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Iran nel mirino. Ma di chi?

di Simonetta Cossu - 21/10/2009

  
 
Sono almeno 49 i morti provocati dall'attentato perpetrato domenica nel Balucistan iraniano. Tra le vittime sei alti ufficiali dei Pasdaran, i Guardiani della rivoluzione islamica. Tra questi il generale Shushtari, figura di spicco dell'entourage politico militare iraniano. L'attentato è stato rivendicato dal gruppo separatista sunnita Jundullah. Questo è quello che è certo. Tutto il resto sono ipotesi e congetture.

Da Teheran piovono accuse contro Usa, Gran Bretagna e Pakistan. Il capo dei pasdaran ha annunciato che «presto una delegazione di Teheran arriverà in Pakistan per fornire nuove prove e documenti al governo e chiedere l'estradizione di Abdul Malik Rigi». Secondo Jafari i servizi d'intelligence di Usa, Gran Bretagna e Pakistan sostengono Jundullah (Soldati di Dio) e il suo leader Abdul Malik Rigi. Il presidente Ahmadinejad ha parlato al telefono con il presidente pakistano Zardari sostenendo che «non può essere giustificata la presenza di terroristi in Pakistan».

I terroristi in questione è il gruppo sunnita Jundallah, attivo da molti anni nella provincia del Sistan-Baluchistan (sudest dell'Iran) che ha rivendicato l'attentato in un sito internet e ha spiegato di averlo commesso "in rappresaglia ai crimini del regime iraniano contro la popolazione disarmata del Baluchistan".
Intanto, mentre il presidente russo Medvedev offriva a Teheran "piena cooperazione nella lotta al terrorismo e all'estremismo" e dalla Ue arrivava una dura condanna per l'attentato, a Vienna si è aperto il vertice tra Iran e Paesi del 5+1 (americani, russi, cinesi, britannici, francesi, e tedeschi) per sbloccare lo stallo della crisi sul programma nucleare di Teheran. In discussione c'è la definizione dei dettagli della proposta "tecnica" messa a punto da Washington: ovvero, lo "scambio" fra l'uranio prodotto nell'impianto di Natanz con uranio arricchito in Russia e in Francia per alimentare il reattore sperimentale di Teheran in cui si producono isotopi usati a scopi medici.
Secondo quanto scriveva il Washington Post nei giorni scorsi la proposta aveva già ottenuto il consenso delle parti nel corso dei colloqui che si erano svolti a Ginevra lo scorso 1° ottobre, quando vi era stato anche un incontro a due fra l'inviato Usa, William Burns, e il rappresentante iraniano, Saeed Jalili.

L'attentato di domenica potrebbe però avere anche un'altro scopo: l'instabilità in un area al centro delle rotte dei nuovi oleodotti. E forse non è un caso che il generale Nurali Shushtari, ucciso nell'attentato, era un esponente di spicco della lobby politico-economica dei Pasdaran. Shushtari faceva parte del consiglio d'amministrazione di una delle più potenti società di investimenti dell'Iran orientale, la Ahia Sanaieh Khorasan. Fondata nel 1996 nella città di Mashad, capoluogo della regione orientale di Khorasan, la società in poco tempo si è trasformata in un gigante economico, protagonista negli investimenti e nella gestione delle risorse di diversi settori dell'economia iraniana. E non va dimenticato che il Belucistan è uno sterminato deserto zeppo di uranio, metano e forse anche di petrolio, scarsamente abitato da una minoranza insofferente ai dettami dell'autorità centrale. La ricchezza del sottosuolo e l'importanza strategica rischiano di trasformare il Belucistan in un nuovo terreno di scontro. Come ha scritto Pepe Escobar su Asia Times del 22 maggio scorso «Per Teheran, uno dei peggiori incubi relativi alla sicurezza nazionale, sono le operazioni coperte che gli americani potrebbero lanciare oltre confine dal Balucistan pakistano».

E come ha scritto Sabina Morandi su Carta poco tempo fa «non illudiamoci: il vero oggetto del conflitto non è l'imposizione della sharia ma gli idrocarburi del Caspio, che americani e cinesi vogliono assicurarsi con ogni mezzo, e quelli iraniani da cui Washington non può attingere, ma che non vuol veder finire in altre mani. Se Pechino spera di assicurarsi il petrolio e il gas iraniani giocandosi il suo ruolo di ultimo finanziatore internazionale, Washington non può assolutamente permettersi di rinunciare al progetto dell'oleodotto che dal Turkmenistan dovrebbe portare il petrolio fino alla costa pakistana attraverso l'Afghanistan. Non solo i suoi principali fornitori sono in declino (l'Arabia Saudita) o si fanno pagare salato (il Venezuela) ma i nuovi giacimenti africani rischiano di essere ingovernabili come quelli iracheni, mentre il principale e unico rivale (la Cina) sta comprando il comprabile in ogni parte del globo".

La Cia o qualcuno molto vicino a questa potrebbe avere interesse quindi a fare in modo che l'intera area diventi ingovernabile. Per ora queste sono solo supposizioni, la vera partita è appena incominciata.