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Il sole non ride più ma l'Italia avrebbe bisogno dei Verdi

di Alessandro Campi - 04/11/2009

Fonte: Il Riformista

 

 

La questione ambientale è sempre più al cuore dell’agenda politica dei principali governi: dagli Stati Uniti del democratico Obama alla Svezia del riformista-conservatore Reinfeldt. In tutto il mondo si parla oggi di “green economy” e di energie alternative, di tutela delle risorse idriche e di salvaguardia della biodiversità, di carbon tax e di sviluppo eco-sostenibile, di contenimento delle emissioni tossiche e di cambiamenti climatici. Ma in Italia, a destra come a sinistra, non c’è alcuna forza politica che rappresenti in modo convinto e convincente simili temi e se ne faccia interprete. Non c’è più il partito del “sole che ride”: che non è uscito solo dalle sedi della rappresentanza popolare, ma è letteralmente sparito dal dibattito, ha smesso del tutto di farsi sentire e proprio nel momento in cui certi questioni sono diventate ancora più centrali e dirimenti.

Tra le tante stranezze della nostra politica la scomparsa dei Verdi dalla scena pubblica, la loro evaporazione dopo anni all’insegna di un protagonismo indiscutibile, anche se spesso privo di costrutto, è solo l’ultima, forse nemmeno la più significativa. Ma merita comunque di essere segnalata. Che fine hanno fatto gli ambientalisti in quello che è pur sempre il Bel Paese, dunque il luogo dove più di altri il rispetto per l’ambiente e la conservazione del paesaggio, la lotta contro il degrado urbanistico e contro l’inquinamento, dovrebbero rappresentare la posta in gioco di qualunque scelta di sviluppo?

Nei mesi scorsi, come si ricorderà, è bastata una breve disposizione di legge, accompagnata da nessuna discussione pubblica, per riaprire la strada al nucleare e dunque alla più potente, ma anche alla più controversa, delle fonti d’energia. Solo tre o cinque anni fa sarebbe venuto giù il mondo. Quantomeno si sarebbero sentite, con forza, voci dissenzienti e critiche. E invece anche questa decisione, come è già accaduto per il “piano casa” e i faraonici programmi di investimento in opere pubbliche e infrastrutturali decisi dall’attuale Governo, è scivolata via senza intoppi e proteste. Per carità, si tratta di scelte entro certi limiti apprezzabili e necessarie: per rilanciare l’economia, per modernizzare il Paese e, nel caso del nucleare, per cercare di ridurre la nostra dipendenza energetica, ma almeno sapere i rischi ai quali andiamo incontro e conoscere le eventuali controindicazioni. Almeno cercare di capire se siano possibili e praticabili strade alternative. Ma chi avrebbe dovuto parlare - appunto Verdi e ambientalisti - non ha più voce e argomenti da far valere; e non si tratta di una censura dall’alto a danno di una minoranza dissidente, ma piuttosto del fallimento di un progetto politico, della conclusione poco gloriosa di una parabola in alcuni momenti persino esaltante, ma nel complesso dimostratasi ambigua e contraddittoria.
Il fatto è che i Verdi italiani, rispetto ai loro omologhi europei, che ancora contano e si fanno sentire dall’opinione pubblica, basti pensare al caso della Germania o della Francia, sono sempre stati, salvo eccezioni, di una razza speciale: oltranzisti e dottrinari, incapaci di emanciparsi da una matrice culturale di sinistra estrema e di darsi dunque un profilo politico indipendente, fondamentalisti e maneggioni insieme, rivoluzionari nei proponimenti ma inconcludenti nelle realizzazioni. E non è un caso dunque che abbiano esaurito la loro traiettoria politica - e consumato tutta la loro credibilità - sotto la guida di un personaggio come Alfonso Pecoraro Scanio: un parolaio insopportabile, un campione del sottogoverno, un uomo di un infantilismo ideologico assoluto.

Si dirà che il tema dell’ambiente è talmente serio e ampio da non poter essere affidato in via esclusiva a un solo partito. Dovrebbe piuttosto rappresentare una preoccupazione diffusa e trasversale. E dunque il ritorno nell’ombra dei Verdi non è poi un così gran problema. Anzi, rappresenta forse la premessa affinché di certi problemi si possa finalmente discutere in modo pragmatico e senza preconcetti ideologici, senza gli allarmismi e le chiusure che hanno caratterizzato la loro esperienza politica.


Può darsi che le cose stiano così per davvero. Ma vedere quale pattumiera a cielo aperto sia oggi l’Italia, sepolta dai rifiuti tossici, assistere al degrado inarrestabile del suo territorio, che frana dal Nord al Sud e ovunque viene devastato dal cemento, dimostra quanto poco ancora interessi, agli italiani e ai loro rappresentanti politici, il rispetto dell’ambiente. E quanto sarebbe dunque necessaria una forza politica, libera dai condizionamenti dell’ideologia, in grado di tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica su certi temi, in grado altresì di suggerire proposte e soluzioni concrete, di avanzare denunce puntuali e credibili. Sarebbe stato questo il ruolo dei Verdi, che a una grande battaglia politica e culturale finalizzata a sensibilizzare gli italiani tutti sul tema dell’ecologia hanno invece preferito la demagogia e un minuetto tattico nel campo della sinistra. Non può dunque sorprendere che abbiano fatto una così triste e patetica fine. Ma nemmeno deve sorprendere che il tramonto del “sole che ride”, per quanto causato dai suoi stessi limiti, rappresenti oggi un problema. Hanno lasciato un vuoto, che non si vede da chi possa essere colmato.