Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il gioco sporco degli Usa nei conflitti

Il gioco sporco degli Usa nei conflitti

di Paolo Antolini - 18/11/2009

 

 
Il gioco sporco degli Usa nei conflitti
 

Spesso e volentieri chi controlla le banche centrali è la stessa persona che detiene il controllo delle fabbriche di armamenti, le stesse che a loro volta controllano l’industria della ricostruzione. Quindi dietro ad ogni conflitto esiste qualcuno che ha un triplo interesse che un’ostilità inizi, duri quanto più possibile e che distrugga quanto più si riesca.
Facendo un po’ di sano revisionismo storico e cercando di vedere la storia da un punto di vista diverso, ecco materializzarsi un’altra verità, spesso sottaciuta, alternativa a quella ufficiale, che vede intrecci e correlazioni internazionali che vanno oltre gli interessi dei singoli Stati.
Iniziamo questa disanima dalla prima guerra mondiale, incentrata sul conflitto anglo-tedesco, e molto lontana dagli Stati Uniti, che ricordiamo essere la terra-eletta dei grandi interessi bancari e capitalistici…
All’inizio del conflitto Wilson (foto in alto a destra), l’allora presidente, dichiara la totale neutralità. L’opinione pubblica americana è completamente schierata con lui, la guerra è lontana e non c’è motivo per ficcare il naso in quella che sembra essere una guerra solo europea.
Ma qualcuno non è di questa opinione, ci sono possibilità di enormi guadagni in un possibile coinvolgimento della macchina bellica statunitense, tanto è vero che nel diario di un personaggio politico di spicco, certo Wiliam Jennings Bryan, si legge “i grandi interessi bancari sono fortemente interessati alla guerra mondiale, data la possibilità di raggiungere grossi profitti”.
Così, con una conversazione intercorsa tra il colonnello House, consigliere di Wilson e Mr. Grey, ministro degli Esteri inglese, si tratta l’argomento e Grey chiede cosa accadrebbe se i tedeschi affondassero una nave americana con passeggeri a bordo. Il “buon” House risponde che l’affondamento causerebbe una ondata di indignazione che sarebbe sufficiente a far entrare la superpotenza in guerra.
Da lì a qualche giorno, il 7 maggio 1915, una nave passeggeri americana, la Lusitania, forza il blocco navale tedesco attorno alle Isole Britanniche.
I sottomarini tedeschi fanno il loro lavoro e affondano il transatlantico; per rendere il pretesto ancora più pirotecnico la Lusitania era stata farcita di un deposito di munizioni ed esplosivi, e l’affondamento causa 1.200 morti.
L’ambasciata tedesca a New York – venuta a coscienza delle intenzioni di Washington - aveva preventivamente annunciato sulla stampa statunitense che i passeggeri che si imbarcavano sulla Lusitania lo avrebbero fatto a loro rischio e pericolo.
La prima guerra mondiale costerà 330.000 vite americane, una spesa di circa 400 miliardi di dollari, e l’aggio del banchiere Rockefeller sarà qualcosa come 2.7 miliardi di dollari (in valuta odierna).
È la Seconda Guerra Mondiale. Il 7 dicembre del 1941 il Giappone attacca Pearl Harbour, con una sorpresa che sorpresa non era, se non dal punto di vista della storia cosiddetta ufficiale, e che viene dichiarato “giorno dell’infamia”. Dopo sessant’anni in documenti freschi di desecretazione, risulta che la volontà di attacco era nota già settimane prima…
Il presidente Roosevelt, imparentato con le grandi famiglie di banchieri newyorkesi nonché nipote di un certo Fredrich Roosevelt che sedeva al tavolo del Federal Reserve Act qualche anno prima, era molto legato agli interessi bancari internazionali e gli interessi erano quelli di entrare in guerra. Una nota del ministro della guerra Henry Stimson del 25 novembre 1941, riporta un dialogo con Roosevelt in cui si esamina come si sarebbe potuto manovrare il Giappone affinché muova il primo passo e non ci siano dubbi su chi sarebbe stato l’aggressore.
Per far scaldare gli animi, Roosevelt blocca le importazioni americane di petrolio in Giappone, congela tutti gli investimenti giapponesi negli Stati Uniti e finanzia la Cina nazionalista e i britannici entrambi nemici riconosciuti del Sol Levante. Il 4 dicembre del 1941 i servizi segreti anticipano l’attacco a Pearl Harbour, segnalazione ignorata, e il 7 dicembre come ricercato e ampiamente consentito avviene l’ attacco che costa la vita a 2400 militari statunitensi.
La vita delle persone di fronte agli interessi economici non vale alcunché.
Prima di Pearl Harbour l’80% degli americani non voleva nemmeno sentire nominare la parola Guerra, dopo l’attacco un milione di volontari si arruolarono.
Cambiando “asse”… non cambia né il meccanismo né le persone coinvolte.
La potenza bellica tedesca era supportata dalla I.G. Farben che produceva da sola circa l’84% degli esplosivi bellici, uno dei suoi controllori e partner segreti era la Standard Oil americana, di Rockefeller. L’aviazione militare tedesca non avrebbe nemmeno potuto operare senza un additivo speciale prodotto dalla S.O.; i massicci bombardamenti della Guerra Lampo furono possibili solo grazie alla vendita di 20 milioni di dollari di carburante da parte della Standard.
La Union Banking Corporation è stata, poi, uno dei principali finanziatori di Hitler e principale riciclatrice del denaro tedesco. Non a caso la banca fu condannata per violazione dell’embargo. Toh: banca di un certo Prescott Bush, nonno del giovane George Bush, un nome da tenere a mente quando si pensa alla reale inclinazione politica della famiglia Bush.
La pseudo-dichiarazione di guerra al Viet-Nam avviene nel 1964 dopo un incidente “costruito”: alcune cacciatorpediniere americane attaccate da una flotta nord vietnamita a nord delle coste asiatiche (Golfo del Tonchino). L’attacco causa il repentino cambiamento della pubblica opinione americana e l’inizio dell’escalation militare Usa.
Questo “attacco”, però non è mai avvenuto: è stato completamente simulato per favorire l’entrata in guerra degli Usa.
I meccanismi non cambiano, David Rockefeller finanzia entrambi gli schieramenti, in periodo di embargo impianta stabilimenti bellici nei blocchi sovietici, principali finanziatori e sostenitori del Vietnam del nord.
La verità è che la guerra del Vietnam non era stata concepita per essere vinta, ma solo per essere sostenuta.
Costò la vita a 58.000 americani e 3 milioni di vietnamiti, ma soprattutto costò somme enormi e l’impiego d’armi convenzionali e non… con estremo beneficio per chi le produceva.
Oggi le cose non sono affatto cambiate. Questo decennio ci mostra due perfetti casi, l’11 settembre con la relativa guerra in Afghanistan e la guerra in Iraq.
Sull’11 settembre è sufficiente il solo dubbio che l’attacco alle torri fosse qualcosa di molto simile a Pearl Harbour e che è stato la causa di un cambiamento dell’opinione pubblica americana per giustificare l’entrata in guerra contro Kabul e contro i talibani; le armi di distruzione di massa (mai trovate) possedute da Saddam sono state la causa della guerra in Iraq.
Grazie ai martellanti media moderni e le loro campagne a tappeto contro il “terrorismo” si è riuscito a far accettare al popolo americano il “Patrioct Act”, un sistema di regole che tolgono la libertà privata ad ogni americano con la scusa della sicurezza e della guerra al terrore.
Il terrorismo è un nemico invisibile che non si può quantificare e come un fantasma nero che cospira contro i “buoni americani”, è il nemico perfetto per giustificare ogni tipo di provvedimento restrittivo e ogni guerra.
È chiaro come i più eclatanti fatti storici, abbiano altre motivazioni rispetto a quelle raccontate dalla carte stampata.
Per non essere imbecilli, in questi casi occorre farsi una semplice domanda: Cui prodest?