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La guerra dei dazi

di Romolo Gobbi - 27/09/2009

Fin dall'antichità gli stati e gli imperi si sono preoccupati di far pagare alle merci straniere una somma di denari che doveva contribuire al finanziamento delle spese pubbliche. Recentemente è cominciata una guerra economica tra Cina e USA in seguito alla decisione di questi ultimi di aumentare i dazi sui tubi d'acciaio provenienti dalla Cina: "il giro d'affari potenzialmente colpito dall'offensiva anti-dumping statunitense ammonta a circa 2,6 miliardi di dollari (...) si tratta di una cifra cospicua che, negli ultimi anni, grazie all'aumento della domanda americana (...) è aumentata a ritmo vertiginoso ( +200 tra il 2006 e il 2008)". La Cina sta facendo uno sforzo immane per aumentare la propria produzione di acciaio, sia per soddisfare i bisogni interni, sia per le esportazioni. Per ottenere questo risultato, la Cina nel 2008 "ha importato 400 milioni di tonnellate di minerale di ferro, la metà di tutte le esportazioni globali". La battaglia dei dazi americani è cominciata per la pressione degli industriali americani e dei sindacati che denunciano una caduta dell'occupazione nel settore siderurgico: "La battaglia appena aperta sui tubi in acciaio apre un nuovo fronte nella guerra commerciale tra le due superpotenze. Giusto qualche mese fa gli Stati Uniti (insieme all'Europa) avevano inoltrato una protesta ufficiale all'Organizzazione mondiale del commercio (WTO) contro le restrizioni operate dalla Cina all'esportazione di alcune proprie materie prime". Anche la Cina ha protestato contro le decisioni americane: "La decisione americana ci preoccupa molto. Si tratta di una misura protezionistica a tutti gli effetti e noi siamo contrari al protezionismo". Una nuova crisi si è aperta dopo l'annuncio di Obama di voler aumentare i dazi di importazione dei pneumatici cinesi, aumentandoli del 35%. Anche in questo caso il governo cinese ha protestato: "Così facendo, gli Stati Uniti hanno disatteso gli impegni anti-protezionistici sottoscritti al vertice del G-20 e hanno minato le relazioni commerciali tra Cina e Stati Uniti e la ripresa economica mondiale".

Perché gli USA abbiano preso queste decisioni è facile da capire: per ridurre il proprio deficit commerciale che è aumentato dall'aprile 2008 all'aprile 2009 di circa 30 miliardi di dollari. Rendere le merci straniere più care dovrebbe ridurre la domanda esterna ed aumentare la produzione interna, ma, nel caso dei pneumatici, ad essere colpite sono quattro multinazionali americane che producono in Cina i pneumatici che per tre quarti vengono esportati negli USA.
Nell';affrontare la crisi mondiale, i governi del G20 non hanno saputo prendere misure comuni e così il Global Trade Alert: "ha pubblicato uno studio in cui menziona 130 misure protezionistiche che diversi governi (dalla Russia, al Giappone, sino al Sudafrica) pensano di mettere in atto".

Intanto la crisi non da alcun serio segnale di ripresa, anche perché il principale modo di risanare l'economia è stato quello dei licenziamenti: "In totale l'Organizzazione internazionale del lavoro prevede da 39 a 59 miliardi di disoccupati in più nel mondo e 200 milioni di lavoratori in più che dovranno abituarsi a vivere con 2 dollari al giorno". I duecento milioni di disoccupati in più sono dovuti all'incremento della popolazione mondiale e si aggiungono agli altri 1 miliardo e duecento milioni che già vivono al di sotto della soglia della povertà. Tutte queste persone con scarsi o nulli livelli di reddito non potranno certo rilanciare la domanda globale, anche perché loro sono le vere vittime della guerra dei dazi; infatti, i paesi avanzati continuano ad oberare di dazi i prodotti dei popoli sottosviluppati, che non possono così innescare un processo di scambio con il mercato globale. Tutte queste cose dimostrano come la globalizzazione non solo sia un falso ideologico, ma, nella misura in cui è perseguita, è causa di morte e distruzione. I principali colpevoli sono gli Stati Uniti, che, a partire dagli anni '80, hanno cominciato a sostenere il più alto livello di vita degli americani, nonché le loro guerre con l'indebitamento estero e sono diventati "il primo debitore mondiale", che ha adottato: "la politica del debitore: quella secondo cui i debiti non si pagano". Sappiamo che la crisi in corso è partita dagli Stati Uniti e che "Siamo in una situazione di maggior pericolo rispetto all'autunno del 2008". Secondo l'Insurance Corporation, l'agenzia federale che garantisce la sicurezza dei depositi, ben 416 banche americane rischiano di fallire; inoltre i Funzionari del tesoro americani "Temono che i segnali di ripresa dell'economia statunitense siano annullati dal crollo degli immobili commerciali". Anche questi sono stati comprati con finanziamenti bancari, ma proprio a causa della crisi, gli interessi e le rate di restituzione rischiano di non poter essere pagate: "Alla fine del 2012 scadranno circa 153 miliardi di dollari di prestiti (...) Secondo la Deutshe Bank, circa cento miliardi rischiano di non essere rifinanziati".

Questa è la situazione nonostante tutte le parole spese per dire che la crisi è finita, ma: "Questa non è una crisi come tutte le altre, solo più grave, ma l'ultima convulsione del ruolo internazionale del dollaro. Non si può progettare la ripresa dell'economia ed impedire la ricaduta nel protezionismo e nella guerra senza riforme radicali". Quali?