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Lettera dal Rettore Frati e risposta a Gigi Rettore: andiamo insieme non ad Auschwitz, ma a Gaza

di Antonio Caracciolo - 29/10/2009



Più passano o giorni e più mi diventa chiara la situazione, la sua genesi, la regia occulta, mandanti, esecutori, ispiratori, tecniche, astuzie, e quanto altro. La difficoltà che avverto è quella di descrivere tutto ciò avvalendomi dell’unico strumento che ho per esprimermi, cioè questo blog e la rete, che non a caso si vuole controllare, si vuole chiudere. Il direttore di Repubblica, da dove il 22 ottobre è partito l’attacco, è persona troppa importante perché chiunque lo passa chiamare al telefono e lui doversi degnare di rispondere. Delle due lettere di smentita all’articolo di Pasqua nulla ha saputo in merita alla pubblicazione che dovrebbe essere obbligatorio. Qualcuno mi ha risposto, non importa se abbia o non abbia detto una “sciocchezza”, che la prassi seguita da Repubblica per le lettere consiste nel girare la smentita allo stesso giornalista che si vuole smentire, il quale decide se pubblicare o meno la lettera. Chiunque può capire con quale garanzia per diffamati e malcapitati.

È davvero una difficoltà notevole per me rispondere ad una potenza di fuoco esorbitante tutta su di me concentrata. Si noti che in senso non metaforico la voce del Signor Pacifici chiedeva la mia testa mentre era fisicamente in Gerusalemme, cioè nello stato di Israele. Questo signore che dovrebbe essere un privato cittadino si rivolge alle massime cariche dello stato italiano dando loro del tu e dicendo cosa devono fare o non devono fare. Chiedono la testa di docenti, presi di mira e di cui poco ci si preoccupa di sapere cosa effettivamente abbiano detto. Se vogliono replicare, non ne hanno il diritto. È sufficiente che si sappia che non hanno fede sionista, che non sono incondizionatamente fedeli allo stato di Israele e siano riluttanti, anzi espressamenti contraria a quella identità da costruire tutta su Auschwitz, come si descrive nelle pagine finali del limpido Manuale di oltre 1000 pagine di Tony Judt, Dopoguerra. Come è cambiata l’Europa dal 1945 a oggi. Mentre facevano riprese negli scaffali della mia biblioteca alla ricerca di testi “negazionisti” (senza trovarne) non hanno segnato questo volume ben visibile su un tavolino.

Or dunque, caro Gigi, ho capito che qualcuno in alto loco ti ha chiesto la mia pelle ed a te in fondo della mia testa ti interessa assai poco, a fronte di notevoli vantaggi che ne potrai ricavare. Ho telefonato alla mia sigla sindacale universitaria per avere lumi sugli aspetti normativi della vicenda. Mi è stato risposto che la faccenda è solamente politica e che meglio conviene rivolgersi ad un valente amministrativista, cosa che ho fatto nella persona di un amico, al quale ho già invito la corrispondenza epistolare formale fra me e il Rettore, al quale rimprovero di non avermi mai ascoltato in questa vicenda per sapere da me e non da altri come siano andati effettivamente le cose. Mi ha fatto sospettare di lui una sua partecipazione ad una trasmissione televisiva del mattino che io non vedo mai, dove mi dicono che si sarebbe pronunciato nei miei confronti in termini non gentili. Sto tentanto di avere la registrazione della trasmissione ed ho chiesto, credo per email – a parlare per telefono con qualcuno ti fanno passare la voglia – e dichiarandomi disposto a comparire in contraddittorio con gli stessi personaggi che se la sono spassata sulle mie spalle, io assente.

Tante le cose che mi passano per la mente, tante le cose da dire. È un romanzo come quelle di Augias, di cui mi dicono sia sceso in campo per imbavagliare la rete, cioè la possibilità che ho io adesso di scrivere, avendo qualche lettore disposto a leggermi. Ho sperimentato che a Repubblica non ne vogliono neppure sapere di pubblicare le mie repliche all’infame campagna di linciaggio da loro programmata e concertata sulla mia testa, che evidentemente non deve essere libera di pensare se non dopo autorizzazione rettorale e ministeriale...

La scrittura si è dovuta interrompere per una serie di telefonate ricevute e fatte. Un problema, squisitamente giuridico e per il quale occorrebbe uno specialista di diritto sulla privacy, è se io posso pubblicare il pdf delle lettera ufficiale del rettore. Vedremo. Ma il suo contenuto è di una semplicità estrema. Mi si chiede se io quelle cose le ho detto a lezione oppure no. E se le ho dette che ne dimostri la fondatezza scientifica. Una fondatezza il cui punto di partenza assodato e indiscutibile sono alcuni voci dell’Enciclopedia Britannica. La mia risposta amministrativa è una sonoro NO! Io di quelle cose mai mi sono occupato e mai me ne occuperò per il semplice motivo che non rientrano nell’ambito disciplinare della mia materia, non ne so proprio nulla in senso professionale. Se ne ho curiosità, posso leggere come ha fatto Gigi quel che ne scrivono le Enciclopedia, i Bignani, i repertori vari. Ma la scienza come mestiere è un’altra cosa. Ve lo immaginate un Copernico che vada a leggere leggere l’Enciclopedia Britannica per sapere chi era Copernico e la scoperta copernicana? La lettera che Gigi mi ha mandato, ovvero gli hanno chiesto di mandarmi, è chiaramente una trappola politica, alla quale io avevo già risposto a Gigi prima ancora che io ricevessi la sua lettera formale protocollata. Ma Gigi trova il tempo per andare a parlare alle televisioni su di me e contro di me, ma non trova il tempo per leggere le mie lettere sugli argomenti che riguardano la mia persona senza volermi ascoltare né prima né dopo. Che dite: non c’è del marcio nel regno di Danimarca?

E veniamo ad Auschwitz che tanto infiamma i cuori e le menti di Gigi, di Alemanno e forse pure del Marrazzo che diceva di volermi guardare negli occhi. Non sono bene informato sulle sue private faccende, di cui ho appena subodorato, ma non mi interessano. Gli rimprovero soltanto di non essersi preso la briga, come nessun altro dei dichiaranti, di andarsi a informare meglio sulle mie faccende prima di aprir bocca. Ma lo sappiamo come sono i politici. Ogni occasione è buona per una pubblicità gratis a spese dei contribuenti. Nella loro universale ignoranza possono rispondere a qualsiasi domanda, di ogni genere, riguardante qualsiasi persona, in qualsiasi campo dello scibile. Auschwitz, dunque. Ma, caro Gigi, perché non andiamo insieme in folta delegazione, sul bilancio dell’università, a quella marcia della pace che ogni anno si teneva ad Assisi e quest’anno invece a Gaza. Ti dice niente questo nome: Gaza? Ti ricordo che nello scorso gennaio negasti l’aula per un seminario nella nostra università sulla guerra israelo-palestinese che nella sua operazione “Piombo Fuso” si concluse il 18 gennaio. Successivamente il “rapporto Goldstone” accertò che da parte di Israele vi sono stati “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Infine, il Consiglio ginevrino sui diritti umani ha approvato a maggioranza assoluta questo rapporto. Hanno votato contro deplorevolmente pochi paesi, fra cui l’Italia. È da chiedersi perché. Di questo rapporto ho pubblicato il
testo integrale in inglese. Ne ho iniziato la traduzione e il commento.

Fermo restando la parte di lettera formale che ho già redatto, dove ribadisco la totale estraneità dei temi addebitati come oggetto delle mie lezioni, stante la mia incompetenza in una siffatta materia storica nonchè la totale ignoranza degli archivi e delle fonti e la mia mancanza di interesse per la materia, non intendo tuttavia eludere una mia esternazione sui temi che da soggetti politici esterni ti sono stati imposti, ritengo con grave sacrificio delle prerogative universitarie. Devo però rifarmi a miei studi precedenti dove mi sono occupato di un filosofo mio conterraneo, Francesco Antonio Grimaldi, che negli 1779-80 pubblicò a Napoli in tre volumi le sue Riflessioni sopra l’ineguaglianza fra gli uomini. Anche qui, se dovessimo giudicare solo dal titolo senza leggere il libro ed il contesto in cui il libro è sorto, così come si è voluto fraintendere in malafede il titolo di alcuni miei vecchi post, se ne dovrebbe concludere che il filosofo calabrese sia stato un teorico del razzismo ed un anticipatore di Gobinau. Ed invece non è così! È stato semmai un anticipatore della teoria della differenza, che non è né ineguaglianza né discriminazione razziale o di altro genere. La realtà apparente del titolo è totalmente diversa dal. contenuto dei tre tomi. Non posso riassumere in poche parole le 800 pagine dell’opera, ma l’autore dichiara espressamente con grande senso di umanità che se fosse dipeso da lui abolire tutte le ingiustizie che urtano con il nostro senso morale lui lo avrebbe fatto. Tuttavia, con grande rincrescimento egli deve constatare che l’ineguaglianza risorge continuamente. Ho parlato finora degli articoli 21 e 33 della nostra costituzione, ma consideravo implicito il nome fondamentale articolo 3 che dice essere di voler rimuovere ogni ostacolo, ogni discriminazione. Non ho mai negato che nel corso della storia del Novecento, ma anche ai giorni nostri, vi siano stati e vi siano forme gravi e gravissime di discriminazione. Chi durante la seconda guerra mondiale finì nei campi di concentramento era chiaramente oggetto di una discriminazione. Sulla discriminazione, di ieri e di oggi, la condanna morale è generale e che io sappia non vi è controversia storica per il passato. Da un punto di vista morale ed etico non ho mai avuti dubbi sulla inconciliabiltà di ogni forma di discriminazione con l’idea stessa della democrazia.

Se mi si chiede se io abbia mai plaudito a qualsiasi forma di genocidio, pulizia etnica, discriminazione o se io stesso addirittura abbia commesso genocidi, pulizie etniche o attuato forme di discriminazione in contrasto con l’art. 3 della costituzione italiana o in contrasto con la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è cosa assolutamente assurda solo il pensarlo. Trovo offensivo che mi venga rivolta una simile domanda. Tuttavia, altro è il proprio sentimento morale di condanna e di repulsione per ogni forma di violenza e discriminazione, altro è il lavoro dello studioso che deve indagare i fatti, ove egli sia uno storico, ovvero indagarne le matrici ideologiche, ove sia un filosofo. In questi casi, per poter accertare la verità o le verità, gli storici e i filosofi nel rispettivo ambito devo avere la garanzia della piena libertà per poter operare. A mio modo di vedere, in nessun campo esistono verità acquisite che non abbiano bisogno di continue verifiche. Ed anche la trasmissione delle conoscenze da una generazione all’altra non può avvenire per mera trasmissione dogmatica o peggio ancora una verità storica venir trasformata in una nuova religione verso la quale si pretende una fede cieca e assoluta. Si esce in tal caso dal campo della storia e della filosofia.

Uno dei libri presenti nella mia biblioteca, scrutata dalla telecamera della tv di stato alla ricerca di corpi di reato, ha per titolo Il Novecento come secolo di genocidi. Non uno ve ne sarebbero stati, ma molti. La nozione di “genocidio” è stata elaborata in epoca relativamente recente e non sempre i governi accettano che gli studiosi qualifichino come “genocidio” epoche o momenti nella storia di un determinato paese. Purtroppo la storia, che è si basa su documenti, non può mai prescindere dall’interpretazione che il singolo storico dà di volta in volta. Non è sempre facile portare alla luce eventi passati o perfino conoscere eventi a noi contemporanei che i governi hanno interesse a tenere celati. Ma l’imposizione per legge di una qualsiasi verità storica, non più lasciata al libero convincento di chi ne va alla ricerca, getta necessariamente su di essa un’aura di sospetto e non credibilità per il solo fatto di essere imposta e sanzionata penalmente, come ahime succede in taluni paesi e come si chieda avvenga anche in Italia. In tali casi per poter ristabilire la verità nella sua forma autentica e incontaminata è necessario ripristinare condizioni di libertà di pensiero e di ricerca dove non esistano più. Ciò che vado dicendo e che mi ha procurato qualche problema è che non l’Italia si deve adeguare alla Germania, ma la Germania all’Italia fintantoché esistono da noi condizioni di maggiore libertà.


(segue: testo in elaborazione che richiede pause di riposo e di revisione di quanto già scritto e per quanto ancora da scrivere. Vers. 1.1 del 29.10.09)