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Non dimentichiamo la biodiversità

di Pietro Greco - 22/09/2009

 

 

Il prossimo mese di ottobre si terrà a Nairobi, in Kenya, la Conferenza delle parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sulla Biodiversità (CBD). Il problema, nei suoi tratti generali, è noto. È in atto un processo inedito di erosione della diversità biologica a livello planetario. Le specie, proprio come gli individui, nascono, evolvono e muoiono. In condizioni di equilibrio la morte ogni anno di alcune specie è compensata, in media, dalla nascita di nuove specie. Anzi, in genere le nascite prevalgono sulle morti, cosicché la storia della vita è stata segnata da una crescita costante di nuove specie e, quindi, di diversità biologica.

Sebbene la tendenza abbia un andamento lineare, la crescita di biodiversità è segnata, di tanto in tanto, da processi di erosione: fenomeni noti come estinzione delle specie. Talvolta l'estinzione delle specie è profonda: quando a scomparire è oltre il 60% delle specie viventi si parla di «grande estinzione». Negli ultimi 600 milioni di anni - da quando esiste la vita animale - le «grandi estinzioni» sono state cinque. La più grave nel Permiano, 225 milioni di anni fa, quando scomparve oltre il 90% delle specie. L'ultima è quella di 65 milioni di anni fa, quando scomparvero la gran parte dei dinosauri (alcuni si sono evoluti e oggi li chiamiamo uccelli).

Ebbene oggi molti sostengono che siamo nel pieno di una nuova «grande estinzione», la sesta. Non perché sia scomparso il 60% delle specie. Siamo per fortuna ancora lontani da questa soglia. Però la velocità con cui procede l'estinzione è la più alta mai registrata, anche nel corso delle cinque grandi estinzioni del passato. Mai tante specie sono scomparse in un numero così limitato di anni. Se il fenomeno dovesse procedere ci troveremmo anche tecnicamente, nel giro di pochi decenni, in una «grande estinzione».

Non sappiamo, esattamente, quali siano state la cause delle cinque «grandi estinzioni» del passato. Sappiamo qual è il cofattore principale della sesta. È un cofattore inedito: l'uomo. Il quale utilizza, ormai, il 25% dell'energia netta primaria (l'energia promessa a disposizione degli ecosistemi dagli organismi fotosintetici). E costituisce la principale causa di un degrado dei servizi che interessa, ormai, il 60% degli ecosistemi di tutto il mondo.

La biodiversità è il motore degli ecosistemi, della catena alimentare e svolge un ruolo primario negli equilibri biogeochimici della biosfera. È una risorsa preziosa da tutelare. Ma è anche una risorsa complessa, su cui agiscono miriadi di elementi. Non è un caso che la tutela della biodiversità è prevista da una serie di strumenti legali delle Nazioni Unite: non solo la CBD, ma anche la Convenzione per combattere la desertificazione, la Convenziona Ramar per la tutela delle paludi e delle zone umide e la stessa Convenzione sui cambiamenti del clima.

La tutela della biodiversità è (giustamente) ritenuta così importante anche per lo sviluppo sostenibile dell'uomo, che nel 2002 è stata inglobata nei Millennium Development Goals, dove si pone come "obiettivo del millennio" la sensibile riduzione, entro l'anno 2010, dell'attuale perdita di biodiversità.

Il guaio è che il 2010 è arrivato, ma la perdita di biodiversità non accenna a rallentare. Perché? Le cause sono molte. Ne indichiamo due. Per una "mancanza di conoscenza" e per "una mancanza di azione". Sappiamo ancora troppo poco del fenomeno. Nel 2006 la CBD ha individuato 22 diversi indicatori per "misurare" l'evoluzione della biodiversità: ebbene, come ricorda un gruppo di ecologi sulla rivista Science, a tutt'oggi gli esperti possono fornire valutazioni attendibili solo su 9 indicatori, mentre sono incapaci di fornire valutazioni attendibili sugli altri 13.

La mancanza di conoscenza scientifica rende più difficile individuare obiettivi specifici. E di mobilitare l'opinione pubblica. Ciò determina la relativa lentezza con cui i governi agiscono in concreto per tutelare la biodiversità.

Uscire da questa situazione non è facile. E indicare una strada è, forse, il principale obiettivo che dovrà raggiungere la Conferenza di Nairobi.