunta al segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, nella quale pongono la necessità di stabilire una nuova strategia nel paese asiatico occupato, un paese che sta avendo sempre più peso nella politica europea. Germania, Gran Bretagna e Francia vogliono che la conferenza sull’Afghanistan, che dovrebbe essere organizzata prima della fine del 2009, «fissi nuovi obiettivi» in materia di governo, sicurezza e sviluppo del paese, unitamente a «nuovi criteri e obiettivi temporali» per la «transizione afgana». «Speriamo che gli afgani assumano responsabilità ed abbiano una visione chiara del loro subentrare progressivo [nell’assunzione dei poteri, ndr] là dove sia possibile». In questa prospettiva, bisogna esaminare «come accelerare, aumentare e migliorare la qualità della formazione delle forze di sicurezza afgane e come creare le condizioni locali appropriate». Insomma l’accelerazione dell’intensità qualitativa e quantitativa degli attacchi della resistenza comincia a produrre in modo manifesto le prime crepe tra gli alleati/subalterni a Washington.

 

·        Afghanistan. 10 settembre. Allo scandalo delle elezioni truccate si è aggiunto quello dei mercenari che costringevano a porno-iniziazioni i dipendenti afgani. Il Project on Government Oversight ha scritto al Segretario di Stato USA, Hillary Clinton, denunciando svariate pratiche di questi “soldati privati” in «un clima di paura e coercizione, in cui coloro che rifiutano di partecipare sono spesso ridicolizzati, umiliati, degradati o anche licenziati». I mercenari in Afghanistan sono più dei soldati statunitenso, 68mila contro 52mila e, come in Iraq, il loro status ed operato sfugge ad ogni controllo. Dopo l’emersione dello scandalo, il Pentagono ha mandato controllori: guardie che sorveglieranno altre guardie. Una realtà insostenibile, che si aggiunge ai rapporti sempre più numerosi su prigioni segrete, esecuzioni illegali, malversazioni nella (mancata) ricostruzione e stragi di cittadini afgani sotto i bombardamenti.

 

·        Unione Europea. 11 settembre. L’80% dei cittadini dei diversi paesi europei è contrario alla politica militare di Obama sull’Afghanistan ed anche ad un’azione militare contro l’Iran. È il dato che emerge dal sondaggio annuale “Transatlantic Trends”, realizzato dall’istituto statunitense German Marshall Fund in collaborazione con la Compagnia di San Paolo. Sull’Iran, l’80% dice no alla guerra, con punte dell’88% in Francia e addirittura del 92% in Germania.

 

·        Libano. 11 settembre. Hariri rinuncia alla formazione di un governo di unità nazionale, dopo 73 giorni di trattative tra tutti i partiti che sembrava potessero portare ad un accordo generale. Il primo ministro libanese, Saad Hariri, ieri, ha accusato pur non esplicitamente Hezbollah di aver ostacolato il processo che ha risposto dicendo che non si trattava della formazione di un «vero governo di unità». Il presidente della repubblica, Suleiman, inizierà la prossima settimana consultazioni con i parlamentari per designare un nuovo primo ministro e non è escluso che Hariri sia nominato un’altra volta.

 

·        Libano. 11 settembre. A far saltare la prospettiva di un governo di unità nazionale tra maggioranza filo-occidentale e opposizione patriottica è stato il secco rifiuto dell’asse Hezbollah-Tayyar (la cristiana Corrente Patriottica Libera del Gen. Michel Aoun, eroe nazionale e miglior alleato di Hezbollah) dopo che il premier mandatario, Hariri, aveva iniziato a stilare la lista definitiva per la formazione del suo primo esecutivo. “Tayyar” chiedeva almeno 4 ministeri nel nuovo governo anche in considerazione della sua forza parlamentare (19 deputati sui 57 assegnati dalle ultime consultazioni elettorali dello scorso giugno all’opposizione e dei 128 complessivi) e del suo ruolo di primo partito all’interno dell’elettorato cristiano-maronita. Hariri avrebbe rifiutato queste condizioni, in particolare di assegnare ad un uomo di Aoun il delicatissimo ministero delle Telecomunicazioni, e le intese fino a quel momento raggiunte fra i due poli della politica libanese sono saltate in aria. Hezbollah, determinante per la costituzione di qualsivoglia esecutivo di unità nazionale, per rispetto all’alleato maronita ha rifiutato la lista dei ministri presentata da Hariri al quale non è rimasto altro che rimettere il mandato. Peraltro nel cosiddetto «fronte di Bristol» o «raggruppamento del 14 marzo», filo-occidentale, proprio nelle scorse settimane si è registrato lo strappo dei socialprogressisti del druso Jumblatt (10 seggi), che ha espresso dure critiche alla coalizione di cui è formalmente parte e fondatore, ed ha allacciato canali di dialogo con Hezbollah e i cristiani di Aoun.

 

·        Russia. 11 settembre. Mosca nega che ci sia stato un viaggio segreto di Netanyahu per dissuadere il Cremlino dal vendere armi all’Iran. Media israeliani hanno informato mercoledì che questa era stata la ragione della partenza in gran segreto, lunedì, alla volta di Mosca. Ora il Cremlino nega ciò. Questa voce è rimbalzata per giorni dopo che fonti russe ed israeliane avevano affermato che l’ “Arctic Sea” -ora alle Canarie insieme con una nave della Marina russa-, che era stata intercettata da supposti pirati nell’Atlantico, trasportava missili russi diretti all’Iran. Secondo i media, la nave fu intercettata da Israele per impedire l’arrivo del carico a Teheran.

 

·        Israele / Norvegia. 12 settembre. Oslo disinveste dal Muro. Le voci che circolavano da giorni ora sono ufficiali. La Elbit Systems, una delle aziende che hanno accompagnato in Africa il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman, si è vista recapitare dal governo norvegese l’annuncio ufficiale che il suo Fondo pensione di circa 6 milioni di dollari è stato disinvestito dalla Elbit, che tra i suoi sistemi avanzati di difesa produce anche quelli per il Muro che Israele sta ultimando all’interno dei Territori occupati. Oslo si è richiamata al parere della Corte internazionale di giustizia dell’Aja che, il 9 luglio 2004, definì «contraria al diritto internazionale» la barriera che secondo Tel Aviv serve a prevenire attentati palestinesi e invitò lo Stato ebraico a «cessare immediatamente i lavori di costruzione del muro» e «smantellare immediatamente le parti di quella struttura situate all’interno dei Territori palestinesi occupati». «Non vogliamo finanziare aziende che contribuiscono in maniera così diretta a violazioni del diritto internazionale umanitario», ha spiegato il ministro delle finanze Kristin Halvorsen. Il governo Netanyahu non ha gradito affatto il «disinvestimento» e ha convocato l’ambasciatore norvegese a Tel Aviv.

·        Israele / Norvegia. 12 settembre. Quella del governo norvegese è una mossa limitata. Così scrive Amira Hass, sul quotidiano israeliano Ha’aretz. La giornalista israeliana ricorda che «Africa Israel (se le sue azioni non sono state già vendute per motivi puramente economici), banche israeliane che concedono mutui ai coloni, una compagnia messicana che possiede impianti negli insediamenti e partecipa all’attività estrattiva nei Territori occupati, ditte israeliane che hanno impianti nei territori occupati, sono solo alcune delle oltre 40 aziende israeliane e internazionali coinvolte nel rafforzamento dell’occupazione israeliana e nelle quali la Norvegia investe, in base ai dati forniti dal progetto “Who profits” (www.whoprofits.org), guidato dalla Coalizione di donne per la pace».

·        Israele. 12 settembre. Il ritorno di Israele in Africa. Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman visita, in nove giorni, cinque paesi a sud del Sahara, dopo più di trent’anni di reciproche incomprensioni o occasionali rapporti bilaterali. In gioco interessi commerciali (in primis quello della vendita di armi) ma anche un’offensiva diplomatica per contrastare l’Iran (il cui presidente Mahmoud Ahmadinejad a febbraio è andato in Kenya, Gibuti e Isole Comore) e tentare di (ri)conquistare appoggio da parte degli Stati africani in ambito ONU, soprattutto per contrastare le ambizioni nucleari di Tehran. Il capo della diplomazia di Tel Aviv, che è anche leader del partito xenofobo di estrema destra Israel Beitenu, ha visitato Etiopia, Kenya, Ghana, Nigeria e Uganda. Al seguito di Lieberman, rappresentanti di industrie di armamenti israeliani come Elbit Systems, Soltam, Israel Military Industries, Silver Shadow advanced security systems Ltd. Scrive il quotidiano israeliano Ha’aretz: nessun accordo firmato, ma stabilite relazioni. Secondo una stima di funzionari del ministero degli esteri, citati da Ha’aretz, l’Africa rappresenta in questo campo un potenziale commerciale pari a circa un miliardo di dollari. Oltre al settore degli armamenti, si sono attivate collaborazioni nel campo della telefonia, dello sfruttamento dei minerali, dell’agricoltura, delle alte tecnologie. Della delegazione di Lieberman facevano parte anche una ventina di uomini d’affari, venuti apposta per vendere il loro know how. Il viaggio di Lieberman è in realtà il punto d’arrivo di una progressiva crescita degli interessi israeliani nel continente: dal 1990 al 2008 gli scambi commerciali tra Israele e l’Africa sono passati da 430 milioni a più di 2 miliardi di dollari. La strada non appare priva di ostacoli: non casualmente la settimana scorsa il leader libico e presidente di turno dell’Unione africana, Muammar Gheddafi, ha affermato che «le ambasciate israeliane in Africa andrebbero chiuse perché portano avanti una politica tesa a perturbare il nostro continente».

 

·        Iran. 12 settembre. Un possibile attacco per neutralizzare le installazioni nucleari «sarebbe molto pericoloso e inaccettabile» poiché «porterebbe ad una esplosione del terrorismo aumentando l’influenza dei terroristi». Lo ha detto il premier russo, Vladimir Putin.

Afghanistan. 12 settembre. «I taliban nel 97% del paese». Secondo uno studio dell’ “International council on security and development” (Icos) i taliban sarebbero presenti in maniera permanente nell’80% del territorio afgano e con una attività «sostanziale» in un ulteriore 17%. «Nonostante la presenza di decine di migliaia di soldati stranieri», ha detto la direttrice del centro di ricerca, Norine McDonald, «il ritorno, l’espansione e l’avanzamento dei taliban sono elementi incontestabili».

 

·        Iran. 13 settembre. Magistrati: tutte infondate le denunce di Karrubi circa presunti abusi sessuali nei confronti di persone arrestate durante i disordini post elettorali a Teheran. Una commissione della magistratura ha denunciato come «false» le prove presentate dal candidato sconfitto nelle elezioni presidenziali del 12 giugno, Mehdi Karrubi. Lo riferisce l’agenzia Fars.

 

·        Russia / Venezuela. 13 settembre. Tra Russia e Venezuela «non ci sono contratti di vendita di armi (...). È stato preparato un insieme d’accordi di dieci documenti riferiti a questioni energetiche, collaborazione nell’ambito militare e tecnico e nell’ambito finanziario». Questa la precisazione di Serguei Prikhodko, principale consigliere diplomatico del Cremlino, secondo quanto riferisce l’agenzia Ria Novosti, citata da Afp. Negli ultimi giorni si erano accavallate voci contrastanti sull’esito del soggiorno del presidente Hugo Chavez a Mosca. In particolare, una fonte militare-industriale russa aveva dichiarato all’agenzia Interfax che il Venezuela negoziava la firma di contratti per comprare armi russe, soprattutto sottomarini e carri armati. Prikhodko non ha comunque escluso che si conceda un credito al Venezuela per l’acquisto di armi russe.

 

·        Honduras. 13 settembre. Washington tende la mano al governo golpista. Bottom of Form 1Il comando Sud degli Stati Uniti ha invitato il governo golpista honduregno a unirsi alle manovre militari congiunte delle Forze alleate Panamax 2009, coordinate dagli USA, che iniziano oggi e dureranno fino al 22 settembre. Tra i settemila uomini coinvolti (soldati e civili) anche honduregni, in rappresentanza di un governo non legittimo istituitosi con un colpo di stato. Eppure il presidente Barack Obama, con dichiarazioni pubbliche, aveva rigettato il golpe subito dopo averne appreso la notizia, sostenendo che «sarebbe un precedente terribile, se iniziassimo a tornare indietro all’era in cui i colpi di Stato si consideravano periodi di transizione politica». A due mesi e mezzo il presidente legittimo, Manuel Zelaya, è ancora in esilio forzato. Il governo golpista permane ed ha instaurato un regime repressivo contro ogni afflato di ribellione che peraltro prosegue nel silenzio del sistema massmediatico internazionale dominante. In Honduras non esiste più libertà di stampa, di espressione, di opinione. Ogni manifestazione è repressa con la forza. Già si contano i morti, molti i feriti, un numero imprecisato e crescente di arrestati.

 

·        Honduras. 13 settembre. Washington cancella il visto d’ingresso nel paese a Micheletti e ad altri dirigenti golpisti. Lo hanno comunicato in conferenza stampa proprio Micheletti e la deputata Marcia Villeda, anche alla quale è stato revocato. La causa della cancellazione è stata la destituzione di Zelaya, ha dichiarato Micheletti, aggiungendo che quel che è accaduto in Honduras il 28 giugno «non è stato un colpo di Stato, ma una successione costituzionale». Micheletti, parlando poi a radio RHN che trasmette da Tegucigalpa, ha detto di rispettare la decisione statunitense ma che non retrocederà dalla decisione di impedire il ritorno di Zelaya al potere. C’è chi vede il provvedimento dell’amministrazione Obama come un aiuto indiretto a Micheletti per sfrondare la diffusa idea che, pur in maniera non dichiarata ed evidente come sarebbe stato in passato, purtuttavia un sostegno al golpe, dietro le quinte, ci sia stato. L’amministrazione Obama nulla sta facendo di sostanziale nonostante eserciti nel paese, attraverso una serie di legami economici, militari e politici, un considerevole peso e si ritiene che stia aspettando che passi il tempo, che giunga a scadenza naturale il mandato di Zelaya e che alla fine la situazione si normalizzi di per sé. La scelta di dare un diverso profilo alla politica estera USA, per ragioni geopolitiche di scala globale, avrebbe suggerito anche quest’ultimo provvedimento che, secondo osservatori, Micheletti può ora utilizzare come argomento nel paese a fronte delle continue manifestazioni di protesta nel paese (silenziate dai media mondiali) che accusano Micheletti di essere un fantoccio degli USA.

 

·        Germania. 14 settembre. Nel corso della prossima legislatura è necessario porre le basi per un ritiro dall’Afghanistan. Per questo bisogna preparare fin d’ora il terreno. È quanto si legge nel documento di due pagine intitolato: “Dieci passi per l’Afghanistan”. Il candidato socialdemocratico alla cancelleria tedesca, Frank-Walter Steinmeier, intende porre i necessari presupposti per arrivare ad un ritiro delle truppe tedesche dall’Afghanistan nel 2013. Ne dà notizia il settimanale Der Spiegel, secondo il quale l’attuale ministro degli Esteri dispone di un piano in dieci punti, con un primo ritiro parziale già nel 2011. Finora la linea ufficiale del governo tedesco prevede un periodo di cinque-dieci anni per il ritiro e comunque solo dopo sostanziali passi avanti in materia di sicurezza. In Germania si vota tra due settimane. Il partito di Steinmeier insegue, con uno scarto percentuale a due cifre, quello della Cancelliera Angela Merkel, l’Unione CDU/CSU.

 

·        Libano. 14 settembre. Il Libano ha bisogno di determinati armamenti per potersi difendere da Israele e gli USA difficilmente li forniranno a Beirut. Così, in un’intervista a Press Tv, il rappresentante druso Walid Jumblatt, che fa parte della maggioranza parlamentare libanese. Jumblatt suggerisce di cercare il necessario in Russia, Cina o Iran. Ha quindi aggiunto di ritenere necessaria la rapida costituzione di un governo di unità nazionale per proteggere il Paese da una possibile aggressione israeliana.

 

·        Iraq. 14 settembre. L’obiettivo statunitense nella regione sembra essere quello di dividere l’Iran dall’Iraq. Lo ha affermato Ahmad Vahidi, ministro della Difesa iraniano, in un’intervista all’agenzia Fars. Vahidi si è riferito a recenti dichirazioni di Robert Gates, capo del Pentagono, che ha dichiarato che un Iraq «forte e democratico, con un governo che include tutte le fedi, diventa una barriera all’influenza iraniana piuttosto che un ponte per essa». Vahidi ha fatto notare come un approccio del genere sia in contraddizione con la richiesta USA, ai Paesi confinanti con l’Iraq, di contribuire a risolvere i problemi che affliggono Baghdad.

 

·        Honduras. 14 settembre. Dopo l’iniziale condanna, la posizione dell’amministrazione Obama sul golpe si è ammorbidita. L’iniziale reazione di censura del colpo di Stato, definito «not legal» e di invito a seguire la «rule of law», appartiene ad un tempo che sembra già lontano. Qualche sanzione, ma nulla di che. Il 28 giugno le Forze armate honduregne hanno deposto ed esiliato Zelaya su ordine della Corte Suprema, che aveva giudicato illegale la convocazione di una consultazione pubblica non vincolante su una riforma della Costituzione che avrebbe permesso il secondo mandato presidenziale. In caso di vittoria dei “sì”, ci sarebbe stato un referendum sulla convocazione di un’Assemblea Costituente a novembre, in occasione delle elezioni presidenziali, alle quali Zelaya non si sarebbe comunque potuto candidare. Il presidente, ritenendo di non violare l’art. 239 della Costituzione, aveva poi licenziato il Comandante delle Forze Armate dopo il rifiuto di quest’ultimo di garantire la collaborazione dell’esercito all’organizzazione della consultazione. La situazione è precipitata nel giro di pochi giorni. Il colpo di Stato honduregno è particolare per almeno due motivi: il ruolo dei militari golpisti tutti addestrati alla famigerata Scuola delle Americhe ed il profilo politico del deposto presidente. Zelaya. Era stato eletto nel 2005 come candidato del Partito Liberale; dopo un anno al governo si era avvicinato a Chávez, accettandone il petrolio sovvenzionato ed entrando nell’Alba. Incapace di ridurre la violenza e la corruzione, il capo di Stato aveva promosso riforme minori ma gradite alle classi medio-basse, come l’aumento del salario minimo, in un Paese in cui più del 50% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Questi provvedimenti hanno spaventato l’oligarchia honduregna, che ha visto nella consultazione popolare l’inizio di un processo di cambio politico ed economico a lei sfavorevole.

·        Honduras. 14 settembre. A più di due mesi dal golpe, il governo è nelle mani del presidente della Camera Roberto Micheletti, privo di riconoscimento internazionale ma ancora in piedi, mentre Zelaya è attualmente in esilio in Nicaragua e le violazioni dei diritti umani si moltiplicano. Washington non ha ancora ufficialmente considerato “militare” il colpo di Stato. Una questione non formale, lessicale, giacché il Foreign Assistance Act proibisce agli Stati Uniti di destinare aiuti «al governo di qualsiasi paese il cui capo di governo eletto sia stato rovesciato da un colpo di stato o da un decreto militare». Nel caso di Tegucigalpa, sono in ballo fra l’altro 139 milioni di dollari della U.S. Millennium Change Corporation, che avendone già stanziati 76 ne ha bloccati 11 e ha annunciato che continuerà soltanto le attività previste da contratti già stipulati, il cui ammontare non è stato specificato. Al mantenimento dei rapporti con i golpisti ci sono interessi economici e politici: alcuni riconducibili a repubblicani come Otto Reich, già al governo con Reagan e i Bush, consulente di McCain per l’America Latina durante la campagna del 2008 e lobbista per il colosso delle telecomunicazioni AT&T, che non vedeva di buon occhio un oppositore delle privatizzazioni come Zelaya. Vi è anche Lanny Davis, avvocato del presidente Clinton ai tempi dell’ “impeachment”, che ora fa lobbying per il ramo honduregno Business Council of Latin America, l’equivalente della Camera di commercio. Operano in Honduras anche organi gestiti o finanziati dal governo o dal Congresso come Usaid (che ha congelato l’impiego di 2 milioni di dollari), l’International Republican Institute e il National Endowment for Democracy (Ned), già protagonisti di interferenze negli affari interni di alcuni paesi latinoamericani. Complessivamente gli Stati Uniti mantengono una massiccia influenza sull