Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Sumak kawsay: il «buon vivere» dei popoli indigeni

Sumak kawsay: il «buon vivere» dei popoli indigeni

di F.G. - 26/10/2009

 
  
La «decrescita» è un concetto che va bene per noi che, almeno economicamente, siamo cresciuti troppo. Per i popoli indigeni si parla piuttosto di «buon vivere»...

... che nella lingua andina quechua si esprime con le parole sumak kawsay: significa vivere in armonia con gli altri e con l’ambiente. Un’alternativa concreta già esistente, anche se in pericolo, all’economia di mercato.

Nelle miniere portavano un uccellino: era il primo a morire se c’erano fughe di gas tossici, e i minatori scappavano. Oggi l’uccellino dell’umanità sono i popoli indigeni, quelli che vivono ancora in simbiosi con la natura. Ma dalla Terra non possiamo scappare, anche se gli indigeni-uccellini ci avvisano già da tempo che i cambiamenti climatici e la perdita della biodiversità sono a un punto di non ritorno. E molti di loro sono i primi a subire gli effetti, nel modo più immediato e drammatico. Vivono in ambienti poco antropizzati, che fanno gola agli estrattivisti, a chi vede la natura come puro deposito da sfruttare. Invece gli indigeni hanno una relazione culturale e spirituale stretta con la natura.

Sanno di dipendere in tutto da essa e vi si sono adattati in modo armonico seguendo una via culturale parallela alla nostra: nel nostro cieco etnocentrismo l’abbiamo definita «primitiva», ma oggi si scopre essere la più moderna, forse l’unica già esistente che può permettere a tutti noi di invertire il modello di sviluppo per stabilizzare e armonizzare le nostre relazioni con l’ambiente.
Noi «civilizzati» l’abbiamo dimenticata e stiamo riscoprendo solo ora la sostenibilità. Gli indigeni sono capaci da sempre di adattarsi ai climi più estremi: per questo i loro avvertimenti e suggerimenti, le loro indicazioni, devono essere ascoltati.

Una questione di vita o di morte
Ghiacci che si sciolgono sotto i piedi degli Inuit e permafrost che si liquefa, isolette che rischiano di finire sommerse, acque che vengono a mancare, suolo agricolo impoverito, foreste distrutte, piccole coltivazioni espropriate e trasformate in monoculture…Con tutta la sensibilità e buona volontà che possiamo avere, noi li sentiamo come problemi pressanti e globali, per i quali agire; per loro sono assolutamente essenziali, vitali e quotidiani. Gli indigeni di tutto il mondo sono i più impegnati a fare pressione sui governi e sull’opinione pubblica perché cambi il modello di sviluppo, o meglio si passi a uno stato di equilibrio con la natura. Ne va letteralmente della loro vita, e non in termini di decenni come per tutti noi, ma di anni. In questi pochi mesi che mancano al summit Onu di Copenhagen sui cambiamenti climatici, che dovrebbe portare a un nuovo accordo globale che aggiorni gli obiettivi di Kyoto, gli indigeni di tutto il mondo si sono riuniti diverse volte mettendo sempre la questione al centro della loro agenda.....