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La leggenda dell'Olandese Volante e il mistero della visualizzazione del passato

di Francesco Lamendola - 21/10/2009


 

In un precedente articolo abbiamo riferito alcuni casi di apparizioni di fatti avvenuti in un passato più o meno remoto (cfr. F. Lamendola, «In marcia da secoli, di notte, verso il nulla, la "legione fantasma" dei monti scozzesi», consultabile sia sul sito di Edicolaweb, che su quello di Arianna Editrice).
Il caso probabilmente più celebre di questo genere di fenomeni è quello relativo alla leggenda dell'Olandese Volante, un vascello  che andrebbe da secoli alla deriva sui mari di tutto il mondo, lungo la rotta meridionale del Capo Horn e del Capo di Buona Speranza, forse come punizione per un patto diabolico stipulato dal suo comandante, nel 1600.
Fra i numerosi avvistamenti, quello che coinvolse il pubblico più numeroso si verificò al largo del Sud Africa, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Così lo descrive il volume «Nel mondo dell'incredibile» (titolo originale: «Stranges stories, amazing facts», 1977; traduzione italiana, Milano, Selezione dal Reader's Digest, 1980, p. 374):

«La foschia avvolgeva le azzurre acque di False Bay, una stazione balneare di gran moda nell'Africa del sud.  Era una giornata torrida del marzo 1939 [corrispondente, nell'emisfero australe, al meste di settembre dell'emisfero boreale], e sulla sabbia bruciata dal sole della spiaggia di Glencairn c'erano una sessantina di bagnanti.
D'un tratto, dalla foschia balzò fuori uno strano veliero, sul tipo di quelli che una volta assicuravano il servizio delle Indie orientali, e che non si vedevano  ormai da secoli al largo del Capo di Buona Speranza.
I bagnanti che notarono la strana apparizione chiamarono gli altri, e ben presto una piccola folla eccitata vociava sulla riva del mare.
Secondo quanto un giornale doveva pubblicare il giorno dopo, la nave sembrava diretta verso Muizenberg con tutte le vele gonfie, sebbene non vi fosse un filo d'aria.
Il "British South Africa Annual" del 1939 riferì: "Come pilotato da una forza misteriosa, il veliero proseguì la sua ritta, mentre i bagnanti di Glencairn discutevano animatamente i motivi della direzione del vascello, che sembrava destinato ad andare a incagliarsi sulle sabbie di Strandfontein. Ma proprio quando l'eccitazione aveva raggiunto il colmo,  la misteriosa nave parve dissolversi nell'aria, esattamente com'era comparsa.
Nei giorni seguenti si parlò molto della comparsa del "vascello fantasma".  Secondo alcuni, i bagnanti di Glencairn avevano avuto un miraggio, e la nave misteriosa era, per qualche strano fenomeno di rifrazione della luce, l'immagine di un veliero che stava passando a varie centinaia di miglia di distanza.
Ma, come facevano notare quelli che avevano avvistato la nave, la larga, piatta chiglia, l'alta poppa e persino il tipo delle vele erano diversi da quelli di qualsiasi veliero moderno.  Si trattava, inequivocabilmente, d'un naviglio mercantile del XVII secolo.
Helene Tydell, che si trovava tra la folla dei testimoni, dichiarò: "Dicano quello che vogliono gli scettici, ma quella nave era sicuramente l'Olandese Volante!»

Stando a quanto si dice, la leggenda dell'Olandese Volante - che ha ispirato numerosi artisti, tra i quali Richard Wagner - sarebbe riconducibile ad un personaggio storico ben preciso: il capitano Hendrik Vanderdecken, della Compagnia delle Indie olandesi, che frequentava la rotta da Amsterdam a Batavia, nell'isola di Giava, ai primi del XVII secolo.
Pare che egli fosse un marinaio talmente abile, da percorrere quella cospicua distanza in tempi sorprendentemente brevi, anche per alcuni accorgimenti tecnici che avevano reso la sua nave più veloce di ogni altra. Questa eccezionale rapidità di spostamenti aveva fatto nascere la diceria che egli avesse stretto un patto con il demonio; così come si diceva, del resto, di altri abili piloti, al tempo della navigazione a vela, magari perché conoscevano e sfruttavano alcune correnti oceaniche favorevoli, ignorate dai loro contemporanei.
Un'altra versione della leggenda vuole che una volta, giunto all'altezza del Capo di Buona Speranza, un altro capitano olandese, tale Bernard Fokke, venisse respinto da una furiosa tempesta; e che, volendo mostrarsi all'altezza della propria fama di uomo intrepido e che non aveva paura di nulla e di nessuno, giunse al punto di lasciarsi tentare dal demonio e di sfidare Dio a impedirgli di doppiare il Capo. Il castigo non si fece attendere, ed egli fu, da allora, condannato a vagare senza pace sugli oceani, e senza mai poter entrare in un porto.
Gli avvistamenti dell'Olandese Volante sono stati relativamente frequenti nel corso del tempo. Fra gli ultimi, vale la pena di citare quello del futuro re d'Inghilterra Giorgio V, guardiamarina sulla nave «Incostant», nel 1881; e quello di quattro testimoni che lo videro solcare le acque presso Città del Capo, per poi scomparire dietro Robben Island, nel settembre 1942: questo fu anche l'ultimo della serie.
Poche settimane prima, il 3 agosto, due ufficiali della nave da guerra britannica «Jubilee» avevano veduto la strana apparizione; avvistamento che era stato fatto, quasi contemporaneamente, anche da parte dell'equipaggio di un sommergibile tedesco.
Quello compito dal Duca di Clarence, Edward, e da suo fratello  George, futuro re d'Inghilterra, rimane, tuttavia, il più drammatico: perché, il mattino dopo che il veliero fantasma era passato, nella notte, ad appena 200 metri dall'«Incostant», nelle acque dello Stretto di Bass (fra la Tasmania e l'Australia sud-orientale), per poi scomparire subitaneamente, senza lasciare alcun relitto sulla propria scia, il marinaio che lo aveva avvistato precipitò dall'albero di parrocchetto sul castello di prua, sfracellandosi. Il tutto venne scrupolosamente registrato sul proprio diario dall'illustre guardiamarina, con oggettività quasi flemmatica, in pretto stile britannico: da esso veniamo a sapere che furono ben tredici le persone che videro distintamente il veliero misterioso.
Per tentare di fornire una spiegazione razionale, si è parlato di miraggi; e, naturalmente, si sono tirati fuori diversi miti, da quello omerico dell'eroe che lotta con le divinità del mare per aprirsi la via del ritorno a casa, a quello dell'Ebreo errante, che Dio avrebbe condannato a vagare senza pace sulla Terra, per aver scagliato una pietra contro Gesù durante la «via crucis».
Però la teoria del miraggio non spiega perché i testimoni non videro un veliero qualsiasi, ma un galeone del XVII secolo, con tutte le vele spiegate, mentre non soffiava un alito di vento; e quella del mito non spiega nulla, perché non si può ragionevolmente sostenere che il futuro Giorgio V, il Duca di Clarence e tutti i bagnanti False Bay videro quello che videro, o che credettero di vedere, perché avevano letto Omero o perché avevamo sentito parlare della leggenda dell'Ebreo errante - e meno ancora perché avevano letto l'opera di Wagner intitolata «L'Olandese volante» o, magari, «La ballata del vecchio marinaio» di Samuel Taylor Coleridge.
No, queste sono tutto, tranne che delle spiegazioni: sono semplicemente la testimonianza del fatto che alcune persone non sopportano l'idea che sussita un mistero inaccessibile alla ragione, e sarebbero pronte a invocare le ipotesi più ridicole, pur di mettere a tacere ogni dubbio.
Una delle spiegazioni più verosimili, a nostro avviso, per fenomeni di questo genere, può essere formulata tenendo conto della teoria elaborata dallo scrittore ed ingegnere aeronautico inglese J. W. Dunne, nel suo celebre saggio «Esperimento col tempo» (titolo originale: «An Experiment with Time», 1927; traduzione italiana di Camillo Pellizzi, Milano, Longanesi & C., 1946).
Dunne ha avanzato l'ipotesi che il tempo scorra non come davanti ad un osservatore esterno fisso nel Tempo, ma che deve esserci un altro Tempo, in base al quale si può valutare quella attività, che appartiene al primo Tempo; e un altro Tempo ancora, in base al quale si muove quel secondo Tempo; e così via, all'infinito. Il tempo, pertanto, non sarebbe altro che un Tempo Seriale, ove il tempo della durata fisica, che noi possiamo osservare con i sensi e misurare con gli orologi e col calendario, rimanda via via ad un Tempo Ultimo, assoluto, capace di reggere tutti gli altri Tempi relativi.
Nel libro ora citato (pp. 219-220), Dunne così formula le proprie conclusioni, tenendo conto sia della relatività einsteniana, sia di talune intuizioni di Henri Bergson e di altri filosofi contemporanei, oltre che dei suoi propri esperimenti sull'ipnagogia, sui sogni, sulla chiaroveggenza ed altri fenomeni paranormali:

«In modo molto sommario, dunque, direi così.
1) Il Serialismo rivela l'esistenza di una specie di "anima" ragionevole - un'anima individuale che un principio definito nel Tempo assoluto - un'anima la cui immortalità, poiché essa esiste in altre dimensioni del Tempo, non contraddice l'evidente fine dell'individuo nella dimensione temporale del fisiologo; e l'esistenza di quest'anima non contraddice alla scoperta del fisiologo dalla quale risulta che l'attività del cervello fornisce a base di ogni esperienza terrena e di ogni attività intellettuale associativa.
2) Esso dimostra che la natura d quest'ultima e del suo sviluppo mentale ci fornisce una risposta soddisfacente ai "perché" relativi all'evoluzione, al dolore, alla nascita, al sonno e alla morte.
3) Esso ci rivela l'esistenza di un supremo Osservatore di tutte le cose, il quale è la fonte di tutta quella autocoscienza, quell'intenzione e quell'intervento che costituiscono la base del puro pensare meccanico; ed Egli contiene in sé un osservatore meno generalizzato, che è la personificazione di tutta la vita genealogicamente correlata, e che è capace di pensieri e di previsioni del tipo umano, ma di una qualità che sta ben oltre le nostre capacità individuali. Nell'Osservatore supremo, noi, i singoli osservatori, e quell'albero genealogico di cui siano i rami, viviamo e troviamo il nostro essere. Ma non ci attende alcuna specie di "assorbimento": siano già assorbiti, e la tendenza è verso la differenziazione.
4) La prova che il Serialismo fornisce dell'unità di tutta la carne in un "Corpo Supremo", e di tutti gli spiriti in uno "Spirito Supremo", fornisce la base logica necessaria ad ogni teoria dell'etica.
5) Esso ci spiega i sogni; ci spiega la profezia; ci spiega l'autocoscienza e il "libero arbitrio"; mentre, nella sua rivelazione dei rapporti intercorrenti fra i campi di presentazione generale e individuale, esso fornisce il primo elemento essenziale di qualunque spiegazione di quel fenomeno che, molto approssimativamente, viene chiamato "comunicazione telepatica".
6) Esso non contraddice né alla fisica né alla fisiologia dei nostri tempi
Non si potrà metter da parte alla leggera una teoria che ottiene tutti questi risultati.»

Dunne - che ha poi ulteriormente sviluppato questi concetti in un altro libro, «The Serial Universe», del 1934 - è stato, invece, sostanzialmente snobbato dai filosofi del Novecento, anche se la sua teoria del Tempo seriale offre la possibilità di spiegare diversi fatti altrimenti difficilmente comprensibili, fra i quali gli avvistamenti di oggetti o persone del passato, come la legione romana perduta sui monti scozzesi, e il vascello dell'Olandese Volante.
In tale teoria, difatti, il tempo che noi chiamiamo presente è contenuto, come in un gioco di scatole cinesi, in una successione di tempi ulteriori, sempre più vasti e comprensivi, fino ad un Tempo Ultimo o Tempo Assoluto, che coincide con un Osservatore Supremo, fondamento logico e ontologico di tutti i tempi contingenti.
Si riporti, inoltre, alla mente quanto dicemmo, a suo tempo, a proposito del cronovisore di padre Ernetti (cfr. F. Lamendola, «Padre Pellegrino Ernetti e il cronovisore», consultabile sui siti di Edicolaweb e Arianna Editrice), ossia la macchina per registrare le immagini del passato), basato, appunto, sul concetto che il gli eventi che si verificano nel tempo non cessano di esistere per sempre, mano a mano che il presente diventa passato, ma sopravvivono in una dimensione parallela alla nostra: una sorta di deposito «akhasico» ove persiste, fuori del tempo, tutto ciò che è stato, che è e che sarà.
Integrando l'intuizione di Dunne sul tempo e sugli universi seriali, con quella relativa al «deposito akhasico» di tutti gli enti reali o anche solo possibili, si può giungere ad un tentativo di spiegazione di fenomeni come quelli relativi all'avvistamento dell'Olandese Volante.
In effetti, si tratta fenomeni nei quali si realizza una autentica visione del passato (in altri casi, del futuro), dovuta ad una smagliatura nella rete di un Tempo contingente, attraverso la quale fuoriesce, per così dire, il materiale relativo ad un altro Tempo, riversandosi in un Tempo diverso da quello: passato o futuro; il che spiega, rispettivamente, le visioni del passato e quelle di ciò che deve ancora accadere, e che tuttavia, in quell'Altrove di cui abbiamo detto, già esiste ed è esistito, probabilmente, da sempre.
Se è così, allora bisogna ammettere che il libero arbitrio non è minimamente pregiudicato, nonostante che il passato sia già accaduto nel Tempo Assoluto: perché noi, immersi come siamo in uno dei tanti Tempi contingenti, nulla sappiano di ciò che sta oltre le frontiere del nostro piccolo mondo.
Nessun miraggio, dunque, e nessuna illusione: quei testimoni videro realmente un veliero del 1600, che avanzava con le vele spiegate ed altri particolari molto realistici, comprendenti, talvolta, lo stesso capitano, o forse il timoniere; o meglio, essi videro la traccia «akhasica» da esso lasciata nel corso dei suoi viaggi realmente compiuti, e conservatasi nei Tempi ulteriori, pronta a riapparire qualora si produca una apertura casuale nelle pareti del Tempo nostro.
Se poi si tratti realmente della nave di un capitano maledetto da Dio a causa del suo folle e blasfemo orgoglio, questa è un'altra questione; nella quale gioca il suo peso, indubbiamente, la suggestione delle opere letterarie e musicali di alcuni artisti del Romanticismo europeo.
Ma il fenomeno, in se stesso, è reale: che piaccia o non piaccia ai cultori di una scienza arrogante e totalitaria, che vorrebbe essere in gradi di spiegare tutto e di svelare fin l'ultimo angolo di mistero, con i suoi poveri mezzi puramente quantitativi e materiali.