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Fiducia moderna e premoderna

di Fabio Mazza - 26/10/2009

       

Recentemente, nella mia attività di giurista, mi sono occupato di un argomento che ha molto a che vedere non solo con il diritto, ma anche in generale con la convivenza sociale: la fiducia.
Che cos’è la fiducia? Essa è innanzitutto un collante sociale, è ciò che tiene unita una collettività di persone e che impedisce che si crei quello stato di “homo homini lupus” teorizzato da Hobbes nel '600, per dare credibilità al suo “stato assoluto”. La fiducia è anche ciò che permette ai componenti di un nucleo sociale di relazionarsi tra loro e di mettere in atto tutti quei molteplici rapporti che vengono definiti “civile convivenza” (concetto prettamente moderno che vede la società come convivenza forzata).
La distinzione fondamentale che viene fatta dai teorici della solidarietà è quella tra fiducia moderna e premoderna.
La fiducia premoderna, cosi come la società che ne condivide l’aggettivo, era caratterizzata da quattro elementi fondanti: in primis vi era un forte sistema di parentela, rappresentante un modo per organizzare e stabilizzare una rete di rapporti e legami intersoggettivi; in secondo luogo era fondamentale il concetto di comunità locale, come luogo in cui si intrecciano relazioni che sono caratterizzate da solidità nel tempo; terzo elemento è quello delle credenze e delle pratiche rituali condivise, che conferiscono attendibilità all’esperienza degli eventi e delle situazioni; ultimo elemento è la tradizione (con la t minuscola), intesa come insieme di abitudini e pratiche normative e cognitive consolidate che permette di interpretare il passato come mezzo per organizzare il presente e il futuro.In un quadro siffatto, caratterizzato da contesti spazio-temporali ovviamente limitati e ridotti, potremmo dire a “misura d’uomo”, la fiducia era qualcosa di “personale”. Nelle sue forme classiche di “fides” e di “bona fides” emerge dai costumi dei consociati spontaneamente e si connette alle radicazioni profonde della vita di relazione.Tutto, dal commercio alle relazioni interpersonali si giocavano su una conoscenza “diretta” e “immediata” del mondo circostante, che era un “universo finito in cui ogni cosa aveva il suo posto e il suo valore”, come sostenevano i filosofi del diritto giusnaturalisti.
La fiducia moderna è invece il frutto (marcio) dell’impatto dirompente di tre grandi forze dinamiche: la separazione del tempo e dello spazio, la riflessività istituzionale, i meccanismi di disaggregazione.
Il tempo e lo spazio si separano. L’uomo non è più intimamente legato ad un contesto locale e temporale: la possibilità di comunicare con persone e di concludere transazioni e commerciare a distanze enormi ha sovvertito la precedente rete relazionale basata sul contatto diretto e sulla costruzione graduale di rapporti di fiducia durevoli.
Non essendovi più tradizioni né ritualità o senso di vita condiviso, la vita diviene irrimediabilmente relativa: le stesse esperienze sociali vengono esaminate e riformate alla luce di nuovi dati acquisiti in merito a queste stesse esperienze. Non vi è più nulla di certo.Il risultato di questi processi sociali è un diffuso sentimento di perdita di senso, di anomia, di massificazione dei desideri e delle esperienze, ma soprattutto, per quello che qui ci riguarda, un cambiamento profondo nel modo di riporre fiducia nel prossimo e nel concetto stesso di fiducia.
La fiducia perde il suo carattere interpersonale e si formalizza. Non viene più accordata agli individui, ma alle capacità astratte di funzionamento dei sistemi sociali, come lo stato, che dovrebbero garantire le relazioni sociali con la legge e con il diritto. Esse divengono strutture fiduciarie che garantiscono la certezza delle aspettative comportamentali. La fiducia è attuata attraverso la norma, che solleva cosi la società dalla paura e dal senso di precarietà che sempre accompagna questi rapporti “al buio”.
Questo solo apparentemente. Il problema vero è che una società, come ammettono anche filosofi del diritto “democratici” e “modernisti”, non può reggersi per lungo tempo se non possiede strutture e rapporti fiduciari, che esulino dalla mera legge e dalla coercizione.
Il problema della fiducia riguarda infatti non solo la questione “materialistica” di un contratto o di un acquisto on-line, ma molto più drammaticamente quello delle relazioni tra individui che convivono (e il termine è calzante) in un medesimo territorio. Che cosa infatti è ora la nostra società, se non un insieme di persone che condividono un territorio e che cercano di portare avanti i loro egoistici piani di vita, cercando di disturbarsi il meno possibile? Ma questa può essere definita una comunità?
Noi intendiamo comunità (o società) in un senso affatto diverso. Una comunità è un insieme di uomini che condividono una stessa visione della vita, che partecipano consciamente al benessere e alla vita della loro gente e del loro territorio, che si sentono uniti da rapporti “spirituali”, che vanno oltre il mero campanilismo. Uomini che sentono la forza di un destino comune ( e di origini e radici comuni) e che ripongono fiducia nell’altro perché ne conoscono personalmente vizi e virtù, debolezze e grandezze.
Mentre oggi sembra proprio che il nuovo modello di “fiducia”, imposto anche dalle circostanze e dalla contingenza storica, sia insuperabile. Il futuro che si prospetta p allora quello di milioni di individui che comunicano “telematicamente”, ma che non conoscono il vicino di casa, o chi vive nel loro quartiere o paese. Una “comunità” di sradicati, convinti di essere più liberi, e che guarderanno con sospetto ad ogni cader di foglia intorno a loro.