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Viaggio al centro delle città in Transizione

di Miriam Giudici - 06/10/2009

In pochi anni il movimento delle Transition Towns ha portato in varie parti del mondo una filosofia basata sul diretto coinvolgimento delle comunità locali nel pianificare un futuro sostenibile, basato sull’opzione per le energie rinnovabili e il consumo di prodotti locali. Vediamo che cosa succede a Totnes, cittadina inglese epicentro del movimento dove abita Rob Hopkins, il fondatore. E vediamo anche come questo modello si stia adattando anche a un quartiere londinese: Brixton.

 

totnes transition town
Totnes, in Gran Bretagna, è l'esempio più famoso di questo movimento
“Pensare globalmente, agire localmente”: in questo semplice slogan si possono riassumere l’obiettivo e il modus operandi del movimento delle Città in Transizione, di cui Terranauta ha ampiamente parlato e che sta diventando una realtà sempre più importante nel panorama dell’ambientalismo internazionale.

 

Una filosofia che ha attecchito anche in Italia ma che è nata tutta in ambito britannico e ha trovato il suo promotore in Rob Hopkins, esperto di permacultura, che dopo una prima esperienza in Irlanda, a Kinsale, ha fatto della cittadina di Totnes, in Gran Bretagna, l’esempio più famoso di questo movimento.

Questo villaggio di 8.500 abitanti nel sud-ovest dell’Inghilterra – già noto come luogo di villeggiatura di una classe medio-alta piuttosto “alternativa”, istruita e orientata a un certo tipo di consumi materiali e culturali –è stato da subito terreno fertile per le idee di Hopkins. Partendo da una presa di coscienza dei problemi che ci affliggono su scala planetaria – il cambiamento climatico, la futura penuria di fonti di energia non rinnovabili, la questione dello sfruttamento delle risorse idriche – Hopkins e i suoi sono riusciti a coinvolgere una piccola comunità che ha iniziato a compiere la sua piccola rivoluzione nel nome dell’autosufficienza. L’obiettivo è che produzione, distribuzione e consumo (di energia, di acqua e di cibo, principalmente) diventino il più possibile locali, indipendenti da fattori esterni. E così via libera a progetti riguardanti l’uso di fonti energetiche rinnovabili, spesa a chilometro zero, coltivazione di community gardens, mobilità sostenibile. L’idea forte è stata quella di introdurre una valuta locale, la sterlina di Totnes, cambiata 1 a 1 con la sterlina del Regno Unito. Questa moneta – spendibile nella settantina di negozi iscritti al movimento – incentiva l’acquisto di prodotti locali, cosa che determina una diminuzione delle emissioni di CO2 dovute al trasporto e un effettivo sostegno alle imprese del posto.

 

giardino totnes transizione
Hopkins e i suoi sono riusciti a coinvolgere una piccola comunità che ha iniziato a compiere la sua piccola rivoluzione nel nome dell’autosufficienza
Ma sarebbe sbagliato concentrarsi esclusivamente su questa autosufficienza “monetaria” che è solo uno dei tanti progetti messi in campo. Uno dei pilastri dell’economia di Totnes viene, infatti, dallo scambio e dalla condivisione di cose molto concrete come ad esempio, risorse o materiali inutilizzati da ditte e imprese. Chi ha manodopera inutilizzata, materiali che crescono, spazi vuoti in immobili o mezzi di trasporto, è incentivato a condividere tutto ciò con altre imprese che ne hanno bisogno, secondo il Business Resource Exchange Project. Chi possiede un giardino che non riesce a curare per mancanza di tempo o capacità, è invitato a condividerlo con chi invece può coltivarlo, nell’ambito del Garden Share Project. Con due progetti chiamati The Great Re-skilling (per recuperare abilità perdute in tema di giardinaggio, cucina, fai da te) e Transition Tales (racconto di esperienze reali ma anche di “visioni” per il futuro) si possono condividere anche conoscenze, saperi e persino storie.

 

Raccontata in questo modo Totnes appare un piccolo paesino fatato, che ha attuato la sua piccola svolta “verde” proprio in virtù del suo essere piccolo, circondato da fertili campagne, e abitato da una popolazione particolarmente istruita, ricettiva, e anche – non trascuriamolo – danarosa. Ma è possibile “pensare globalmente e agire localmente” in contesti in cui le politiche ecologiche non sembrano essere il problema più pressante? Il movimento delle Transition Towns può sopravvivere ad esempio nei sobborghi delle metropoli, nelle aree ad alta densità abitativa, nei sobborghi periferici “difficili”?

 

moneta transizione brinxton pound
Dal 17 settembre di quest'anno il quartiere ha la sua moneta
Forse ce lo dirà l’esperienza di Transition Town Brixton. Un tentativo appena nato di applicare la filosofia delle città di transizione proprio a un quartiere di Londra popoloso e multietnico, abitato in prevalenza da immigrati di origine caraibica, non certo ricco, che non da molti anni è riuscito a smentire una brutta fama fatta di violenza e criminalità.

 

Dal 17 settembre di quest’anno, infatti, il quartiere ha la sua moneta chiamata Brixton Pound che, come a Totnes, cercherà di incentivare la gente a comprare presso negozi locali indipendenti e di spingere i negozi stessi a servirsi di fornitori del posto. A questo si affiancheranno i consueti progetti per la riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO2, nel trasporto pubblico, nel riciclaggio dei rifiuti, nello stop agli sprechi e nello sviluppo di orti urbani. Grande enfasi è data naturalmente ai progetti di sensibilizzazione ed educazione. A Brixton si lavora su numeri più grandi di quelli a cui sono abituate le Transition Towns (oltre 60mila persone sono potenzialmente interessate), e soprattutto su un pubblico che normalmente è difficile da raggiungere per le campagne di tipo ecologista.

Da Totnes a Brixton il passo è lungo. Una sfida decisiva e una scommessa importante con e per il movimento. Noi naturalmente facciamo il tifo.