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Ultime notizie dal mondo

di redazionale - 07/10/2009

 

·        Libano. 15 settembre. L’incarico di formare un nuovo esecutivo è stato affidato di nuovo al premier uscente Saad Hariri. Ma il consenso in parlamento è sceso da 84 a 73. Per la formazione del governo precedente i voti di consenso in parlamento erano stati 84. La defezione più illustre è stata quella del presidente del parlamento Farid Makari, che fino alla settimana scorsa aveva garantito l’appoggio ad Hariri. I partiti di opposizione, Hezbollah e Amal, si sono rifiutati di nominare un candidato alternativo e hanno annunciato che accetteranno la formula del 15-10-5 (15 ministeri alla maggioranza, 10 all’opposizione, 5 al presidente). Il primo governo Hariri era caduto il 7 settembre dopo che il capo dell’opposizione cristiana, Michel Aoun, aveva rifiutato di collaborare con il governo.

 

·        Italia. 16 settembre. «Anche se USA e Italia cooperano strettamente su numerosi temi, ci sono, comunque, alcune posizioni della politica estera italiana che continuano a preoccuparci». Così aveva detto alla Commissione Esteri del Senato statunitense, il 16 luglio, prima del via libera parlamentare al suo incarico, David H. Thorne, finanziere, ora nuovo rappresentante diplomatico di Washington a Roma. «L’ho detto davvero?», così risponde con aria scherzosa al Corriere della Sera, nella prima intervista da ambasciatore in Italia. Tra i suoi obiettivi, quello di evitare che il nostro Paese dipenda troppo dalla Russia per la fornitura di gas e petrolio. In questione vi è l’oleodotto South Stream, caro alla Russia, invece che il Nabucco, caro agli USA. «Una delle più grandi preoccupazioni della politica americana è la dipendenza energetica dell’Europa. Che non dipenda da una sola fonte e che le diversifichi: Nord Africa, Iran, Russia... L’Italia è in procinto di riprendere il suo programma nucleare, ne ho parlato nei miei incontri e mi pare ci sia un interessante impegno del governo a farlo. Al Dipartimento di Stato, nel governo americano, il timore riguarda l’Europa, non solo l’Italia». Un accenno anche ai rapporti con Gheddafi: «Sappia­mo che l’Italia ha da tan­to strette relazioni con la Libia, dalla quale rice­ve energia. L’accoglien­za libica ad Al Maghrai (agente segreto condan­nato per la strage di Lockerbie e rila­sciato dalla Gran Bretagna, ndr) non è stata un bello spettacolo, ha risollevato vecchi problemi». Thorne si è quindi soffermato sull’impegno militare in Afghanistan («le cose potrebbero peggiorare, l’Italia è un forte alleato e ci aspettiamo che continui») e sull’Iran («siamo preoccupati [...] di gestire le relazioni con l’Iran in un fronte unito. Vogliamo essere certi che tutti, Italia compresa, partecipino compatti a questa gestione»).

 

·        Russia / Israele. 16 settembre. Benjamin Netanyahu ha visitato segretamente Mosca all’inizio della scorsa settimana. Lo ammette lo stesso gabinetto del primo ministro israeliano. La stampa israeliana ha affermato che Netanyahu ha utilizzato un aereo della società privata Merhav, di proprietà di Yossi Maiman, ex capo del Mossad in America Latina. Secondo fonti della rete Voltaire, l’ammissione è legata al caso del cargo Artic Sea, che sarebbe stato utilizzato per una operazione del Mossad. Mosca, che non ha mai perso di vista la nave, avrebbe finto di chiedere aiuto alla NATO per costringere gli occidentali a scoprire le proprie carte per rivelare se fossero o meno coinvolti nell’operazione. Sempre secondo fonti dell’agenzia francese, la disinformazione secondo cui il cargo trasportava armi all’Iran, nel quadro del traffico organizzato dalla mafia e all’insaputa delle autorità russe, sarebbe intossicazione diffusa da parte israeliana per nascondere le sue attività. Tuttavia l’esatta natura di tali attività non è stata specificata. L’Artic Sea è una nave gestita da una società finlandese e battente bandiera maltese. Il suo proprietario e il suo equipaggio sono russi. Ufficialmente stava trasportando legname tra la Finlandia e l’Algeria. È stata presa d’assalto da un commando armato, travestito con uniformi svedesi, il 24 luglio, al largo della costa della Svezia. Le autorità marittime hanno perso il contatto con essa il 20 luglio. Il 14 agosto, la Russia ha dichiarato che era stata dirottata, mobilitando notevoli risorse militari per trovare i suoi cittadini (e il carico) e sollecitando l’aiuto della NATO nella sua ricerca. Individuata la nave il 17 agosto, al largo di Capo Verde, ne ha ripreso il controllo, rimpatriato l’equipaggio, posto al sicuro i membri del commando e vietato contatti con la stampa.

 

·        USA. 16 settembre. La CIA non renderà pubblici i documenti sul ruolo del governo Bush nelle torture e sulle prigioni segrete. Motivo? Secondo l’agenzia di intelligence statunitense, una divulgazione delle informazioni su quelle che chiama «tecniche d’interrogatorio incrementate» (le torture) sarebbe rischiosa per la sicurezza nazionale, esponendo le fonti ed i metodi classificati d’intelligenza. A scriverlo è granma.cu. La risposta fa seguito ad una denuncia giudiziaria presentata dall’Unione per le Libertà Civili (Aclu) negli Stati Uniti. Il rifiuto è avvenuto una settimana dopo che il Dipartimento di Giustizia aveva reso pubblico un rapporto sulle torture nelle prigioni all’estero, avviando un’inchiesta sulla condotta degli interrogatori dell’Agenzia. Detta inchiesta è stata criticata perché centrata sulle operazioni di basso livello e non sui funzionari dell’amministrazione Bush, che avevano autorizzato le pratiche implementate per queste operazioni.

 

·        Italia / Afghanistan. 17 settembre. L’Italia, in Afghanistan, che ci sta a fare? Intervistato dalla rivista di geopolitica, Limes, il gen. Fabio Mini è perentorio: «Il ruolo italiano è stato chiaro solo per pochi mesi nel 2002. Poi con l’inserimento della NATO e con l’allargamento della giurisdizione NATO a tutto l’Afghanistan è diventato più definito in termini tattici e più confuso in termini strategici e politici. Anzi quelli politici sono proprio scomparsi. Il ruolo è importante anche perché almeno si potrebbe sapere per quale causa -quella con la C maiuscola- sono morti i nostri soldati. Temo che la risposta non ci sia. O che quella plausibile sia anche peggiore dell’attentato. Oggi in Afghanistan non esiste più alcuna grande strategia». Quindi Mini passa in rassegna i principali errori degli Stati Uniti e della coalizione in Afghanistan. «Primo errore fondamentale politico strategico è stato quello di considerare il regime dei taliban abbattuto (...). Il secondo errore è stato quello di ritenere che un autorevole personaggio come Karzai potesse interpretare la volontà e le aspettative di tutto l’Afghanistan e dovesse necessariamente appoggiarsi alla forze straniere. Terzo errore è stato quello di sovrapporre l’azione di ISAF (NATO) a quella di Enduring Freedom (USA) e poi quello di allargare ISAF mantenendo lo stesso numero di uomini e poi di fare un nuovo patto internazionale con l’Afghanistan basato sulle chiacchiere. E poi... mi sembra che ce ne sia abbastanza per dichiarare che tutti questi errori hanno distrutto la parvenza di strategia iniziale e non hanno mai consentito di formulare una nuova strategia». Quindi sul Pakistan: «non è solo un attore comprimario ma un protagonista. Obama forse farebbe meglio a occuparsi più del Pakistan che della delegittimazione di Karzai. Un Pakistan negletto può essere la tana nella quale si nasconde il lupo. Un Karzai delegittimato e vendicativo può essere il germe di una guerra civile».

 

·        Israele. 17 settembre. Donna palestinese racconta torture e umiliazioni nelle prigioni israeliane. Momenti drammatici nel racconto di Sabrin Abu Amara, la giovane donna palestinese che per 6 anni ha dovuto sopportate la galera e che, come spiega, ha assistito a comportamenti disumani nei confronti delle donne palestinesi. Abu Amara ha raccontato all’emittente iraniana Irib i comportamenti vergognosi ed oltraggiosi dei carcerieri israeliani nei confronti delle donne palestinesi nel periodo di prigionia. Intanto anche l’avvocato israeliano, Lia Samal, ha confermato che il comportamento riservato alle donne palestinesi nelle prigioni israeliani non è assolutamente basato sulle leggi internazionali. Ad esempio, spiega l’avvocato israeliano, «le perquisizioni corporee alle donne vengono effettuate da carcerieri di sesso maschile; in più sono all’ordine del giorno le torture. Le donne palestinesi», conclude Samal, «non hanno il diritto di vedere la propria famiglia e, se si ammalano, non ricevono cure mediche».

 

·        Afghanistan. 17 settembre. Le elezioni in Afghanistan, fortemente contestate per i brogli, hanno «complicato il quadro» per l’amministrazione Obama in vista di una revisione delle strategie di guerra degli Stati Uniti. Lo ha detto il segretario alla Difesa, Robert Gates, nel corso di una conferenza stampa. «Resta da vedere quali saranno gli esiti delle elezioni, ma non c’è dubbio che abbiano complicato il quadro», ha detto Gates.

 

·        Italia / Afghanistan. 18 settembre. «Fosse solo Bossi a dire ‘tutti a casa’». Il problema per Berlusconi è che l’opinione pubblica italiana chiede a grande maggioranza il rientro del contingente dall’Afghanistan. Così Francesco Verderami sul Corriere della Sera. «E non da oggi. Già a luglio tutti gli istituti demoscopici lo rilevarono, dopo la morte del paracadutista Di Lisio, saltato su una mina esplosa al passaggio di un convoglio militare in una strada a nord-est di Farah. Quei sondaggi avevano trovato conferma la scorsa settimana in un nuovo rilevamento di Ispo, dal quale risultava che solo il 26% degli italiani restava favorevole al mantenimento della missione, mentre il 58% chiedeva il ritiro delle truppe. Si tratta di numeri che –secondo Mannheimer– ‘sono destinati inevitabilmente a salire dopo la strage di Kabul’». A mutare la «percezione dell’opinione pubblica rispetto alla fase iniziale della missione, quando l’invio dei militari era considerato dalla maggioranza dei cittadini “un contributo” per restituire la libertà al popolo afghano», sono stati la consapevolezza che «l’intervento umanitario si è trasformato in un’operazione di guerra», le notizie sulla produzione di oppio «come unica voce dell’economia interna», produzione ripresa grazie agli accordi tra americani e “signori della guerra”, il «dilagare del fenomeni di corruzione negli apparati dello Stato».

 

·        Italia / Afghanistan. 18 settembre. Con un «report d’inizio estate», scrive Verderami, «il Cavaliere aveva voluto ascoltare la voce del Paese: insieme a due cittadini su dieci che si opponevano comunque ‘a ogni tipo di guerra’, un altro terzo di italiani invocava il rientro dei militari, insieme a un 20% che chiedeva una riduzione del contingente e l’avvio di una exit strategy. Solo il restante 25% sosteneva ancora la missione, ma con una ridefinizione delle regole di permanenza». «Sono dati», prosegue Verderami, «che autorevoli dirigenti del Pdl hanno visionato, i più recenti. Sono dati che quasi certamente peggioreranno. Dopo le elezioni in Afghanistan, infatti, con le polemiche sui brogli, è assai probabile che la “fiducia” nell’esito della spedizione internazionale si sia ulteriormente abbassata rispetto a luglio. E allora era già bassa: quasi la metà dei cittadini riteneva che l’intervento a Kabul non avesse dato risultati e che i soldati italiani non fossero adeguatamente equipaggiati. L’attentato di ieri, con la morte dei militari, segna -a detta degli analisti- ‘un salto di qualità’ che bisognerà valutare nei test demoscopici: ai costi economici ora si aggiunge il costo altissimo di vite umane».

 

·        Italia / Afghanistan. 18 settembre. Verderami, sempre riferendosi «agli istituti di ricerca e a quali sviluppi abbiano avuto altri fattori, registrati da precedenti sondaggi», ne indica uno significativo: «l’opinione pubblica nel tempo ha iniziato a non comprendere il senso dell’intervento militare». E aggiunge: «paradossalmente era più facile capire la presenza in Iraq, dove c’è il petrolio». Ora, conclude Verderami, «è vero che sulla presenza delle truppe italiane in Afghanistan c`è una sostanziale convergenza tra maggioranza e opposizione, ma è altrettanto vero che -superati i giorni del lutto nazionale- toccherà a chi sta al governo, a Berlusconi, spiegare al Paese. E il Cavaliere sa che in quel 58% di cittadini che per Ispo sono contrari alla missione, il 48% vota centrodestra».

 

·        Italia / Afghanistan. 18 settembre. «In Afghanistan per puro servilismo verso gli Stati Uniti». Lo afferma il medico fondatore di Emergency Gino Strada su L’unità. Il medico, che non riesce neppure a capire perché la Fnsi abbia rinunciato alla manifestazione di sabato per la libertà di informazione, ricorda il voto del 7 novembre del 2001: «l’entrata in guerra dell’Italia decisa dal 92% del Parlamento italiano, il voto più bipartisan della storia della Repubblica», per puro «servilismo verso gli Stati Uniti». «Che cosa ci avevano fatto i talebani? Niente. E poi cosa avevano fatto anche agli americani?», si domanda Strada. «Non c’erano afghani nel commando dei terroristi delle Torri gemelle. Ma la rappresaglia di Bush scattò lì, con Enduring Freedom, il 7 ottobre. Per colpire le basi di Bin Laden, si disse. Otto anni dopo più dell’80% dell’Afghanistan è tornato sotto il controllo dei talebani, di Bin Laden non c’è traccia, sono morti 1.403 militari stranieri, spesi centinaia di milioni di euro e il Paese è più povero e più criminale, produce il 90% dell’oppio del mondo. Dopo otto anni l’unico centro di rianimazione è quello di Emergency a Kabul, sei letti di terapia intensiva per 25 milioni di persone. Spendiamo 3 milioni di euro al giorno per la guerra. Sai cosa avremmo potuto con questi soldi in Italia per i poveri, gli emarginati, chi ha bisogno. In moneta afghana invece avremmo potuto aprire 600 ospedali e 10 mila scuole».

 

·        Italia / Afghanistan. 18 settembre. «In Afghanistan è vera guerra. Dobbiamo ritirarci subito». Per Strada, «se si devono costruire dighe e ponti si mandino commando di ingegneri, non aerei telecomandati e bombe. Non tremila baionette, o fucili, per sostenere il dittatorello di turno». Quanto ai soldi della cooperazione internazionale, «noi non abbiamo ricevuto una lira quindi non so», dice il fondatore di Emergency, che rileva come «gli afghani che si lamentano, anche ora alle presidenziali, dicono che i soldi sono serviti soprattutto a ingrassare funzionari ministeriali e signorotti della guerra». Lasciare il Paese è la scelta da fare. «Finché c’è l’occupazione militare ci sarà la guerra. Emergency lavora in Afghanistan da 10 anni, da tempi non sospetti. Abbiamo curato 2 milioni e 200 mila afghani, il 10% della popolazione. In pratica una famiglia su due, sono famiglie con centinaia di persone, ha ricevuto nostre cure. Per questo a Laskhargah non è mai stato torto un capello al nostro personale internazionale. Tutti dovrebbero porre fine a questa guerra e lasciare che gli afghani trovino la loro soluzione attraverso il dialogo, che per la verità non si è mai interrotto, tra le varie fazioni di talebani, mujaeddin e questo governo». Strada conclude con una notizia inquietante: dei 35 feriti civili dell’attentato all’ospedale di Emergency a Kabul ne sono arrivati solo tre. Gli altri sono stati dirottati all’ospedale militare detto “dei 400 letti”, «struttura del tutto inadeguata, ma lì possono essere interrogati senza paroline dolci».

 

·        Italia. 18 settembre. Romina Power contro il vaccino per “l’influenza suina”. In una lettera aperta al ministro della salute e pubblicata dal periodico online La Scienza Verde, la famosa cantante nutre seri dubbi in merito ai vaccini contro la supposta “pandemia” A/H1N1, meglio nota come “febbre suina”, per cui sarebbero previste per l’Italia due “tranches” di vaccinazioni (autunno 2009 e una successiva all’inizio del 2010): «Secondo quanto apprendo dalle Vs dichiarazioni, i sintomi dell’influenza A/H1N1 non sarebbero altro che quelli della normale influenza stagionale, in forma più lieve per giunta. E mentre l’influenza stagionale provoca fino a 5000 decessi ogni anno solo in Italia, in questi mesi la A/H1N1 ha provocato “soltanto” poco più di 700 decessi in tutto il mondo. È perfino superfluo rammentarVi quanto possa essere nocivo un vaccino al sistema immunitario, specialmente nei bambini e negli anziani e, di conseguenza, quanto sia inopportuno scegliere la strada del vaccino per malattie di poco conto e scarsamente nocive come questa influenza suina».

 

·        Italia. 18 settembre. Prosegue la Power: «Gravissime accuse contro l’OMS, le case farmaceutiche Baxter, Sanafi-Aventis e Novartis e una serie di personaggi di rilievo della finanza e della politica internazionale, sono state mosse dalla nota giornalista austriaca Jane Burgermeister. Secondo la denuncia, sia il vaccino che la stessa epidemia A/H1N1 sarebbero armi biologiche deliberatamente utilizzate per la riduzione della popolazione mondiale. 4. L’ingiunzione dell’affermata giornalista contiene una dettagliata documentazione atta a dimostrare la reale entità dell’epidemia di influenza suina e del relativo vaccino, nonché le gravissime responsabilità degli enti e delle persone chiamate in causa. Sulla base dell’ingiunzione presentata dalla Burgermeister, sono attualmente in preparazione un’ulteriore ingiunzione ed una mozione ad opera di un team di esperti legali americani. Per quanto le gravissime accuse mosse contro l’OMS e Big Pharma siano ancora da dimostrare in tribunale, sarebbe quanto meno opportuno che il Ministero della Salute tenesse conto di queste, prima di “buttarsi a pesce” nell’avventura di una vaccinazione di massa».

 

·        Italia. 18 settembre. L’ex moglie di Albano rileva pure che la stessa OMS non ha escluso rischi, affermando che «nella produzione di alcuni vaccini per la pandemia sono coinvolte nuove tecnologie che non sono state ancora valutate estensivamente per la loro sicurezza in certi gruppi della popolazione». Inoltre «il vice ministro Fazio ha dichiarato che il costo per l’acquisto dei vaccini ammonterebbe a “poche centinaia di milioni di euro”. Una cifra, secondo il Vice Ministro che non creerebbe problemi, neanche in “periodi di magra” come questi. Con tutto il rispetto, considero questa dichiarazione un vero e proprio insulto ai cittadini che faticano ad arrivare a fine mese!». La Power anticipa dunque che, «nell’eventualità di una vaccinazione di massa, non mi sottoporrò ad essa. Se anche tale vaccinazione fosse fortemente vincolante o addirittura (Dio non voglia!) coatta, la rifiuterei comunque, sulla base dei punti elencati sopra, nonché delle ingiunzioni presentate. Sono in procinto di contattare la signora Burgermeister ed alcune delle più note associazioni italiane in difesa della libertà di scelta in materia di vaccinazioni sperando di ricevere aiuto e consiglio». La Power conclude asserendo che «al di là della preoccupazione di alcuni cittadini per questa influenza suina –preoccupazione esclusivamente generata dal vergognoso ed ingiustificato allarmismo dei media tradizionali (un vero e proprio “terrorismo mediatico”)– tanti italiani sono contrari al vaccino, lo reputano inutile e nocivo e vi intravedono i forti interessi lobbistici di Big Pharma, se non il tentativo di introdurre politiche di “militarizzazione” della sanità e di recare danno alla salute della popolazione».

 

·        Iran. 18 settembre. L’Aiea nega che Teheran possa già realizzare bomba. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) ha smentito l’esistenza di un proprio rapporto segreto secondo cui l’Iran sarebbe già in grado di costruire una bomba atomica e starebbe mettendo a punto un missile in grado di portare una testata nucleare. «Riguardo alle presunte rivelazioni dei media, l’Aiea ribadisce di non avere alcuna prova concreta che ci sia in Iran un programma nucleare per costruire un ordigno atomico», si legge in una nota di Vienna. In precedenza alcuni siti web, tra cui quello dell’israeliano Haaretz, avevano riferito di un rapporto Aiea, il cosiddetto «annesso segreto» mai diffuso dall’agenzia dell’ONU, secondo cui gli scienziati iraniani hanno «informazioni sufficienti» per costruire la bomba.

 

·        Italia. 19 settembre. Soldati USA della Ederle alla manifestazione contro la base USA “Dal Molin”: «avete ragione, basta guerra, basta basi». A Vicenza 1.500 persone hanno partecipato, ieri sera, alla fiaccolata convocata contro l’ipotesi della Prefettura di impedire i cortei nel centro cittadino. “Divieto alla guerra, non alla democrazia”, recitava lo striscione d’apertura, parlando del caso vicentino, ma anche delle stragi in Afghanistan. La sorpresa è stata la presenza di alcuni militari statunitensi della caserma Ederle che, nonostante i provvedimenti disciplinari che rischiano di vedersi comminare, si sono uniti ai cittadini vicentini e solidarizzato con loro al microfono. «È tempo di smettere la guerra in Afghanistan e riportare tutti a casa. E il nostro governo deve rinunciare alla nuova base al Dal Molin, che i vicentini non vogliono. Sono molti, all’interno della Ederle, a pensarla così», hanno detto i soldati USA di fronte ai manifestanti.

 

·        Islanda. 19 settembre. Se il debito non potrà essere ripagato, non lo ripagheremo. Così l’Islanda ha annunciato lo scorso mese che condizionerà il rimborso del suo debito alle proprie «capacità di pagamento». Se la recessione perdura, l’Islanda non rimborserà nulla. Pur dovendo stemperare la portata di questa decisione, dovendone verificare la sua effettiva applicazione, viene messo in discussione il pagamento incondizionato dei debiti esteri. Dopo 15 anni di crescita economica, dopo essere stato considerato uno dei paesi più ricchi del pianeta, l’Islanda ha conosciuto alla fine del 2008, secondo il FMI (Fondo Monetario Internazionale), la più pesante crisi bancaria nella storia di un paese industrializzato. È l’effetto delle politiche neoliberiste. Il settore bancario –le banche Kaupthing e Landsbanki, con i suoi conti corrente “Icesave” e i suoi ricchissimi azionisti proprietari nel Baltico e nell’Europa centrale – integralmente privatizzato nel 2003, ha fatto di tutto per attirare i capitali stranieri.

 

·        Islanda. 19 settembre. In appena 4 anni, il debito estero delle tre principali banche islandesi è più che quadruplicato, passando dal 200% del prodotto interno lordo nel 2003 al 900% nel 2007! Quando i mercati finanziari sono crollati nel settembre del 2008 e queste tre banche sono cadute in fallimento, esse erano impossibilitate nell’assolvere ai propri impegni, tanto più che il crollo dell’ 85% del valore della corona sull’euro non ha fatto che decuplicare il debito. Vista la portata del fallimento bancario, nessuno ha voluto prestare soldi o finanziare un qualunque tipo di salvataggio. I rubinetti si sono chiusi. L’Unione Europea e il FMI consigliano allora al governo islandese di socializzare le perdite del settore finanziario facendosi carico dei debiti delle banche. Insomma, una “nazionalizzazione” dei debiti privati! Ecco come funzionano in realtà le «regole di mercato»! Per trovare i finanziamenti necessari per il risanamento di questo nuovo debito nazionalizzato, i consigli del FMI sono chiari: tagli alla spesa pubblica, in particolare su sanità ed educazione, aumento delle imposte sul lavoro e imposte indirette e applicazione di una politica monetaria restrittiva (sostanziale aumento del tasso di interesse). Questo tipo di politiche assomigliano come due gocce d’acqua alle misure di «aggiustamento strutturale» che il FMI ha imposto in Sud America da più di 25 anni, con i risultati che ben conosciamo.

 

·        Islanda. 19 settembre. Rimborsare di qui all’autunno 2009 i debiti bancari verso gli investitori britannici e olandesi implicherebbe una forte austerità e provocherebbe in ultima istanza un aumento del debito pubblico estero dell’Islanda, che si attesterebbe al 240% del prodotto interno lordo. Il malcontento sociale intanto cresce. Le mobilitazioni hanno già costretto il governo alle dimissioni nel gennaio 2008. Le imposizioni del FMI non hanno fatto che accrescere le manifestazioni, evento rarissimo per questo paese, che si sono amplificate, in particolare davanti al parlamento islandese. Proteste popolari hanno creato un clima di crescente tensione politica e spinto alla richiesta di ridurre l’entità del debito a una cifra più sostenibile. La tensione politica è arrivata all’apice lo scorso fine agosto. Il Parlamento nazionale islandese ha così approvato una proposta che riduce di molto i pagamenti dovuti alla Gran Bretagna e ai Paesi Bassi, in cambio del rimborso dei loro titolari di conti Icesave. Questo accordo è il primo dagli anni ‘20 che subordina il debito estero alla capacità di pagamento del paese. I pagamenti islandesi saranno limitati al 6% della crescita del PIL del 2008. Ciò vuol dire che se i creditori riconosceranno l’attuale crisi islandese, non risulterà nessuna crescita e quindi non saranno pagati. C’è un limite ai pagamenti esteri che una singola economia può sostenere: anche se si alzano le tasse interne, il governo non può utilizzare completamente questa entrata per la bilancia dei pagamenti. Per questo l’Islanda rifiuta di farsi carico dell’intero debito Icesave, che secondo le stime ammonta alla metà del PIL. Un debito che non può essere pagato nei fatti, non sarà pagato. Rimane da discutere “come” questo debito non sarà pagato. Gran parte sarà cancellato? Oppure l’Islanda, la Lettonia e altri paesi debitori alzeranno le tasse, abbatteranno la spesa pubblica e obbligheranno i cittadini a utilizzare i loro risparmi nel tentativo di estrarre fino all’ultimo centesimo di surplus ed evitare il fallimento? Quali saranno allora le ripercussioni politiche? Intanto cresce il malcontento contro la stessa Unione Europea; e la Russia, interessata alle risorse e alla posizione strategica islandesi, aspetta alla finestra….

 

·        Unione Europea / Irlanda. 19 settembre. Barroso porta “aiuti” all’Irlanda prima del voto su Trattato di Lisbona. La Commissione Europea ha offerto 14,8 milioni di euro per aiutare i lavoratori lasciati a casa dall’impianto irlandese della Dell, poche settimane prima del voto in Irlanda sul trattato di riforma di Lisbona. Il presidente della Commissione Josè Manuel Barroso ha annunciato lo stanziamento nel corso di una visita ufficiale a Limerick, ancora alle prese con il taglio di 2.000 posti di lavoro da parte del principale produttore mondiale di chip. «Sono molto felice che la Commissione possa dimostrare concretamente la solidarietà dell’Unione a Limerick... in questo modo», ha detto Barroso. L’Irlanda deve ratificare il trattato di Lisbona perché abbia effetto in tutti i 27 Paesi del blocco. Gli elettori irlandesi, che rappresentano meno dell’1% del quasi mezzo miliardo di cittadini europei, hanno respinto il trattato in un referendum lo scorso anno. «La Banca centrale europea ha prestato oltre 120 miliardi di euro al sistema bancario irlandese, il 15% del totale dei prestiti della BCE», ha detto inoltre Barroso a un pubblico di consiglieri e rappresentanti locali a Limerick. «Essere nella zona euro ha dato un’ancora vitale di stabilità all’Irlanda in questo momento difficile», ha aggiunto. Senza però rilevare che i fondi della BCE sono pur prestiti che dovranno essere rimborsati, e senza spiegare perché la Commissione Europea, fustigatrice degli “aiuti di Stato” e della spesa pubblica, decida all’improvviso di stanziare fondi (da verificare l’effettiva corresponsione). Di sicuro è stata una bella pubblicità per il Sì.

 

·        Iraq. 19 settembre. «Non sono un eroe. Ho solo agito come un iracheno che ha visto il dolore e il massacro di troppi innocenti». Così su The Guardian Muntazer Al Zaidi, divenuto famoso in tutto il mondo per la sua scarpa lanciata in faccia a Bush durante una conferenza stampa a Baghdad. L’articolo Why I Threw the Shoe (“Perché ho lanciato quella scarpa”) inizia così: «Io sono libero. Ma il mio paese è ancora un prigioniero di guerra. Si è parlato molto di cosa ho fatto e di chi sono io, se si sia trattato di un atto eroico e se io sia un eroe, come per rendere quell’atto un simbolo. Ma la mia risposta è semplice: ciò che mi ha spinto a quel gesto è l’ingiustizia che si è abbattuta sul mio popolo, nonché il modo in cui l’occupazione ha umiliato la mia patria schiacciandola sotto il suo stivale».


·        Iraq. 19 settembre. Puntualizza Al Zaidi: «durante gli ultimi anni, più di un milione di martiri sono caduti sotto i proiettili dell’occupazione, ed oggi l’Iraq conta più di 5 milioni di orfani, un milione di vedove e centinaia di migliaia di mutilati. Molti milioni sono senza tetto, sia dentro che fuori dall’Iraq». Il giornalista sottolinea come «l’Iraq era una nazione nella quale l’arabo divideva il pane con il turcomanno, il kurdo, l’assiro, il sabeano e lo yazid. Gli sciiti pregavano assieme ai sunniti. I musulmani festeggiavano assieme ai cristiani la nascita di Cristo. E ciò nonostante il fatto che condividessimo la fame, essendo sotto sanzioni per più di un decennio. La nostra pazienza e solidarietà non ci ha fatto dimenticare l’
oppressione. L’invasione, tuttavia, ha diviso anche i fratelli e i vicini di casa. Ha trasformato le nostre case in camere da funerale».

 

·        Iraq. 19 settembre. Ci tiene a ribadire Al Zaidi: «Non sono un eroe. Ma ho un punto di vista. Ho una posizione precisa. Mi ha umiliato vedere il mio paese umiliato; e vedere la mia Baghdad bruciare, la mia gente morire. Migliaia di immagini tragiche rimangono nella mia testa, spingendomi sul cammino del conflitto. Lo scandalo di Abu Ghraib. Il massacro di Falluja, Najaf, Haditha, Sadr City, Bassora, Diyala, Mosul, Tal Afar, ed ogni angolo di territorio martoriato. Ho viaggiato attraverso il mio paese in fiamme e ho visto con i miei stessi occhi il dolore delle vittime, ho sentito con le mie stesse orecchie le grida degli orfani e le vedove. Una sensazione di vergogna mi ha perseguitato come una maledizione, perché ero impotente di fronte a tutto ciò». Al Zaidi intanto accumulava rabbia che non attendeva altro che la giusta possibilità di sfogo: «Non appena ho terminato i miei impegni professionali nel documentare le tragedie quotidiane, mentre sgomberavo le rovine di ciò che rimaneva delle case irachene, mentre lavavo il sangue che macchiava i miei vestiti, serravo i denti e ripromettevo di vendicare le nostre vittime. L’occasione si è presentata, ed io l’ho sfruttata».

 

Iraq. 19 settembreIl gesto di Zaidi è stato un atto di lealtà nei confronti di ogni goccia di sangue innocente versato con l’occupazione o a causa di essa, per ogni grido delle madri in lutto, ogni lamento degli orfani, la sofferenza delle donne violate, le lacrime dei bambini. Nessun pentimento, anzi. Io dico a coloro che mi rimproverano per il mio gesto: sapete in quante case distrutte è entrata la scarpa che ho lanciato? Quante volte ha calpestato il sangue delle vittime innocenti? Forse quella stessa scarpa era la risposta più appropriata quando tutti i valori sono stati violati». E precisa: «Quando ho tirato quella scarpa in faccia al criminale George Bush, volevo esprimere il mio rifiuto nei confronti delle sue menzogne, per la sua occupazione del mio paese, il mio rifiuto per il suo massacro della mia gente. Il mio rifiuto per il suo saccheggio delle ricchezze del mio paese e la distruzione delle sue infrastrutture. E l’espulsione dei suoi figli in una diaspora senza precedenti».

 

·        Iraq. 19 settembre. «Ciò che volevo fare era esprimere con coscienza viva i sentimenti di un cittadino che vede il suo paese profanato quotidianamente». Così, in conclusione, il giornalista iracheno che auspica un giornalismo che vada a braccetto con la valorizzazione della nazione. «La professionalità, invocata da alcuni sotto gli auspici dell’occupazione, non dovrebbe avere una voce più alta della voce del patriottismo. Ma se il patriottismo ha bisogno di parlare, il professionista dovrebbe allearsi con lui. Non ho fatto questo gesto affinché il mio nome possa entrare nella storia o per guadagni materiali. Tutto ciò che volevo fare era difendere il mio paese».

 

·        Iran. 20 settembre. Tel Aviv attaccherà Teheran? No per il presidente russo Dmitriy Medvedev, che alla CNN ha riportato le “assicurazioni” del presidente israeliano Shimon Peres. «È la cosa peggiore che si possa immaginare», ha detto Medvedev. “Cosa accadrebbe poi? Una catastrofe umanitaria, un grande numero di rifugiati. E l’Iran vorrebbe vendetta, e non solo contro Israele, ma anche contro altri paesi. Gli eventi nella regione diventerebbero completamente imprevedibili. Penso che l’entità di tale catastrofe non sarebbe paragonabile a null’altro. Perciò, prima di prendere la decisione di lanciare qualunque attacco, bisogna considerare appieno la situazione. Sarebbe il modo più irrazionale di affrontare la questione. Ma i miei colleghi israeliani mi hanno detto che non stanno pianificando una cosa simile. E io credo loro».

 

·        Cina / India / USA. 20 settembre. Preoccupazione a Pechino per l’asse Washington-Nuova Delhi. In un articolo sul bimestrale “Ricerca della Verità” (Qiushi), organo di stampa teorico del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, si esprime preoccupazione per il rafforzamento della cooperazione tra USA e India nelle sfere militare, spaziale e del nucleare civile, sostenendo che ciò potrebbe cambiare gli equilibri geopolitici nell’Asia del Sud. È vero che le relazioni tra India e Cina sono migliorate notevolmente negli ultimi anni, come mostrano le risoluzioni di alcune delle dispute territoriali tra i due Paesi ed i legami economici e commerciali. A lungo termine la situazione potrebbe però cambiare. L’articolo menziona in particolare il concetto statunitense di «alleanza delle democrazie», le esercitazioni militari congiunte USA – India – Giappone e l’accordo di cooperazione nucleare, verificatasi nel 2007-08. Anche se gli accordi non sanciscono la nascita di una «alleanza» tra i due Paesi, la tendenza è quella di una cooperazione a lungo termine tra i due Paesi e di una ricerca di strategie geopolitiche convergenti.

 

·        Cina / India / USA. 20 settembre. Gli USA sono adesso diventati il più importante fornitore di armi dell’India, e gli accordi faranno aumentare in futuro le esercitazioni militari congiunte USA-India. Già nel 2007, durante l’esercitazione «Malabar», l’India ha adottato delle procedure operazionali NATO. Gli Stati Uniti hanno inoltre permesso alle forze navali indiane l’accesso al proprio sistema satellitare. Washington cercherà in tutta evidenza di utilizzare basi, porti ed infrastrutture militari per le proprie attività in Medio Oriente e in altre regioni. La cooperazione militare con Washington e l’introduzione delle tecnologie statunitensi nell’armamento indiano possono significare anche l’inizio della sostituzione delle forniture e dell’equipaggiamento russo con quello statunitense. Anche se l’India, dal canto suo, proverà a far leva sul supporto statunitense per accrescere la propria influenza sull’Oceano Indiano e l’Asia del Sud, considerata la posizione di forza di Washington, è presumibile ritenere che gli Stati Uniti utilizzeranno la cooperazione militare e politica per coinvolgere l’India nei propri obiettivi strategici ed integrarla nella propria sfera d’influenza, sfruttando a proprio favore il crescente peso economico e geopolitico indiano nell’area asiatica. Secondo la rivista teorica del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, le speranze di Washington di continuare a svolgere un ruolo di leadership globale anche nel XXI° secolo è d’altro canto legata alla forza delle relazioni con «alleati»/ subalterni e “partner” come l’India.

 

·        USA. 20 settembre. Abbattere i jet israeliani nel caso volessero bombardare l’Iran. Lo lascia intendere chiaramente il consigliere per la sicurezza nazionale dell’ex presidente Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski, al The Daily Beast: il Presidente Obama dovrebbe dire chiaramente a Israele che, se tentassero di attaccare i siti nucleari iraniani, la U.S. Air Force dovrebbe fermarli. «Non siamo esattamente dei piccoli bimbi impotenti», ha detto Brzezinski. «Dovrebbero volare sul nostro (sic!, ndr) spazio aereo in Iraq. Dovremmo sederci a guardare?... Dobbiamo essere seri sulla questione di negare loro tale diritto. Ciò significa un rifiuto, e non solo a parole. Se tentassero il sorvolo, decolli e li affronti. Hanno la scelta di tornare indietro o no».

 

·        Palestina. 21 settembre. Hamas: non rispetteremo alcun accordo contrario ai diritti palestinesi. Non si è fatta attendere la risposta di Hamas all’annuncio che il presidente USA, Barack Obama, incontrerà martedì a New York il premier sionista Benjamin Netanyahu e il presidente dell’Anp (Autorità nazionale palestinese) Abu Mazen. Secondo quanto riferisce la France Press, il primo ministro palestinese, Ismail Hainyeh, ha ribadito che il suo gruppo non rispetterà mai nessun accordo con Israele. In un discorso pronunciato allo stadio di Gaza City in occasione della festività di Eid el-Fitr, che segna la fine del Ramadan, Haniyeh ha detto che «nessuno ha il diritto di cedere Gerusalemme o i rifugiati palestinesi», e nessuno, «nemmeno l’Olp», «può firmare un accordo contrario ai diritti dei palestinesi. Nessun futuro accordo sarà rispettato dal nostro popolo», ha concluso.

 

·        Iran. 21 settembre. Khamenei: la repubblica islamica è radicalmente contraria alle armi nucleari. In occasione della Giornata mondiale di Quds, Gerusalemme, in cui i musulmani manifestano il loro sostegno alla causa palestinese, la Guida suprema ed altri dirigenti iraniani hanno ribadito alcuni concetti fondamentali: 1) L’Iran non riconoscerà mai Israele in quanto Stato sionista. Questo non significa sostenere l’espulsione o l’uccisione degli ebrei immigrati in Palestina, ma preconizzare uno Stato unico in cui israeliani e palestinesi, ebrei, arabi e cristiani, abbiano gli stessi diritti di cittadinanza. 2) Teheran ritiene civili i popoli europei e ritiene che gli “ebrei europei” non verranno più perseguitati. Ragion per cui non si comprende perché questi debbano essere “messi al sicuro” in Palestina o altrove. Il massacro degli ebrei in Europa viene strumentalizzato come un mito per giustificare lo stato di cose esistenti, e non c’è alcun legame logico tra gli avvenimenti storici in Europa e la situazione attuale in Palestina. 3) Seguendo gli insegnamenti dell’imam Khomeyni, la repubblica islamica considera l’uso della bomba atomica e la proliferazione nucleare contraria ai principi dell’islam. L’Iran è radicalmente contrario a queste attività e perora la denuclearizzazione militare globale. 4) Diffondendo la menzogna che l’Iran violi i suoi principi islamici e si doti dell’arma nucleare, i sionisti cercano di aizzare anche la comunità musulmana contro la repubblica islamica.

 

·        Iran. 22 settembre. 29° anniversario dello scoppio della guerra tra Iran e Iraq del 1980, chiamata in Iran anche “Guerra Imposta”. In una solenne cerimonia militare a Teheran, davanti al Presidente Mahmoud Ahmadinejad, hanno sfilato i reparti dell’elitè delle Forze Armate, dei Basijh (milizie della rivoluzione) e Pasdaran (guardiani della rivoluzione). Nel suo discorso davanti alle forze armate, il presidente Ahmadinejad ha dichiarato che nessun Paese si azzarderebbe oggi a lanciare un’aggressione contro la Repubblica Islamica. «Nessuna potenza avrà mai il coraggio di pensare di lanciare un’aggressione contro l’Iran. Oggi, il nostro Paese gode di esperienza e di potenza», ha affermato. «Le nostre forze armate sono pronte al confronto contro le forze del male. Se una persona qualsiasi oserà sparare un solo proiettile contro di noi, gli taglieremo le mani», ha continuato. Ahmadinejad ha inoltre chiesto alle truppe straniere guidate dagli USA e impegnate in Iraq e in Afghanistan di abbandonare la regione. Ahmadinejad, alla vigilia dell’Assemblea Generale dell’ONU, ha chiesto alle truppe internazionali di lasciare i due Paesi. «Vi consigliamo di tornare nei vostri Paesi. La nostra regione non accetterà mai la presenza duratura di stranieri», ha ribadito il capo di Stato. «Come potete vedere in Iraq e in Afghanistan, la gente è contraria alla presenza degli stranieri. È impossibile per le truppe internazionali avere un posto stabile nella regione», ha aggiunto.

 

·        Iran. 22 settembre. Massima fermezza con responsabili degli attacchi terroristici nel Kurdistan. Il neoministro degli Interni iraniano Mostafa Mohammad Najjar ha detto che verranno trattati con la massima fermezza i responsabili dei recenti attacchi terroristici avvenuti nella provincia occidentale del Kurdistan. In pochi giorni vi sono stati attentati a Sanandaj, capoluogo della provincia, contro il rappresentante della provincia stessa presso l’Assemblea degli esperti e un l’Imam della preghiera del venerdì della città. Lo rivela l’agenzia Fars precisando che il ministro ha affermato che ci sono sospetti che dietro gli attacchi si nascondano elementi stranieri. La provincia confina con quella terra di nessuno che è il Kurdistan iracheno, dove bande terroristiche hanno le proprie strutture. Una commissione speciale, incaricata di condurre l’inchiesta sui recenti attacchi, è stata inviata nell’area.

 

·        Gran Bretagna. 23 settembre. Le banche sono le artefici della crisi finanziaria. La clamorosa accusa è di Lord Turner, presidente della Financial Services Authority (FSA), al banchetto annuale del Lord Mayor di Londra, nel cuore della City. La crisi finanziaria è stata “architettata” negli uffici delle banche da dealer e trader avidi e privi di scrupoli, il cui bonus annuale è pari ai guadagni di tutta una vita per le vittime della recessione da loro causata, ha detto Turner. Il presidente dell’FSA ha ribadito le criticatissime opinioni rivelate il mese scorso e ha anzi rincarato la dose: «So che mi considerate un eretico ma non ho intenzione di rinnegare quello che ho detto. Il settore finanziario è ormai “gonfiato” e deve essere ridimensionato, mentre le banche sono inutili alla società». «I banchieri non stanno mostrando alcuna contrizione, mentre dovrebbero riflettere sul loro ruolo in una crisi che ha causato la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e che porterà inevitabilmente a tagli della spesa pubblica e a un aumento delle tasse per tutti. In futuro le banche devono diventare più “noiose”», ha detto Turner: «Devono di nuovo puntare le loro energie non su quei prodotti eccessivamente complessi che non servono all’umanità ma piuttosto sulle funzioni-chiave di fornire servizi ai clienti per i risparmi, il credito e i pagamenti. Non tutte le innovazioni finanziarie hanno un valore, non tutte le attività di trading sono utili e un sistema finanziario più grande non è necessariamente migliore». Gli enormi utili che le banche britanniche annunceranno quest’anno, ha concluso il presidente della Consob britannica, sono in gran parte dovuti alle garanzie del Tesoro e ai bassi tassi d’interesse e quindi i profitti dovrebbero essere utilizzati per potenziare le riserve di capitale e la liquidità e non, ha aggiunto, per pagare ricchi bonus ai banchieri.

 

·        Palestina. 23 settembre. L’ex “sindaco rosso” di Londra, Ken Livingstone, intervista per la rivista New Statesman il leader di Hamas, Khaled Meshaal. Dal suo esilio in Siria Meshaal, costretto da giovane a trasferirsi in Giordania con centinaia di migliaia di palestinesi dopo la “guerra dei 7 anni” del 1967, puntualizza i continui crimini perpetuati dagli israeliani nella Striscia, nell’indifferenza del mondo, al fine di spingere il popolo palestinese a rivoltarsi contro Hamas. «Gaza è sotto assedio. I valichi sono chiusi la maggior parte del tempo e per mesi, alle vittime della guerra israeliana, è stato negato l’accesso ai materiali necessari per ricostruire le case distrutte. Scuole, ospedali e case in molte parti della Striscia di Gaza hanno bisogno di essere ricostruiti. Decine di migliaia di persone rimangono senza casa. L’inverno si avvicina e le condizioni di queste vittime possono solo peggiorare con il freddo e la pioggia. Un milione e mezzo di persone sono tenute in ostaggio dentro una delle prigioni più grandi della storia dell’umanità. Essi non possono circolare liberamente al di fuori della Striscia, sia per le cure mediche, per l’istruzione o per altre necessità».

 

·        Palestina. 23 settembre. Ma come si definisce Hamas? «Hamas è un movimento di liberazione nazionale. Noi non vediamo una contraddizione tra l’identità islamica e la nostra missione politica. Mentre impegniamo gli occupanti attraverso la resistenza e la lotta per conseguire i diritti del nostro popolo, siamo orgogliosi della nostra identità religiosa che deriva dall’islam». Khaled Meshaal dichiara che non è intenzione di Hamas costruire uno Stato islamico ma che l’obiettivo prioritario come movimento di liberazione nazionale è la liberazione dall’occupazione israeliana. L’Islam, secondo Hamas, non può e non deve essere imposto. Meshaal ribadisce poi che il conflitto con Israele è il risultato dell’aggressione e dell’occupazione. «La nostra lotta contro gli israeliani non è in quanto sono ebrei, ma perché hanno invaso la nostra patria e ci hanno espropriato. Non accettiamo il fatto che, poiché gli ebrei furono perseguitati in Europa, essi abbiano il diritto di prendere la nostra terra ed espellerci. Le ingiustizie subite dagli ebrei in Europa furono orribili e criminali, ma non vennero perpetrate dai palestinesi, dagli arabi o dai musulmani. Cosicché, perché dovremmo essere puniti per le colpe degli altri od obbligati a pagare per i loro crimini?».

 

·        Palestina. 23 settembre. Sull’annosa questione del riconoscimento di Israele, Khaled Meshaal ribalta la questione così: «Ciò che sta accadendo realmente è la distruzione del popolo palestinese da parte di Israele. È Israele che occupa la nostra terra e che ci esilia, ci uccide, ci imprigiona e ci perseguita. Noi siamo le vittime, Israele è l’oppressore, e non viceversa». La questione del non riconoscimento di Israele è in realtà «usata solo come un pretesto. Israele non riconosce i diritti del popolo palestinese, ma questo non rappresenta un ostacolo al fatto che Israele sia riconosciuto internazionalmente, né che gli sia permesso di prendere parte ai colloqui. La realtà è che Israele è quello che occupa la terra e detiene un potere superiore. Invece di chiedere ai palestinesi, che sono le vittime, è ad Israele, che è l’oppressore, che si dovrebbe chiedere il riconoscimento dei diritti dei palestinesi». La storia d’altronde dà ragione ad Hamas. «Nel passato, Yasser Arafat riconobbe Israele, ma non ottenne molto. Attualmente, Mahmoud Abbas riconosce Israele, ma non abbiamo visto ancora nessuno dei tanto annunciati progressi del processo di pace. Israele concede soltanto sotto pressione. In assenza di qualunque pressione tangibile su Israele da parte degli arabi o della comunità internazionale, nessun accordo avrà successo».

 

·        Palestina. 23 settembre. Ed è per questo che l’opzione militare è sostenuta da Hamas. «La forza militare è un’opzione alla quale ricorre il nostro popolo perché niente altro funziona. La condotta di Israele e la complicità della comunità internazionale, sia mediante il silenzio, l’indifferenza o la confusione attuale, richiede la resistenza armata. Ci piacerebbe vedere questo conflitto risolversi pacificamente. Se l’occupazione giungesse al termine ed il nostro popolo potesse esercitare l’autodeterminazione nella sua patria, non ci sarebbe allora la necessità di utilizzare la forza. La realtà è che quasi 20 anni di negoziati di pace tra palestinesi ed israeliani non ci hanno restituito nessuno dei nostri diritti. Al contrario, siamo incorsi in maggiori sofferenze e perdite come risultato dei compromessi unilaterali fatti dalla parte mediatrice palestinese. Da quando l’OLP entrò nell’accordo di pace di Oslo con Israele nel 1993, maggiori terre palestinesi in Cisgiordania sono state espropriate dagli israeliane, si sono costruiti più insediamenti ebrei illegali, si sono ampliati quelli esistenti o costruite strade per l’uso esclusivo degli israeliani che vivono in quegli insediamenti. Il muro dell’apartheid che gli israeliani erigono lungo la Cisgiordania si è appropriato di grandi estensioni di terra che si supponeva venisse restituita ai palestinesi secondo l’accordo di pace. Il muro dell’apartheid e le centinaia di posti di controllo hanno trasformato la Cisgiordania in una serie di enclavi isolate, come celle in una grande prigione, che rendono la vita intollerabile. Gerusalemme è costantemente modificata col fine di alterare il suo paesaggio e l’identità, e centinaia di case palestinesi sono state distrutte nella città ed attorno ad essa, facendo sì che migliaia di palestinesi stiano senza casa nella loro stessa patria. Invece di liberare i prigionieri palestinesi, dalla conferenza di pace di Annapolis nel 2007 gli israeliani ne hanno arrestati altri 5.000 – tutte azioni che confermano semplicemente il fatto che essi non sono interessati alla pace».

 

·        Afghanistan. 23 settembre. «Noi facciamo ospedali e nessuno ci spara». Lo ha detto il fondatore di Emergency, Gino Strada, ai giornalisti che gli chiedevano se, dopo l’attentato del 17 settembre scorso, costato la vita a sei paracadutisti italiani, possa cambiare anche il suo lavoro e quello dei volontari dell’organizzazione. «Noi facciamo ospedali e nessuno ci spara addosso: se i militari fossero rimasti a casa, certamente...». Parlando a margine dell’8^ Conferenza regionale toscana sulla cooperazione internazionale in corso a Siena, alla vigilia del suo ritorno in Afghanistan («dove tornerò a fare il mio lavoro che è quello di stare 12 ore al giorno in sala operatoria»), Strada ha ribadito la differenza tra il lavoro di Emergency e le operazioni cosiddette di peacekeeping che «sono due cose opposte e non devono avere neppure un punto di contatto». Così puntualizza Strada: «Fare la guerra deve chiamarsi fare la guerra. Sono anche stufo di tutte queste bugie. Almeno un Paese abbia il coraggio di dire ‘partecipiamo ad un’occupazione militare’ e si prenda la responsabilità, e non spacciamo l’attività dei militari per peacekeeping o umanitaria. Perché se dovessimo prendere per buone queste bugie, quanto meno verrebbe da dire che sono una massa di cretini visto che, per distribuire due caramelle, spendono 20 milioni di euro». Strada ha concluso affermando: «il mio lavoro non cambia perché ho passato sette anni della mia vita in Afghanistan e non mi ricordo un giorno in cui sono morte meno di 10 persone».

 

·        Germania 24 settembre. Monaco di Baviera la prima città al 100% rinnovabile. I pannelli solari costituiranno una fonte di energia essenziale dopo l’uscita tedesca dal nucleare -e quindi lo spegnimento della centrale nucleare cittadina “Isar 2”- previsto per il 2020. Come voluto dalla coalizione tra socialdemocratici e verdi che amministra la città, saranno sole, vento ed acqua a sostituire l’energia nucleare. Entro il 2015 il 100% del fabbisogno energetico delle abitazioni verrà soddisfatto da queste tre fonti rinnovabili. Entro il 2025 anche industria e commercio dovrebbero esser alimentati interamente da energia ‘pulita’. Monaco sarà così la prima città del mondo a nutrirsi esclusivamente di energie rinnovabili. Gli appartamenti a Monaco sono 750.000 e richiedono 2,5 miliardi di kilowattora all’anno. Stadtwerke München, l’azienda che fornisce il 95% delle energie della metropoli, prevede di investire nell’energia rinnovabile mezzo miliardo di euro, che trae dagli attuali profitti i quali, paradossalmente, sono dati in gran parte dalla centrale nucleare Isar 2. Essendo l’unica azienda di energia elettrica cittadina rimasta comunale, la SWM è al quinto posto tra i produttori di energia tedeschi, dopo i colossi Eon, Enwb, Vattenfall e Rwe. Grazie a questa grandezza entro il 2025 riuscirà anche ad ottenere da energia rinnovabile i 7,5 miliardi di kilowattora all’anno necessari per l’industria. SWM investe anche in progetti su grande scala all’estero: finanzia il 50% di una centrale solare in Andalusia e il 25% di un parco eolico nel Mare del Nord. L’energia necessaria per la città di Monaco, però, verrà prodotta esclusivamente sul posto.

 

·        Palestina / Israele. 24 settembre. Il regime sionista tortura i bambini palestinesi prigionieri. Il Centro studi palestinese per i prigionieri ha rivelato che i circa 400 bambini palestinesi rinchiusi nelle carceri d’Israele sono sottoposti a torture e pratiche che violano i diritti dell’infanzia. In un comunicato stampa diramato ieri mattina, spiega l’agenzia Infopal, il Centro ha affermato che le autorità carcerarie israeliane stanno violando tutte le norme internazionali in tema di infanzia e protezione dei minori, trattando i bambini come “terroristi”. Il Centro registra, tra l’altro, la testimonianza di un minore ex detenuto, secondo il quale le autorità carcerarie sottoporrebbero i ragazzini prigionieri a percosse, terrore, privazione delle visite familiari, li stiperebbero in celle sovraffollate, impedirebbero loro ogni forma di scolarizzazione e accesso all’educazione e non garantirebbero le cure mediche indispensabili. I minori sarebbero inoltre tenuti vicini a criminali e assassini israeliani, ponendo con ciò in ulteriore grave pericolo la loro vita.

 

·        Afghanistan. 24 settembre. 500.000 uomini entro i prossimi cinque anni per vincere la guerra. È il numero di soldati richiesto dal generale Stanley Mc Chrystal, il comandante in capo della NATO in Afghanistan, in un rapporto riservato. Questa notizia bomba è stata svelata dal giornalista della NBC Andrea Mitchell nella trasmissione televisiva ‘Morning Joe’ della TV via cavo statunitense MSNBC. Il numero è davvero impressionante. Poiché è utopistico pensare che le truppe afghane abbiano neanche la capacità di avvicinarsi lontanamente ad una tale cifra, il grosso dovrà essere fornito dagli Stati Uniti e dai paesi subalterni della NATO. Mc Chrystal ha avvisato l’amministrazione che senza un aumento di truppe la guerra in Afghanistan che dura da otto anni, «si rivelerà un fallimento». Ed ecco alcuni dati significativi: 1) Il 2009 è già l’anno con più morti per le forze USA dall’inizio della guerra. Cinquantuno dei 738 soldati statutunitensi che hanno perso la vita in Afghanistan sono stati uccisi il mese scorso. 2) Le elezioni nazionali afgane, che l’ambasciatore Karl Eikenberry sperava potessero portare ad un «rinnovo di fiducia del popolo afgano verso il loro governo», sono state un disastro ed hanno causato l’effetto opposto. Il monitoraggio condotto dall’Unione Europea ha scoperto che più di un milione di voti per il presidente Karzai, un terzo del totale, sono probabilmente fraudolenti. Lo stesso generale McChrystal descrive il governo afgano: «infestato dalla corruzione». Un governo già infangato da dichiarazioni su un vasto sistema di frode e corruzione e che sta ora affrontando gravi accuse -con prove schiaccianti- su brogli elettorali, non ha alcuna speranza di riguadagnare il sostegno del popolo afgano. 3) Un sondaggio commissionato nel febbraio del 2009 dai canali televisi BCC/BBC/ARD ha mostrato che solo il 18% degli afgani è favorevole ad un aumento delle truppe USA nel loro paese. Storicamente, infatti, gli afgani hanno sempre resistito con la forza alla presenza di forze militari straniere, fossero britanniche, sovietiche o statunitensi. 4) La presenza di truppe straniere facilita il lavoro dei reclutatori taliban. Un analisi indipendente degli inizi di quest’anno condotta dal Carnegie Institute riporta che la presenza di soldati stranieri è probabilmente il fattore più importante nella rinnovata forza dei taliban.

 

·        USA / Colombia. 24 settembre. Sette basi militari USA in Colombia. Andrè Maltais, sul sito Mondialisation.ca, focalizza l’attenzione sull’accordo che presto consentirà agli Stati Uniti di occupare sette basi militari nel paese (due terrestri, tre aeree e due navali), situate in punti strategici. Abbiamo infatti Laranda e Apiay nella parte meridionale e orientale della regione amazzonica, vicino al confine con il Brasile e il Venezuela; Palenquero e Tolemaida al centro del paese, Malambo e Cartagena al nord, sul mar dei Caraibi, mentre la base navale di Malaga si trova sull’Oceano Pacifico. L’accordo prevede che 600 militari e 800 contractors effettuino operazioni di “intelligence” agli ordini di un colombiano. Ma questo personale è coperto da immunità diplomatica e, in caso di crisi, il suo numero sarà illimitato. Il Presidente Uribe presenta l’accordo come un’iniziativa del suo paese per combattere il traffico della droga e il «terrorismo» delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) mentre, denuncia la diplomazia brasiliana, egli non cessa di annunciare che la guerriglia è indebolita o quasi annientata. «O ha mentito su questo punto», ha detto il giornalista Maurice Lemoine de Le Monde diplomatique, «o l’obiettivo USA-Colombia è molto pi