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Israele, l’altro modo di essere refusenik. Al fianco dei coloni

di Carlo M. Miele - 26/11/2009



All’interno di Tsahal, l’esercito ebraico, si sta affermando un nuovo tipo di obiezione di coscienza.

A rappresentarla sono quei soldati – sempre più numerosi – che si rifiutano di prendere parte all’evacuazione dei cosiddetti “avamposti”, ossia le colonie ritenute illegali anche dallo Stato ebraico oltre che dalla comunità internazionale.

Il fenomeno sta acquistando dimensioni considerevoli e preoccupa gli stessi leader di Tel Aviv.

La manifestazione più evidente si è avuta il mese scorso, quando centinaia di nuovi soldati hanno approfittato della cerimonia di giuramento per manifestare il proprio dissenso.

Nel corso della manifestazione - tenuta a Gerusalemme, in un luogo di alto valore simbolico come il Muro del pianto - il gruppo di militari ha esposto uno striscione per dichiarare che non avrebbe mai preso parte alla evacuazione degli insediamenti in Cisgiordania.

Nella loro battaglia, i militari dissidenti possono contare sul sostegno dei propri familiari.

“L’esercito israeliano ha un solo grande scopo: proteggere i cittadini israeliani. Nessun esercito democratico al mondo usa le armi contro la propria gente”, ha dichiarato Yoel Melamed, padre di un soldato che attualmente si trova in un penitenziario dell’esercito, in quanto la settimana scorsa si è rifiutato di prendere parte all’evacuazione di un piccolo avamposto ebraico.

Al loro fianco ci sono anche i rabbini, che spesso li hanno sostenuti in pubblico.

Del resto, il numero di ortodossi all’interno dell’esercito israeliano è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni. Tanto che alcuni dei battaglioni impiegati in Cisgiordania sono formati quasi esclusivamente da studenti delle yeshivas, le scuole religiose.

“Refusenik”

La stampa israeliana ha etichettato i nuovi dissidenti col nome di “refusenik”, lo stesso adottato per definire i soldati israeliani che si rifiutano di prestare servizio nei Territori occupati perché contrari all’occupazione.

Questa nuova forma di opposizione, tuttavia, sembra preoccupare i commentatori e i leader israeliani molto più della precedente.

In diversi editoriali apparsi sui giornali dello Stato ebraico si sostiene che i soldati debbano scegliere tra Dio e il Paese.

Lo stesso primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha pubblicamente condannato i dissidenti, affermando che l’esistenza di Israele e la sua sicurezza dipende dall’affidabilità dell’esercito, e che i nuovi "refusing" rischiano di portare alla distruzione dello Stato ebraico.

Attualmente nei Territori palestinesi occupati vive quasi mezzo milioni di coloni ebrei, all’interno di insediamenti illegali in base al diritto internazionale.

I palestinesi hanno chiesto un “congelamento” delle colonie (previsto anche dalla Road Map del 2003) al fine di consentire la ripresa dei negoziati di pace.

Nonostante le pressioni degli Stati Uniti e del resto della comunità internazionale, il governo di Tel Aviv ha proposto solo uno stop temporaneo degli insediamenti, che tra l’altro riguarderebbe solo la Cisgiordania, escludendo Gerusalemme Est.

(fonte: Bbc News)