Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Attualità di Marx?

Attualità di Marx?

di Martino Mora - 02/11/2009

 

Karl Marx (1818-1883) ha avuto un ruolo di primaria importanza nella storia delle idee e nella storia politica degli ultimi due secoli. Forse nemmeno Jean Jacques Rousseau ha esercitato un' influenza così duratura.
Soltanto le opere di  Charles Darwin e Sigmund Freud hanno condotto a delle trasformazioni altrettanto radicali  nella  cultura occidentale, sebbene in ambiti diversi dal suo. Nemmeno Nietzsche può, da questo punto di vista, essere paragonato a Marx.
Non è questo l'ambito per discutere sulla identificazione del pensatore di Treviri con i regimi comunisti e totalitari che hanno infestato la storia del Novecento. Senz'altro il lenismo, l'ideologia all'origine della Rivoluzione d'Ottobre (ma anche, successivamente, dei regimi del comunismo asiatico e sudamericano), è stata un'ideologia marxista, una interpretazione del pensiero di Marx. Una delle possibili  versioni del marxismo, ma non l'unica. E' impossibile sapere se Marx avrebbe approvato Lenin.
Però la domanda che dopo la caduta del comunismo europeo e sovietico(1989-1991) dovremmo porci è la seguente: Marx è tutto da buttare? O alcuni aspetti del suo pensiero sono validi ancora oggi?

Il merito di Karl Marx è di avere identificato nella "reificazione", cioè nella riduzione dell'uomo stesso a cosa, a oggetto, l'aspetto centrale della società mercantile (anche se il termine "reificazione verrà coniato dal marxismo successivo). Ed è inoltre quello di aver colto la tendenza del capitale all'espansione illimitata, con conseguente rivoluzione continua dei modi di vita, dei costumi, delle mentalità umane. Questi temi sono ancora attuali, anzi attuali più che mai.
Oltre a questi meriti indiscutibili, il pensiero marxiano è però gravato da una lunga serie di presupposti infondati.
Per prima cosa, l'antropologia marxiana è totalmente errata perché fa coincidere, dai Manoscritti economico-filosofici (1844) in poi, l'essenza dell'uomo con il lavoro. Parte quindi dallo stesso punto di partenza di Adam Smith, cioè del fondatore dell'economia politica e teorico del libero mercato. Sebbene le conclusioni a cui poi giunge  Marx siano molto diverse da quelle di Smith, il punto di partenza è lo stesso. Non è quello di Aristotele e nemmeno quello di Hegel. E' quello del pensiero economicista puro, dell'uomo ridotto a faber, a colui che trasforma il mondo con il suo lavoro e lo manipola tecnicamente. La socialità dell'uomo, la sua politicità innata (Aristotele) è quindi subordinata al lavoro. La sua religiosità, costitutiva dell'umano, come ben sanno gli antropologi, è addirittura negata con argomenti estremamente rozzi (la religione come "oppio dei popoli").

Un altro aspetto del pensiero di Marx, spesso trascurato, è il suo nichilismo di fondo. Prima ancora di Nietzsche e Stirner, Marx è un convinto nichilista. Nel Manifesto dei comunisti (1848), scritto con Friedrich Engels, afferma che non esistono verità eterne, quindi principi veramente universali. Non scrive solo che i grandi principi sbandierati dalla borghesia del suo tempo non sono realmente  universali, ma sostiene molto di più, cioè che non esistono verità eterne, quindi principi davvero universali al di là della contingenza storica nel quale vengono espressi. Dipendono dalla struttura sociale, o meglio economica, sono espressione dei rapporti di produzione sui quali si fonda la società. Sono nient'altro che le idee delle classi dominanti. Se l'affermazione di Marx è corretta, ciò significa che non esistono principi etici (e tantomeno metafisici) razionalmente fondati. Cioè che in ambito morale non esiste alcuna verità oggettiva ed eterna,  ma tutto è storicamente relativo. Siamo quindi già nel campo del  relativismo, anzi del nichilismo, conseguente al fatto che Marx non solo non crede in Dio, ma non crede nemmeno nella ragione morale, nella capacità della ragione umana di fondare la morale.

Allora in cosa crede realmente Marx? Come può superare - o illudersi di farlo - il relativismo e il nichilismo insiti nel suo pensiero? Attraverso la Storia. Marx crede nella Storia. La Storia prende nel suo pensiero il posto di Dio. E' la Storia e solo la Storia a decidere della bontà di un principio, di un'azione, di una lotta, di un progetto. E' la Storia il supremo giudice di ciò che buono e di ciò che non lo è. Inoltre, Marx non si accontenta di abbracciare questa fede nella Storia, ma della Storia crede di avere colto il segreto. Perlomeno a partire dalla stesura, con Engels, de "L'ideologia tedesca (1845-46). Attraverso la dialettica hegeliana e le categorie analitiche dell'economia politica inglese, crede di essere in grado di comprendere interamente il corso storico e di prevedere il futuro, che egli identifica con la lotta tra la classe operaia politicamente organizzata e la borghesia, con l'inevitabile affermazione del proletariato e della sua dittatura, e poi l'instaurazione di una successiva società senza classi dove si avrà finalmente la piena ed autentica realizzazione dell'umanità ed il definitivo superamento di ogni forma di alienazione. Insomma: il paradiso in terra.
Qui Marx, senza saperlo, senza minimamente sospettarlo, si riallaccia alla tradizione del messianismo ebraico, alla fede giudaica nella venuta del Messia come sovrano vittorioso. Un Messia che deve ancora venire, un Messia politico, tipico di una certa tradizione giudaica. Qui si tratta, ovviamente, di un Messia collettivo, del Messia-proletariato nella sua dimensione partitica, ma pur sempre di in Messia che viene dal nuovo popolo-eletto, il proletariato, e che salva l'umanità intera, la redime dal suo destino e mette fine alla Storia. Si tratta chiaramente di una secolarizzazione del messianismo e del profetismo ebraico, ed è davvero singolare che un "maestro del sospetto", che uno smaliziato e disincantato analista della "falsa coscienza" altrui fosse così sprovveduto con se stesso da non essere minimamente consapevole di questo aspetto ambiguo del suo pensiero.
Se ne fosse stato minimamente consapevole ne sarebbe rimasto senz'altro inorridito,  e questo per almeno un paio di motivi. In primo luogo, l'ateo Marx rifiuta sempre qualsiasi contaminazione del socialismo con ideali cristiani secolarizzati. Quando nel 1847 Marx ed Engels propongono a Londra di rifondare la Lega dei Giusti con il nuovo nome di Lega dei comunisti, sostengono che il vecchio nome sa troppo di tradizione biblica. E allo slogan Gli uomini sono tutti fratelli sostituiscono la frase, poi inserita anche a conclusione de Il Manifesto, Proletari di tutto il mondo unitevi! Allo stesso modo, consapevole che l'umanitarismo socialista, che parla ancora i "fratellanza universale", si presenta spesso come laicizzazione di precedenti temi cristiani, Marx ostenta a più riprese, nella sua vita, un sarcastico disprezzo per questa contaminazione.
In secondo luogo, Marx sarebbe rimasto inorridito dal proprio inconsapevole messianismo di ascendenza giudaica anche a causa del proprio antisemitismo. Ebreo egli stesso, il rivoluzionario di Treviri scrive con La questione ebraica (1844) una feroce requisitoria antisemita, in cui identifica - come tanti altri socialisti dell'Ottocento - il ruolo sociale dell'ebreo moderno con quello dell'affarista, del banchiere, del plutocrate. L'ebreo, finanziere o usuraio, è per Marx un pilastro del sistema capitalista, anzi nell'ebreo vi è "l'essenza stessa del capitalismo". Ciò nonostante, come tutti i capitalisti, anche l'ebreo è schiavo egli stesso del denaro che manipola. Solo  con il passaggio dal capitalismo alla società comunista l'ebreo, contro i suoi apparenti interessi, può realmente emanciparsi da un sistema che lo rende schiavo. Al di là di ogni emancipazione giuridica, che è di fatto soltanto un'emancipazione di superficie, la vera liberazione dell'ebreo può avvenire soltanto nella società senza classi.

Altro aspetto decisivo del pensiero di Marx è la fede nel progresso, che lo accomuna alla maggior parte degli uomini del suo tempo.
Il mito del progresso, nato con la cultura illuminista, con gli scritti di Voltaire, Turgot e Condorcet, è  divenuto nel XIX secolo  il primo articolo di fede, sebbene Hegel l'abbia arricchito con la dialettica, segreto della Storia e nuovo strumento intellettuale per comprenderla pienamente.
Erede intellettuale dei Lumi e al contempo dell'hegelismo, Marx è anche grande ammiratore del suo contemporaneo Charles Darwin, il teorico dell'evoluzione naturale. Inoltre è entusiasta dello straordinario sviluppo delle forze produttive moderne, (da qui il suo paradossale ma sincero elogio della borghesia nelle prime pagine de Il manifesto) e del progresso tecnico-scientifico.
A differenza degli illuministi, però, non pensa che lo sviluppo tecnico-scientifico proceda di pari passo con il progresso morale dell'umanità. Non crede nemmeno che il semplice sviluppo delle forze produttive conduca  ad una società migliore, ma anzi ad una maggiore oppressione. Però lo sviluppo delle forze produttive e il progresso tecnico-scientifico diverranno gli strumenti necessari per l'edificazione del comunismo, dopo la necessaria e inevitabile affermazione del proletariato organizzato politicamente, il Messia collettivo.
Così, come ha rilevato Leo Strauss, la società senza classi significa la vittoria della città sulla campagna e dell'Occidente sull'Oriente. Si tratta della vittoria del modello comunista, produttivista, modernizzante  e internazionalista, su qualsiasi altro modello culturale. Alla faccia di tanti marxisti e postmarxisti "terzomondisti", il marxismo originale, quello di Karl Marx, significa occidentalismo allo stato puro, per quanto si tratti di un occidentalismo di nuovo tipo. Del resto, nel loro "elogio funebre"della borghesia, Marx ed Engels giudicano il colonialismo occidentale foriero di sviluppi positivi, perché permette ed ha permesso  ad altri popoli di "entrare nella civiltà".
Anche Marx, come molti illuministi (uno per tutti, Concorcet) propone un occidentalismo omologante, un modello unico per tutti i popoli della terra, in cui non si trova un rispetto di fondo per le identità culturali, né per la propria, né tantomeno per quelle altrui, catalogate come arretrate e oppressive. Da qui un continuo, indefesso peana alla modernizzazione omologante della società socialista, che dovrà estendersi su tutta la terra.  La cosmopolis universale e monoculturale è il modello di Marx. Si tratta di una proposta tanto diversa da quella degli estremisti della globalizzazione liberale?

Come rilevato da Luis Dumont, Marx è anche un individualista mascherato. Partendo dalla stessa antropologia di Adam Smith, che identifica nel lavoro l'essenza dell'uomo, non poteva non finire nelle secche dell'individualismo. La visione finale di una società comunista, senza Stato e senza famiglia, così vicina all'ideale anarchico, rivela l'individualismo di fondo del suo pensiero.
Certo, il giovane Marx ne La questione ebraica ha criticato duramente la teoria dei diritti umani, considerandola espressione dell'individuo borghese separato dai suoi simili. Come il suo maestro Hegel, ma anche come tanti pensatori molto diversi dalle sue posizioni (De Maistre, Burke, Bentham), rifiuta sia la teoria del giusnaturalismo che le Dichiarazioni universali dei diritti dell'uomo che su essa si basano, espresse dalla Rivoluzione americana e dalla Rivoluzione francese. Proprio ora che di "diritti umani" tanto si blatera, dovremmo rivedere gli argomenti che stanno alla base alla critica dei diritti. Sono argomenti che, in maniera forse un po' troppo schematica, potremmo definire provenienti sia da destra (Burke, De Maistre), sia dal centro (Hegel), sia da sinistra (Marx). Se pensatori dalle posizioni politiche tanto diverse hanno mosso una critica tanto radicale contro i cosiddetti "diritti universali", forse dovremmo chiederci se queste critiche non conservino tuttora la loro validità.
Nonostante la sua critica alla Dichiarazione del diritti dell'uomo e del cittadino (1789) e in generale alle teorie giusnaturalistiche quali espressioni dell'atomismo e dell'individualismo borghese, anche il pensiero di Marx rimane permeato di individualismo, come ha sostenuto anche Pierre Rosanvallon.
Dimostrazione di questo individualismo è il disprezzo per la famiglia come istituzione sociale,  più volte manifestato da Marx ed Engels (allontanandosi da Hegel forse come non mai), nonché per ogni radicamento, tradizione, identità storica e comunitaria.
Questo limite dell'atomismo, dell'individualismo implicito nell'antropologia marxiana (anche il proletariato è in questa prospettiva concepito assai più come un'associazione di individui uniti nel loro interesse che come una comunità), la sinistra attuale se li porta quanto mai dietro anche oggi, soprattutto oggi. Dal Sessantotto in avanti, la sinistra non ha fatto che attaccare e indebolire il nucleo originario di ogni reale comunità storica, cioè la famiglia.
L'aborto, l'eutanasia, la liberalizzazione delle droghe e della pornografia, oggi i cosiddetti "diritti dei gay" sono tutte cause molto popolari a sinistra. E sono tutte, inevitabilmente, delle cause che si possono sostenere solo a partire dal punto di vista di un individuo-atomo che concepisce la propria libertà come qualcosa che non deve niente alla comunità alla quale si appartiene, alle generazioni che ci hanno preceduto e a quelle che verranno dopo.
Invece, la sinistra sembra aver oggi rimosso la critica marxiana al capitalismo, alla società mercantile, al dominio del denaro e della merce, temi quanto mai attuali.
Insieme al messianismo, al rifiuto della democrazia parlamentare, all'implicito utopismo, di Marx  la sinistra attuale sembra volere rimuovere anche ogni riflessione sull'alienazione e la reificazione dell'uomo. Ha gettato così, insieme all'acqua sporca, anche il bambino. Così sa soltanto insistere, come un disco rotto, sull'antirazzismo, l'accoglienza incondizionata e indiscriminata degli immigrati, la promozione di presunti diritti degli omosessuali, sposando la logica della globalizzazione omologante e della forma-capitale.
Con qualche insignificante variazione sugli  stessi temi, la sinistra dei diritti e la destra del denaro propongono entrambe le stesse cose: crescita economica, produttivismo, consumismo alienante. Con tanti saluti a Marx. O meglio: a ciò che è ancora attuale del pensiero di Marx.