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I fatti e gli ideali

di Alessio Mannino - 29/09/2009

  

I fatti, prima di tutto. Un fatto è che in Italia il mercato editoriale non è un mercato libero: è un oligopolio di potentati economici e finanziari intrecciati fra di loro, che se si fanno la guerra se la fanno lasciandone fuori chiunque non sia del loro comune giro. Sulla Voce del Ribelle ho dato conto di chi sono i padroni dell'informazione italiana: sette grandi gruppi (Rcs Mediagroup, Mediaset-Mondadori, Gruppo L’Espresso, Gruppo Il Sole 24 Ore, Gruppo Riffeser, Gruppo Caltagirone, Telecom Italia Media) fra i quali sta tentanto di infilarsi anche il magnate internazionale Murdoch con Sky, e in mezzo ai quali, negli interstizi, restano le briciole per i media locali. Di questa compagnia di industriali, palazzinari, banchieri e finanzieri, Silvio Berlusconi è il primus inter pares. La sola differenza, ma rilevante, è che ha unito nella sua persona potere invisibile (economico) e potere visibile (politico). Ha scoperto le carte sbattendo in faccia il conflitto d'interessi al popolo italiano, che non se ne cura e lo vota lo stesso.
Un fatto è che se il giornalismo è asservito agli interessi di questi editori tutt'altro che puri perchè immischiati in mille settori dell'economia e della finanza, il problema di essere messi a conoscenza di tutte le notizie utili per non farsi infinocchiare è una questione strutturale. Attiene alla proprietà dei mezzi di comunicazione in quanto tale, che dovrebbe non tanto assoggettarsi al criterio liberale della concorrenza e della pluralità, quanto alla prassi dell'editoria pura. Cioè: chi possiede un giornale, una tv, una radio, non deve poter occuparsi di nient'altro. Deve fare l'editore e basta. Il suo solo cliente e referente dev'essere il lettore.
Un fatto è che ci propinano il non fatto di una stampa divisa fra nobili ideali di destra e nobili ideali di sinistra. Di nobile c'è poco. Quel che davvero c'è lo vediamo ogni giorno coi ciclici "casi" fatti scoppiare da una banda contro l'altra. I repubblichini di Repubblica che montano una campagna su due querele del premier, invitando tutti i firmaioli del mondo a sottoscrivere un appello per la libertà d'informazione (che secondo loro s'indentifica nelle sue pagine e nelle sue domande), contro i giornalai del Giornale che usano lo stessa sistema di pescare nel torbido per far fuori giornalisti per niente scomodi - Boffo, una mezza figura - e magari ridurre a più miti consigli una Chiesa felicissima di ricontrattare i patti coi palazzi d'oltretevere.
Un fatto è che se dovessi immaginare una testata giornalistica che possa dirsi "libera", la descriverei come un'orchestra di voci dissonanti in cui più stecche si fanno sul coro e meglio è. E il coro esegue lo spartito sempre uguale dei totem e dei tabù del sistema. Un totem, per esempio, è dare per buono e intoccabile che esista un signore, tal Mario Draghi a capo della privata Banca d'Italia, che tiene in ostaggio la vita del nostro paese facendo la guardia al signoraggio monetario, oggi in formato euro. Un tabù è non parlare mai, dico mai, dei simpatici ritrovi di multimiliardari, generaloni e speculatori noti come Bildenberg Group e Commissione Trilaterale, ai cui preziosi consigli (leggi: ordini) si abbevera quel sant'uomo di Barack Obama.
Un altro fatto è che, per un giornalista (quale il sottoscritto prova ad essere), scrivere in totale liberà di coscienza è impossibile. Ci si deve adattare al meglio delle possibilità date. Ciò che va tenuto fermo, sempre e comunque, è il proprio diritto-dovere di mandare in stampa solo ciò che si vede e si pensa, e per il resto, umanamente, si fa quel che si può. Anche se si è zeristi.
Pochi giorni fa è nato un giornale, il Fatto Quotidiano, in cui si sono accasati quei revenants di sinistra che non trovano più spazio nell'editoria legata al Pd (La Repubblica, L'Unità) o abbarbicata sul comunismo di strada (Il Manifesto). Ma anche qui, ci sono fatti che non possono essere ignorati. E' un fatto che il Fatto abbia alle spalle una casa libraria (Chiarelettere), il suo direttore Antonio Padellaro e il vero dominus  dell'iniziativa, Marco Travaglio (che di sinistra per la verità non è, e che ha il pregio-difetto di imbastire tutto il suo modo di raccontare la realtà attorno alla discriminante giudiziaria). Nessun costruttore, titolare di cliniche, casa automobilistica, banca d'affari o raider di borsa - e nessun presidente del consiglio o aspirante tale. Tra l'altro, esistono penne indipendenti la cui firma campeggia su organi posseduti da costoro: un Franco Cardini, ad esempio, sulla Nazione e sul Tempo. Montanelli aveva come editore del suo Giornale lo stesso Berlusconi. Giulietto Chiesa, che pure ha un passato di ben sistemato inviato-apparatchick del Partito Comunista, si è dovuto creare un piccolo circuito (sito internet, rivista e web-tv) per non dover elemosinare un pezzo ogni tanto sulla Stampa o sui quotidiani EPolis. Ma, tornando alla novità del Fatto, un ultimo fatto è che, pur essendo la linea quella del mondo girotondino e radical-chic (Colombo, Flores d'Arcais, etc), c'è una salutare apertura a punti di vista che a quel mondo non appartengono (il nostro Fini, Telese, Beha). Secondo quel principio di coesistenza dei diversi che, come dicevo, è già garanzia di una sufficiente libertà. Sufficiente, non completa. Non ideale. Ma i fatti, purtroppo o no, non sono mai come li vorremmo.