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Intorno alla scrittura

di Riccardo Ianniciello - 11/10/2009

 L'evoluzione della scrittura è un processo inevitabile: è la società a ridefinire e a plasmare continuamente i suoi canoni e attributi. Gli scrittori, i critici, gli intellettuali in genere, il cui compito è quello di interpretare, elaborare e trasmettere i mutamenti culturali e sociali in atto, devono però della scrittura rispettarne le fondamentali regole. Esiste un codice non scritto che fa appello al buon senso, alla coscienza individuale, alla professionalità e non ultimo alla tradizione, alla ricca tradizione letteraria. Quando si contravviene a questi basilari principi, il che capita sempre più spesso, ci  troviamo di fronte soltanto a delle involuzioni culturali, tanto più pericolose, quanto più abilmente e accuratamente sono state camuffate e inglobate nel mare magnum del consenso acritico.
   Riguardo al tema dell’evoluzione del linguaggio mi sembra assai significativa questa riflessione di Sergio Givone, ordinario di Estetica a Firenze: “Scrittura e conoscenza devono procedere di pari passo. Una scrittura vuota di pensiero e di riflessione finisce con l’essere non solo opaca, anche se attraente ma equivoca e corriva e complice dell’inaccettabile. Come purtroppo sta accadendo sempre più spesso...Da noi ne vedo pochi di scrittori che fanno quel che uno scrittore deve fare, pena il ridursi a scimmiottare il linguaggio cinematografico o peggio televisivo”.
   La letteratura è in caduta libera, vive una pericolosa deriva, con le contaminazioni avvenute in questi ultimi decenni che hanno riguardato non solo la forma ma lo stesso contenuto. La mediocrità si nasconde dietro al minimalismo, allo stile libero, ai percorsi sperimentali. Esistevano nel mondo letterario – diciamo fino all’avvento dei canali commerciali – delle regole non scritte, vale a dire un codice di valutazione che fungeva da filtro. Le maglie del setaccio erano piccole, la pule veniva scartata dal fior di farina e la si riconosceva facilmente.  
   Le ciniche logiche di mercato e le moderne tecnologie della comunicazione  hanno scardinato gli antichi principi nel mondo della letteratura e dell’editoria. Nel setaccio si sono aperte delle falle; la pule non è più scartata ma viene scelta insieme al fior di farina e non la si riconosce più. Quello che interessa all’editoria oggi (o la gran parte di essa) è vendere libri, dominare il mercato. E per fare questo fatalmente si abbassa il livello della qualità degli scritti  Gli editori per vendere seguono i gusti dei lettori. I grossi editori, in particolar modo, mirano a portare la parola in un mondo dominato dalle immagini. “Per fare questo ricercano – scrive in un’intervista sulla Stampa Maria Campbell (l’agente letterario che ha scoperto Dan Brown) – libri che li catturano, con una scrittura nuova, con innovazioni tecniche in grado di competere con quelle degli audiovisivi... Ho appena trattato due romanzi che hanno secondo me questi requisiti. Junot Diaz, un americano di Santo Domingo, ha scritto quello che definirei il primo romanzo stereofonico. Una scrittura del tutto nuova, da ascoltare per così dire con l’iPod… E poi Sacred Games di Vikrm Chandra, 700 pagine…modernissime, da mozzare il fiato, con dentro di tutto, complotto, gangster, nucleare, ma anche famiglia, vita quotidiana... In un mondo in cui la soglia di attenzione è sempre più breve e più bassa e la concentrazione sempre più instabile, un libro deve anzitutto soggiogare i meccanismi psichici e nervosi del pubblico”.
   C’è poco da aggiungere: è evidente anche al lettore più sprovveduto di trovarci di fronte a operazioni di basso profilo culturale, di puro marketing, di mercificazione della scrittura. Per fare presa sui lettori si scelgono scritti che debbano scioccare, essere invasivi, aggressivi.  A molte case editrici (e scrittori) non importa di conquistare il lettore con un prodotto di qualità ma di invaderlo. Molti libri oggi non sono che grandi calderoni, dei minestroni riscaldati, dove ci trovi di tutto: dallo stile indecifrabile ai contenuti indefiniti e corrivi in sintonia con i malati tempi moderni.
    In questa epoca di folle velocità e di obesità culturale, vi è un inquietante vuoto di valori e di idee che si riflette, come abbiamo visto, anche negli scrittori odierni: così pateticamente somiglianti tra loro, per uno stile che ricalca copioni usati e abusati, con operazioni da copia e incolla e per l’uso di un linguaggio che richiama quello televisivo e caratterizzato dalla povertà di contenuti. Nel nostro paese siamo sommersi da racconti e romanzi nei quali prevalgono temi imbastarditi da modi e mode stranieri, che da vissuti autentici e autentiche crescite. Ora la prima cosa che si chiede a uno scrittore o perlomeno ci si aspetti da lui, è che abbia qualcosa di valido da dire agli altri, trovando il modo più efficace e personale per farlo. Saper scrivere in questo senso significa coniugare forma e contenuto. Deve esservi un felice connubio tra questi due elementi: altrimenti non si può parlare di vera scrittura.
    Pierre Daix ci parla del mestiere di scrivere che implica “l’impegno totale in ciò che uno scrive” e che “il mestiere significa la scelta della letteratura non solo come mezzo di comunicazione, di espressione, ma come mezzo per dare un senso alla propria vita”. Per l’autore è importante conoscere (e un lettore attento lo capisce) “l’atteggiamento dello scrittore di fronte al proprio testo: se l’opera è stata scritta come passatempo, per denaro o per compiacere la moda, oppure se essa possiede quelle a qualità di coerenza con la vita di colui o colei che la propone”.
    Sembra che nella letteratura contemporanea si vada sfatando l’idea della vocazione o dell’ispirazione artistica quali aspetti fondamentali in uno scrittore da sempre ritenuti qualità imprescindibili, mentre si va affermando l’immagine dello scrittore artigiano, nel senso che per scrivere è sufficiente impegnarsi e seguire delle regole, come per qualsiasi altro mestiere. Per alcuni autori, la scrittura non scaturirebbe tanto dal libero estro creativo quanto dall’adesione alla regola. La scrittura di successo deriverebbe dall’abilità e dalla competenza tecnologica dell’autore nella progettazione e gestione dei capitoli e dei blocchi di senso (interi blocchi possono essere tratti dall’universo web, senza peraltro correre il rischio che ciò sia considerato plagio, anzi talvolta è l’autore a dichiararlo deliberatamente), piuttosto che dall’abilità tecnica unita all’estro creativo, come si è sempre pensato.
    Non sorge il dubbio di trovarci di fronte a una preoccupante involuzione culturale, con una scrittura che non è scrittura ma alchimia tecnologica, abile artificio? E che uno scrittore oggi potrebbe essere solo uno scaltro mistificatore? Non abbiamo forse sacrificato sull’altare del successo e della logica del profitto la qualità della scrittura? E’ la logica del successo ad ogni costo e il messaggio che passa sembra essere: che importa se ho preso una scorciatoia, se ho barato con me stesso e con gli altri? L’importante è arrivare. Il fine insomma giustifica i mezzi: ancora una volta la massima del Machiavelli è miseramente adottata.
    Io credo che la scrittura sia sofferenza e sia un personalissimo percorso che necessita di una condizione fondamentale, l’umiltà. Anche il fatto che una persona vada ad un corso di scrittura creativa (assai di moda, proliferano come funghi) credendo così di imparare a scrivere, parte col piede sbagliato, peccando di presunzione. Personalmente rabbrividisco ogni qualvolta mi capita di leggere di corsi di scrittura creativa con annesso l’elenco di nomi “importanti” che ne garantirebbero la serietà e l’efficacia (spesso sono nomi dello spettacolo e mi sono sempre chiesto - senza riuscire a darmi una risposta - cosa c’entrassero!). La vocazione, il genio involontario, la sensibilità artistica, sono qualità innate, che vanno naturalmente coltivate e potenziate, ma fanno la differenza, producono arte.
    In questo senso, una qualità fondamentale in uno scrittore è la sua sensibilità, vale a dire lo spirito d’umanità che lo anima e gli permette di vedere e cogliere particolari aspetti della realtà comunemente non percepiti dalla massa degli uomini. La sensibilità rivela e definisce il contenuto. Lo scrittore che possiede questo valore avrà un occhio diverso sulle cose, una capacità di lettura o di escavazione della realtà maggiore degli altri che lo porrà in una condizione privilegiata. Per guardare bene la natura, per esempio, occorre sensibilità,  altrimenti abbiamo di essa solo una visione comune, parziale e limitata.