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Perché in Italia la storia può essere solo politica

di Romano Sergio - 25/10/2009

La guerra permanente tra revisionisti e dogmatici Metodo Tutte le generazioni scrivono il passato in maniera diversa dalle precedenti. E ciò modifica il «canone»

 

R evisionismo e revisionista sono alcune delle parole più frequentemente pronunciate nei dibattiti storici degli ultimi vent' anni. Hanno un significato generalmente negativo perché furono usate dal comunismo leninista per bollare con il marchio dell' infamia il libro in cui un socialista tedesco, Eduard Bernstein, aveva osato mettere in discussione, alla fine dell' Ottocento, alcuni canoni dell' ortodossia marxista. L' analisi di Bernstein era giusta e la parola sarebbe dovuta diventare un complimento, ma continuò a essere un insulto e risuona da allora in tutti i casi in cui alcuni studiosi o giornalisti propongono interpretazioni storiche diverse da quelle che hanno lungamente dominato le aule universitarie e i convegni accademici sui grandi temi del Novecento: fascismo, comunismo, colonialismo, antisemitismo, Mussolini, Hitler, Churchill, Stalin, Pio XII e il caudillo Francisco Franco. Nato dal desiderio di rimettere in discussione alcune «verità» logorate dall' uso, il revisionismo, in questi ultimi anni, ha generato tuttavia una moltitudine di seguaci e imitatori, tutti alla ricerca di un pezzettino di terra (un evento, un personaggio, un movimento politico) su cui piantare la loro personale bandiera revisionista. Dal nonconformismo trasgressivo e provocatorio di qualche anno fa, siamo passati a un revisionismo spicciolo e, come il fast food, spesso insipido e rapidamente deperibile. Come era prevedibile questa inflazione di revisionisti ha provocato la reazione di coloro che ne avevano subito gli assalti. L' ultimo contrattacco è un libro molto interessante, curato da Angelo Del Boca e apparso presso l' editore Neri Pozza con il titolo La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico. Qui riappaiono quasi tutte le battaglie storiografiche degli ultimi anni di storia italiana. Mario Isnenghi passa in rassegna alcune diverse letture e interpretazioni del Risorgimento. Nicola Labanca descrive la scuola storica della tradizione colonialista, decisa a imporre una versione positiva del nostro passato in Libia e in Africa Orientale. Nicola Tranfaglia sottopone a un' analisi critica la monumentale opera di Renzo De Felice su Mussolini e sul fascismo. Giorgio Rochat racconta l' Italia in guerra dal 1940 al 1943. Lucia Ceci analizza l' offensiva antirisorgimentale di una parte del mondo cattolico. Mimmo Franzinelli ricostruisce la progressiva trasformazione dell' immagine di Mussolini per l' uso delle nuove generazioni e la «Betlemme nera» di Predappio. Enzo Collotti ripercorre le tappe della questione ebraica in Italia e concentra la sua attenzione sul modo in cui buona parte del Paese e la Chiesa cattolica hanno cercato di mascherare le loro responsabilità. Aldo Agosti parla del Partito comunista italiano e degli strumenti con cui i suoi avversari hanno cercato di delegittimarne la storia. Giovanni De Luna difende la Resistenza contro i suoi detrattori. E Angelo d' Orsi difende, insieme alla Resistenza, la Carta costituzionale dell' Italia repubblicana. Tutti i saggi sono interessanti, vivaci, brillanti e, naturalmente, discutibili. Gli autori hanno ragione, anzitutto, quando osservano che molti revisionismi di questi ultimi anni sono legati alla evoluzione della politica italiana. L' apparizione della Lega, la trasformazione del Msi in Alleanza nazionale, la discesa in campo di Silvio Berlusconi e il progetto culturale del cardinale Camillo Ruini, ex presidente della Conferenza episcopale, hanno «sdoganato» alcune pagine di storia italiana poco ricordate e legittimato versioni che sarebbero state considerate, vent' anni fa, eretiche o stravaganti. Non tutti i revisionismi hanno la stessa matrice e non tutti vanno nella stessa direzione. Ma tra il francobollo che il ministro delle Poste Pinuccio Tatarella emise in ricordo del filosofo Giovanni Gentile nel 1994, i libri della studiosa cattolica Angela Pellicciari e il recente kolossal su Barbarossa esiste il filo di un revisionismo che ha cercato di cambiare le prospettive della storia nazionale. Eppure viene naturale chiedersi se lo stesso non potrebbe essere detto, con le dovute differenze, degli storici che hanno scritto questo libro. Anch' essi hanno letto la storia italiana e gli avvenimenti del Novecento in modo diverso da quello delle generazioni precedenti. Anch' essi hanno rispecchiato lo spirito della loro generazione e degli anni in cui l' Italia assomigliava per qualche aspetto a una Repubblica popolare. Anch' essi hanno generato una moltitudine di imitatori impegnati a diffondere la vulgata resistenziale che fu per molti anni il canone della storia italiana. Anch' essi sono stati revisionisti. E uno dei più revisionisti fu per l' appunto il curatore del libro, Angelo Del Boca, lo studioso che ha maggiormente contribuito a spalancare le finestre del colonialismo italiano e a dimostrare quanto fosse trita e polverosa la storia che raccontava a se stesso. So che queste osservazioni possono essere tacciate di relativismo, una parola che è diventata, dopo l' inizio del papato di Benedetto XVI, persino più brutta di revisionismo. Ma confesso che la tenacia con cui alcuni storici difendono la loro verità mi è sempre sembrata una forma di dogmatismo. È dogmatismo, per di più velleitario, soprattutto in un Paese che non è mai riuscito a unificare le sue molte storie. Siamo uniti dalla geografia, dalla lingua, dall' esistenza di istituzioni centrali, dall' amore-odio per la Chiesa e dalla familiarità di tutti gli italiani con la religione cattolica. Ma abbiamo storie diverse che emergono alla superficie ogniqualvolta il Paese attraversa momenti di forte tensione politica. Combattere contro l' uso politico della storia, come dichiarano di voler fare gli autori del libro curato da Del Boca, è certamente una battaglia legittima, soprattutto quando produce, come in questo caso, un bel libro. Ma è perduta in partenza. In Italia la storia è sempre politica.