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Mark Twain. Contro l’imperialismo

di Mario Grossi - 28/09/2009

controlimperialismo_fondo-magazineI miei primi ricordi di lettura sono ambientati in un ampio soggiorno di una casa di montagna, dove passavo parte delle nostre vacanze. D’inverno la notte calava assai presto e le serate duravano a lungo. Complici la mancanza del televisore, un armadio dalle ante vetrate ricolmo di edizioni economiche, un camino sempre acceso, un enorme tappeto dallo spesso vello, cominciai a gustare il piacere della lettura. E due fissazioni che mi porto dietro da allora nacquero proprio in quel soggiorno: la lettura dei “classici per l’infanzia” e lo sdraiarmi sui tappeti anche quando sono disponibili divani, poltrone reclinabili, letti. Sono tanto importanti per me, queste due cose, che sono pronto a difenderle a spada tratta contro ogni sopruso. È così che sono diventato lo zimbello casalingo rifiutandomi di acquistare un tavolino, da posizionare nel soggiorno di casa mia, che avrebbe occupato il mio posto sul tappeto e combattendo una aspra battaglia contro il chiuaua di mia cognata che, prepotente ed arrogante, come tutti i cani di piccola taglia, crede di poter scorrazzare a suo piacimento dovunque. Dovunque sì ma non sul mio tappeto, che difendo animalescamente dai suoi tentativi di esproprio.

E per difendere i “classici per l’infanzia”, ancor più duramente del mio tappeto, ho accettato di essere ironicamente preso in giro, da tutti coloro che sostengono che tanta passione era dovuta alla mia personalità infantile. Miscredenti, cani infedeli che non hanno ricevuto neanche una piccola fiammella di comprensione. Non verso il mio infantilismo (chissenefrega della loro incomprensione) ma verso l’infantilismo di questi strepitosi classici, che sono adatti all’infanzia ma che possono accompagnarti durante l’intero arco della tua vita, rispolverati e letti sempre, a qualunque età, in ogni circostanza, visto che la loro grandezza sta proprio in questo: sono immortali.

Ad esempio Mark Twain, noto all’intero universo per aver scritto Le avventure di Tom Sawyer e Le avventure di Huckleberry Finn. È senza dubbio una lettura che può essere intrapresa in giovanissima età. E quanti di noi si sono fatte grasse e innocenti risate leggendo e rileggendo le monellerie di Tom e Huck. Una lettura piana, fatta di scanzonate avventure, ingenua nel suo umorismo, lieta nel suo trascorrere temporale. Insomma adatta al divertimento di un bambino che immergendosi in quelle fantasiose e rocambolesche storie, spinge la sua fantasia fino all’immedesimazione con i protagonisti.

Poi, diventati adulti, le nostre letture si fanno più serie, più impegnate, magari per posa iniziamo percorsi che quasi si vergognano di quegli esordi così infantili e cominciamo a pensare appunto che si tratta di “classici per l’infanzia” e niente più.

Capita raramente di ritornarci. Io cominciai a rileggerli con una furia stupefacente per ripicca contro una mia zia, un po’ supponente invero, che mi accusò di analfabetismo perché le avevo confessato che all’età di venticinque anni ancora mi appassionavo (mi baloccavo secondo lei) con quel genere di letture.

Fu da allora che un nuovo mondo si dischiuse ai miei occhi e capii la loro grandezza.

Prendete Le avventure di Huckleberry Finn. Tra le solari pieghe delle sue peregrinazioni sul Mississippi alla costante ricerca di guai s’insinua una sfumatura, un lieve cono d’ombra che si percepisce solo con una lettura disincantata, tipica dell’adulto. Ma che ci troviamo di fronte ad un autore problematico, che utilizza tutte le sue risorse umoristiche che talvolta si colorano di un sarcasmo leggero e al tempo stesso acidulo, ce n’accorgiamo subito. Che cosa vuol dire quel rifiuto di Huck di farsi adottare dalla zia Sally e finalmente tornare in seno ad una famiglia che lo porterà a inserirsi nel comodo e ipocrita contesto “perbene” della città borghese? Huck dichiara di preferire di fuggire all’Ovest piuttosto che farsi “civilizzare” dalla zietta. Testimonia il fatto che Mark Twain non è affatto solo quello scrittore lineare che vorrebbero farci credere gli agiografi più stolti, ma piuttosto uno scrittore per nulla disponibile ad accettare ciò che lo contorna.

Se rileggiamo il divertentissimo Un americano alla corte di re Artù ci scompisciamo per l’uso dilatato e deformato dell’anacronismo che fa da tessuto a tutto il romanzo, ma non ci sfugge la sottostante critica, anche serrata, ad una certa modernità che si fa fagocitare dai suoi stessi strumenti ed obiettivi. Il romanzo può essere letto come un’accusa alla mitologia americana e al suo individualismo.

L’esilarante storia del capo-operaio di una fabbrica d’armi del Connecticut, proiettato nell’Inghilterra della Tavola Rotonda, che regala una modernità sfrenata a quel mondo sonnolento e retrogrado, finisce con una clamorosa inversione di senso. Un orrendo massacro, generato proprio dall’introduzione delle armi da fuoco. «Entro dieci minuti da quando avevamo aperto il fuoco, la resistenza armata era del tutto annientata, la campagna era finita, e noi cinquantaquattro eravamo padroni dell’Inghilterra! Venticinquemila uomini giacevano intorno a noi».

Eccolo il Mark Twain autore per bambini. Uno scrittore critico, per nulla in linea con il mondo che lo circonda e con i suoi miti.

Se poi si attinge all’enorme massa di scritti minori ci si accorge quanto sia limitata l’etichetta che gli è stata affibbiata. In Wilson lo zuccone, uno scambio di bambini nella culla diventa il pretesto per un violento attacco alla schiavitù, ne L’uomo che corruppe Hadleyburg Twain si scaglia contro il denaro, fonte principale di manipolazione e deformazione dell’agire collettivo, così come ne La banconota da un milione di dollari con la quale il possessore vive senza spendere un soldo, utilizzandola come strumento fascinatore dei gonzi che abboccano. Nel Diario di Eva, il suo esilarante punto di vista fa da contraltare ad una creazione descritta nell’Antico Testamento in un’ottica totalmente maschiocentrica. In Viaggio in Paradiso l’oggetto delle sue sarcastiche attenzioni è una certa religiosità sciropposa e autoassolutoria fatta tutta di soffici nuvole, strumenti celestiali e musiche paradisiache (che palle il Paradiso concluderà alla fine).

Insomma un attacco diretto e neanche tanto velato al mucchio di luoghi comuni che andavano a stratificarsi e a incrostarsi sul modello di vita che si strutturava negli USA tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Anni in cui, conclusa l’esperienza della frontiera, i governi americani si affacciarono da par loro sullo scenario mondiale.

E l’attualità degli scritti di Twain lo possiamo fortemente comprendere proprio in questi giorni con i recenti fatti dell’Afganistan che hanno portato all’attentato che ha provocato sette vittime tra i militari italiani e a una serrata discussione circa la nostra permanenza o meno a fianco degli USA in quella terra bellicosa.

Di Mark Twain è stata pubblicata quest’anno a cura di Minimum Fax una raccolta di scritti che porta il titolo Contro l’Imperialismo. Articoli di giornale e testi di conferenze che, nel suo solito stile irridente e corrosivo, affondano il coltello nella piaga del morente colonialismo di stampo europeo e del nascente imperialismo americano.

Sono articoli tesi a condannare furiosamente la politica estera americana e le sue scelte, nuove allora ma che si sarebbero ripresentate immutate nel corso degli anni successivi, fino ai nostri giorni, tanto che il pezzo intitolato Alla Persona che Vive nelle Tenebre sembra essere stato scritto per i fatti d’Afganistan.

Lo spunto sono le azioni intraprese nel biennio 1898-1899, quando gli Stati Uniti occuparono in sequenza Cuba, Portorico, Guam, le Filippine, le Hawaii, le Samoa, secondo un schema identico e replicato con successo: le popolazioni locali si ribellavano contro il declinante dominio coloniale spagnolo, gli Stati Uniti intervenivano a fianco dei rivoltosi promettendo loro l’indipendenza e a vittoria avvenuta procedevano alla conquista del territorio “liberato”, sconfiggendo sul campo gli alleati di ieri e trasformando quei paesi in “protettorati” variamente definiti.

Leggendo questo passo dell’articolo ci si rende di quanto sto dicendo.

«Ci assicurammo l’aiuto della popolazione filippina grazie… grazie all’ingegno… e avevamo mentito, proclamando ufficialmente che le nostre forze terrestri e navali erano arrivate per restituire loro la libertà e spazzar via il cattivo governo spagnolo; li avevamo ingannati. A quel punto, decidemmo che era arrivato il momento di sbarazzarci del limone spremuto e l’avevamo buttato via…. Un soldato filippino, mentre attraversava quel territorio, dove nessuno aveva il diritto d’impedirgli di muoversi, venne colpito dalle nostre sentinelle… Quel che noi volevamo, nell’interesse del Progresso e della Civiltà, era l’Arcipelago, senza la scocciatura dei patrioti in lotta per l’indipendenza; e quello di cui avevamo bisogno era una Guerra…. Non ci lasciammo sfuggire l’occasione (…) A questo punto della nostra esplicita dichiarazione alla Persona che Vive nelle Tenebre, dovemmo indorare la pillola con qualche frase fatta sulle Benedizioni della Civiltà - tanto per cambiare e rinfrancare lo spirito - e poi ricominciare con la nostra storia … E a questo punto concepimmo l’idea divinamente umoristica di comprarci quel fantasma dalla Spagna… Ratificato il Trattato, sottomessa Manila, acquistato il Fantasma, non ci servivano più Aguinaldo (il capo dei rivoltosi - nda), né i legittimi proprietari dell’Arcipelago … Provocammo allora una guerra, e da quel momento non abbiamo fatto altro che incalzare il nostro ospite e alleato fin dentro le boscaglie e le paludi».

Continua Mark Twain

«Certo, abbiamo schiacciato un popolo ingannato e fiducioso; ci siamo scagliati contro i deboli e gli indifesi che avevano fiducia in noi; abbiamo spazzato via una repubblica giusta, intelligente e ben organizzata, abbiamo pugnalato alle spalle un alleato e preso a schiaffi un ospite; abbiamo comprato un’Ombra da un nemico che non aveva nulla da vendere; abbiamo derubato della terra e della libertà un amico che si fidava di noi; abbiamo esortato i nostri ragazzi puliti e onesti a imbracciare un moschetto screditato e a fare un lavoro da banditi … ma ogni singola cosa è stata fatta per il bene comune. Lo sappiamo. Il Capo di ogni Stato e Sovranità nel Mondo Cristiano e il novanta per cento di ogni corpo legislativo del Mondo Cristiano, inclusi il nostro Congresso e le nostre cinquanta Legislature Statali, sono membri non solo della chiesa, ma anche del Trust Benedizioni-della-Civiltà. Quest’accumulo che abbraccia tutto il mondo di morali ammaestrate, di elevati principi, e di giustizia, non può compiere un atto sbagliato, un atto ingiusto, un atto ingeneroso, un atto sporco. Sa di che si tratta. Non temere: va tutto bene. Ora questo sì convincerà la Persona. Vedrete. E rimetterà in piedi gli Affari. Inoltre, eleverà il Maestro del Gioco al posto vacante nella Trinità dei nostri dei nazionali: Washington, la Spada del Liberatore; Lincoln, le Catene Spezzate dello Schiavo; il Maestro, le Catene Riaggiustate. Vedrete come ripartiranno gli Affari! Quanto poi alla bandiera della Provincia Filippina, la cosa è presto risolta. Potremmo adottarne una speciale… con le strisce bianche dipinte di nero e le stelle sostituite da teschi e tibie incrociate.Il Progresso e la Civiltà conosceranno un vero boom, e vedrete che inganneranno anche la Persona che Vive nelle Tenebre: così potremo riprendere i nostri affari alla vecchia bancarella».

Basta sostituire alle Filippine, l’Iraq o l’Afganistan e scoprire che le cose sono identiche anche oggi.

Se proprio volete trovare una diversità, tra tante inquietanti similitudini, ve ne suggerisco una io.

Rispetto al passato, oggi non c’è un Mark Twain pronto a rovesciare fiumi di sarcasmo su un’ipocrisia che ha il sapore dell’immortalità.

 

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