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Sempre più multipolarismo

di F. D’Attanasio - 09/11/2009

Vi riproponiamo un interessante articolo (un nostro assiduo lettore l’aveva segnalato in un suo commento)
pubblicato da Andrea Colombo su Libero del 3 Novembre. Si parla del prestito super agevolato che la Cina ha
concesso alla piccola repubblica della Moldavia, prestito dall’alto valore geo-strategico prima che puramente
economico. Posizionata tra Romania ed Ucraina, veniamo, tra le altre cose, a scoprire che anche da queste parti,
nell’Aprile scorso ci fu il “nobile” tentativo da parte dei soliti poteri, di instaurare una democrazia stile
occidentale (o meglio statunitense). Ma come rileva lo stesso Colombo la situazione rimane alquanto
ingarbugliata nonostante il parziale successo della rivoluzione colorata che comunque ha portato ad un governo
di coalizione, ridimensionando così il peso dei partiti comunisti (che si presume siano, politicamente, molto
vicini al Cremlino). D’altronde concordiamo con l’autore dell’articolo quando nutre seri dubbi sul fatto che il
prestito sia il risultato di un piano concordato tra la stessa Cina e la Russia; nonostante che le due nuove potenze,
in forte ascesa, siano entrambe interessate a che la morsa degli USA, in questa zona di mondo, si allenti sempre
più, anche a noi sembra evidente che i rapporti tra le due rimangano, non dico freddi, ma sicuramente tiepidi. Il
patto di Shangai (sigla OCS, nata nel giugno 2001, attualmente conta sei membri, oltre a Russia e Cina,
Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbekistan e quattro osservatori, Mongolia, India, Pakistan e Iran) che
avrebbe dovuto avviare una partnership a più ampio spettro tra le due, sembra per adesso rimanere sulla carta;
d’altro canto la Cina è meno attiva della Russia sia in medio-oriente che Asia centrale, la sua politica estera, allo
stato attuale delle cose, pare essere basata principalmente sulla forza economica (per via delle sue immense
riserve in dollari) e la conseguente capacità di penetrazione in molti mercati (in termini, ad esempio, di
investimenti finalizzati allo sviluppo infrastrutturale di svariati paesi africani).
Rimanendo in tema cogliamo l’occasione per segnalare come addirittura anche in Giappone inizia a spirare
un vento differente e soprattutto non più tanto favorevole alla super potenza detentrice ancora, nonostante tutto,
dello scettro sullo scacchiere internazionale. Difatti le recenti elezioni hanno portato al potere, dopo tre decenni,
il partito democratico del Giappone, la cui piattaforma elettorale era stata improntata su una chiara e decisa
volontà di ridisegnare addirittura tutto il quadro delle alleanze nella regione asiatica. Tokyo, a tal proposito, ora
guarderebbe con maggior favore a Cina e Corea, pensando persino alla necessità di realizzare una comunità di
stati asiatici e del Pacifico sul modello dell’Europa Unita. Ma la cosa da segnalare è che il nuovo governo ha
fatto seguire alle parole subito certi fatti importanti; ad esempio dopo solo pochi mesi dal suo insediamento ha
deciso di porre fine all’impegno, che durava da otto anni, di rifornire di carburante nell’oceano Indiano le navi
da guerra statunitensi e della Nato che svolgono attività di sostegno alle truppe della coalizione che operano
militarmente sullo scenario afgano. Alla stessa maniera, le autorità di governo nipponiche hanno rimesso in
discussione un patto stipulato nel 2006 (tra l’amministrazione precedente e gli USA) finalizzato alla
risistemazione sul territorio del Giappone di alcune basi americane, tale risistemazione che aveva impegnato gli
USA con uno stanziamento di 26 miliardi di dollari, sarebbe dovuto già partire se appunto non ci fosse stato
l’attuale cambio di politica estera da parte dell’ex alleato di ferro.
E che dire della situazione sul fronte afgano-pakistano? Le difficoltà americane si acuiscono sempre più,
così come le indecisioni della nuova amministrazione che vede oramai aprirsi, sullo scenario mondiale, vari
fronti che non sono solo di guerra vera dichiarata, ma di confronti e scontri di varia natura. Niente di più ridicolo
e farsesco sono state le elezioni in Afghanistan, Karzai non è sicuramente più l’uomo congeniale ai piani di
dominio degli americani. Le operazioni di inquinamento del risultato elettorale non hanno potuto però avere
come obiettivo la sua eliminazione, poiché evidentemente le forze occupanti non sono ancora riuscite a trovare
un suo affidabile sostituto, segno evidente di come il caos e le conseguenti difficoltà per esse stiano aumentando
in maniera esponenziale. Così hanno dovuto ripiegare su una tattica volta semplicemente a ridimensionare il
ruolo dello stesso Karzai, che così è sì il nuovo presidente, ma un presidente dimezzato che ha vinto
principalmente perché il suo rivale si è ritirato dalla competizione elettorale in quanto convinto di essere stato
danneggiato dai brogli; ma in realtà i brogli hanno favorito Abdullah proprio perché Karzai comunque non
doveva vincere al primo turno.
Con un miliardo di dollari la Cina si compra la Moldova
di Andrea Colombo
La notizia è passata inosservata. Quasi nessun giornale o tg l’ha data. Anche le testate economiche hanno
sorvolato sul fatto che la Cina ha prestato alla Moldavia un miliardo di dollari (un ottavo del Pil del Paese),
pagabili in 15 anni al tasso favorevolissimo del 3 per cento. I primi 5 anni a interesse zero. Praticamente Pechino
ha “comprato” il Paese più povero d’Europa. Grazie alle sue ingenti risorse finanziarie, il colosso asiatico è
riuscito così a inserirsi nel cuore del Vecchio continente, in un sottile e pericoloso gioco che rischia di
scontentare non solo l’Unione europea e gli Stati Uniti (che contano sulla Moldavia non più comunista come una
fedele pedina nell’area), ma anche “l’alleato” russo, da sempre potenza di riferimento in queste zone al confine
fra Oriente e Occidente.
Nell’accordo con la Moldavia, Pechino si impegna a garantire il finanziamento di tutti i progetti
infrastrutturali messi in cantiere dai moldavi ben oltre il miliardo già affidato. Il fido sarà canalizzato attraverso
la COVEC, il colosso cinese delle costruzioni, specializzato in progetti di modernizzazione energetica, sistemi
idrici e industrie ad alta tecnologia. E così oltre al contributo finanziario, la Cina si assicura gli enormi appalti
necessari per modernizzare un Paese che oggi è ancora prevalentemente agricolo e che, al di fuori della capitale
Chisinau, è attraversato da strade quasi integralmente sterrate. Un Paese quindi tutto da costruire.
LA RIVELAZIONE
A rivelare i termini dell’accordo un diplomatico indiano, M.K. Bhadrakumar, che narra la vicenda del
sorprendente finanziamento in un articolo apparso su “Asia Times”. S’intitola “La Cina inzuppa il dito nel Mar
Nero”, anche se la Modavia non ha sbocco al mare. Tuttavia il confine a sud è lontano solo una manciata di
chilometri dal Mar Nero. La Moldavia è collocata in una zona strategica: fa infatti da ponte fra l’Ucraina, Paese
slavo, e la Romania, nazione latina integrata nell’Ue. I moldavi hanno vissuto per oltre 50 anni sotto il tallone
sovietico. L’Urss ha fatto di tutto per slavizzare questo piccolo Paese di lingua romena, ma senza successo. Nel
1991, con il crollo del comunismo, gli eredi del vecchio regime hanno comunque tenuto le redini del potere fino
al settembre scorso, quando per la prima volta un primo ministro non comunista, Vlad Filat, si è assunto la
responsabilità di traghettare la Moldovia al di fuori delle secche postsovietiche. Ma non sarà facile. Filat infatti si
trova ingabbiato in una situazione economica a dir poco disastrosa. Chisinau dipende per il 100% dal gas russo e,
a causa dei metodi arretrati utilizzati in agricoltura, dipende dall’estero anche per parte del fabbisogno
alimentare. Inoltre incastonata fra Moldavia e Ucraina c’è la delicata questione delle piccola repubblica
secessionista della Transnistria, dove i russi mantengono basi militari e un controllo totale. In questo contesto
l’entrata in scena della Cina complica ancora di più le cose.
L’unico giornalista italiano a riprendere la notizia del megaprestito cinese è stato Maurizio Blondet, nel suo
sito Effedieffe.com. Giornalista controverso, ma attento alle novità sul fronte della geopolitica, Blondet sostiene
che la mossa di Pechino è stata concordata con Mosca. Il fine sarebbe quello di allontanare il Paese dalla morsa
della Nato, che già punta sull’annessione di Georgia e Ucraina. Tanto più che le prove di una “rivoluzione
arancione” anticomunista, eventualmente teleguidata dall’estero, si erano avute nell’aprile scorso, quando dopo
la vittoria elettorale dei comunisti, una folla di giovani ha assaltato il parlamento. Poi nel luglio scorso nuove
elezioni avevano decretato un relativo successo dei partiti liberali e nazionali, portando all’attuale governo di
coalizione guidato da Filat.
SITUAZIONE DIFFICILE
Ma la situazione è più complessa di quella descritta da Blondet. Non è affatto detto infatti che la Cina abbia
deciso di investire in Moldavia in accordo con il Cremlino. I rapporti fra Pechino e Mosca infatti, nonostante i
sorrisi di facciata, non sono così idilliaci. Ad esempio, dopo mesi trattative non si è ancora giunti ad un accordo
sul prezzo delle forniture di gas che la Russia dovrebbe fornire alla Cina. I mandarini di Pechino negli ultimi
tempi hanno ottimi rapporti con gli Stati Uniti. Al contrario, i segnali che la Russia manda a Washington sono
tutt’altro che rassicuranti e da più parti si parla di una nuova guerra fredda. La Moldavia, certo, è solo un piccolo
tassello in questo grande gioco geopolitico. Ma è un tassello importante, da non sottovalutare.