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La guerra del cibo comincia dal riso

di Andrea Boretti - 13/10/2009

Non c’è abbastanza riso per sfamare il mondo; la popolazione continua ad aumentare e ogni minuto si perde un ettaro di terreno agricolo sfruttabile. Una nuova guerra mondiale, quella del cibo, pare quindi alle porte. Una guerra che, come se non bastasse, sta causando una perdita della biodiversità alimentare con conseguenze anche a livello sanitario.


 


"Credo che oggi sia in corso una nuova Guerra mondiale: quella del cibo" dice Vandana Shiva, fisica e scienziata che ormai da anni si batte per la biodiversità in agricoltura e per l'indipendenza dei contadini indiani. Una guerra su più fronti, che si gioca sul controllo delle risorse, dei terreni e delle sementi e che nei prossimi anni è destinata a inasprirsi con il continuo aumento della popolazione mondiale che raggiungerà i 7,7 miliardi di persone nel 2050.

 

In questo senso, è particolarmente preoccupante l'affermazione di Robert Ziegler, Direttore Generale dell'International Rice Institute, secondo cui "non c'è abbastanza riso per sfamare il mondo (...) ma in particolare è difficile mantenere il prezzo del riso attorno ai 300 dollari a tonnellata, cosa che permetterebbe ai piccoli produttori dei Paesi poveri di ottenere qualche profitto e contemporaneamente ai consumatori più poveri di poterlo acquistare. Per ottenere ciò, abbiamo bisogno di produrre ulteriori 8-10 milioni di tonnellate di riso rispetto all'anno precedente nei prossimi vent'anni".

 


Vandana Shiva
Tutto questo appare ancora più difficile se si considera mentre il prezzo delle colture di base è sottoposto ad una forte speculazione, tutta una nuova generazione di consumatori si sta in questi anni affacciando al mercato mondiale (pensiamo a Cina e India), aumentando così la domanda - e il prezzo - di riso e colture di base.

 

Secondo l'American Farmland Trust, solo negli Stati Uniti la popolazione aumenta - spinta soprattutto dall'immigrazione - di 3 milioni di individui ogni anno, il che si traduce nella perdita di un ettaro di terreni agricoli al minuto. L'importanza e quindi anche il valore economico della terra è di conseguenza destinato ad aumentare.

Meno terra, uguale meno cibo. Se si assume questo punto di vista, diventa quindi inconcepibile l'utilizzo di tali terreni per la produzione dei cosiddetti biocombustili, un trend produttivo che sta crescendo sulle orme dell'attuale "rivoluzione verde", ma con un costo in termini di disponibilità di derrate alimentari e di aumento della fame del mondo decisamente troppo elevato. Senza contare che anche questo tipo di pratica, peraltro considerata poco efficiente dal punto di vista energetico, concorre nell'aumentare anch'essa il prezzo del cibo.

Aumento della popolazione, diminuzione dei terreni coltivabili, biocombustibili, ma non è tutto. Molte altre sono le concause di quella che Vandana Shiva chiama la guerra del cibo. Tra queste una più di tutte merita di essere citata e analizzata: la perdita di biodiversità alimentare, dove per biodiversità s'intende "l'insieme di tutte le forme viventi, geneticamente dissimili e degli ecosistemi ad essi correlati".


Secondo uno studio della FAO il pianeta, negli ultimi 100 anni, ha già perso il 75% del proprio patrimonio alimentare. Parte di questa perdita è dovuta ai cambiamenti climatici, alla trasformazione dei terreni, all'abbandono della comunità che la coltivava in favore di un'agricoltura industriale simbolo di modernità. Fatto sta che in occidente la nostra alimentazione si basa oggi solo su 4 colture (mais, riso, soia, grano) contro le 387 (di cui 62 frutti differenti) di una comunità indigena thailandese di 600 abitanti. Questa perdita ha conseguenze anche a livello sanitario in quanto, come da tempo dimostrato, il cibo tradizionale è più nutriente mentre quello industriale è responsabile di molte delle patologie (obesità, colesterolo, diabete) tipiche della nostra società moderna.

 

Nel corso dei prossimi anni la guerra del cibo entrerà nell'agenda degli stati nazionali più di quanto non lo sia già ora, ciò che è importante è quindi che la questione salga sempre più all'attenzione della gente comune e della società civile che potranno così spingere verso soluzioni favorevoli ai popoli e non, come purtroppo spesso succede, dei baroni del profitto.


Dice sempre Vandana Shiva: "Dobbiamo riprenderci il diritto di conservare i semi e la biodiversità. Il diritto al nutrimento e al cibo sano. Il diritto di proteggere la terra e le sue diverse specie. Dobbiamo fermare il furto delle multinazionali a danno dei poveri e della natura. La democrazia alimentare è al centro dell'agenda per la democrazia e i diritti umani, al centro del programma per la sostenibilità ecologica e la giustizia sociale."