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Avventurieri

di Ugo Gaudenzi - 07/10/2009

 

 
Avventurieri
 

L’Italia, terra di capitani di ventura.
No, no. Non parliamo né di Giovanni dalle Bande Nere, nè di Giovanni Sforza, né di Castruccio Castracani. Tutti, loro e i loro pari, avventurieri, corsari o bucanieri, relegati nei libri di storia medievale o moderna. Più prosaicamente parliamo di cronache contemporanee. Del cavalier Berlusconi, dell’ingegner De Benedetti, del giudice Di Pietro, dei loro affini, cioè. Degni confratelli della generazione Agnelli, dei boiardi di Stato e dei banchieri di Dio o di Mammona.
Capitan Berlusconi, avventuriero un po’ naif che strilla al “golpe” per la sconfitta sul “lodo” Mondadori e per la concomitante sentenza sul “lodo” Alfano. Ma che rimuove sia gli spericolati metodi usati per ottenere i vari “favori” ricevuti dalla ditta politica Mammì & Co. o dalle consulenze dei Previti, nonché i conflitti di interesse, la strada aperta nel mattone, nelle assicurazioni e, ai tempi, nei supermercati.
Capitan De Benedetti che dal nulla - utilizzato dalla lobby dell’avvocato-ambasciatore Usa Gardner per scalare a suo tempo la Fiat ancora gode, in famiglia, dei “lasciti” ereditari dell’avvocato Agnelli scampato da un esproprio in extremis grazie ai soldi di Gheddafi - con il denaro raccattato nella scalata alla Fiat si comprò - e distrusse - l’Olivetti e con la liquidità ottenuta tentò la scalata alla Mondadori, e, con i Caracciolo - non a caso imparentati agli Agnelli - confezionò quell’arma letale chiamata “la Repubblica”, aprendo la strada alle conquiste “amiche” dei Colaninno (spezzatino Telecom incluso).
Capitan Di Pietro ex questurino in un battibaleno laureato e diventato giudice e quindi ministro grazie alla lobby della “trasparenza internazionale” (l’organizzazione “Mani Pulite” governata da Robert McNamara, il banchiere che, ministro della guerra Usa, voleva sganciare un’atomica su Hanoi) e padre padrone di un feudo di famiglia, o partito, dove si amplia a dismisura il potere personale e si guardano con attenzione certosina le bisacce degli altri ma mai, naturalmente, la propria.
Poi c’è la seconda Italia, terra di soldati di ventura. Che, confortati dal luminoso esempio delle proprie guide, si adeguano all’andazzo, seguono per quanto possono le orme dei propri beniamini, e si ritagliano spicchi di potere e di benessere. Un’Italia molto, ma molto popolata: quella stessa che, per ottenere un certificato qualunque più in fretta, sgancia una mancia al pubblico ufficiale.
E infine c’è l’altra Italia. Quella di un popolo fuori dal gioco, onesto, lavoratore. O disoccupato.
Ma quest’ultima è un’Italia passatista, démodée.
Per ora è proprio inutile parlarne.