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Washington: “Mine anti uomo”? Yes we can

di Enea Baldi - 26/11/2009

 

 
Washington: “Mine anti uomo”? Yes we can
 



L’amministrazione della Casa Bianca ha deciso di proseguire con la politica del vecchio inquilino George W. Bush.
Gli Stati Uniti non aderiranno al Trattato sulle mine anti-uomo. Lo ha annunciato il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Ian Kelly (nella foto). “Ce lo impediscono questioni di sicurezza nazionale”, ha dichiarato il portavoce, aggiungendo però che “gli Usa manderanno degli osservatori” alla Conferenza sul decennale del Trattato in programma tra una settimana a Cartagena, in Columbia.
L’adesione al Trattato, in vigore dal 1999, già accettato da 156 paesi tra cui l’Italia, è universalmente considerato essenziale soprattutto nell’interesse dei bambini, le vittime più numerose delle mine antiuomo nei paesi del terzo mondo.
L’anno scorso le mine anti uomo hanno provocato la morte di almeno 1.200 persone nel mondo, di cui la metà erano bambini, ferendone quasi 4.000.
Gli Usa, secondo alcune Ong, non utilizzano più le mine dalla prima guerra in Iraq e nel ‘93 – solo due anni dopo – pare che ne abbiano autorizzato lo smantellamento nei teatri di guerra: un “giochetto” dal costo approssimativo di un miliardo e mezzo di dollari. Secondo il portavoce Kelly invece, è solo dal ‘98 che Washington non esporta più mine antiuomo e solo di recente ne ha sospeso la produzione. In realtà, l’eventualità che il governo statunitense utilizzi le mine antiuomo sono ridottissime, sebbene l’esportazione delle guerre atte a combattere il “terrorismo islamico” vada a gonfie vele, non le ha adoperate né Iraq né in Afganistan.
Agli Usa quindi, rimangono in “magazzino” più di 10 milioni di ordigni antiuomo che potranno liberamente essere esportati nei teatri di guerra.
Gli “impedimenti” all’adesione degli Usa al Trattato, espressi dal portavoce Kelly , quindi, non hanno nulla a che vedere con la “sicurezza nazionale”: gli Usa dispongono di armi ben più sofisticate e micidiali, dei crudeli e perversi ordigni antiuomo, che spesso, appunto, non uccidono ma rendono invalidi a vita. La decisione dell’amministrazione Obama di non aderire al trattato ha suscitato aspre critiche persino all’interno del Congresso. Il senatore democratico Patrick Leahy, ha accusato il presidente di seguire la politica di Bush, venendo meno alla promessa di cambiarla. Il portavoce Kelly, ha subito respinto le accuse sostenendo che gli Usa non sono i soli ad avere questa posizione. Un riferimento al rifiuto di aderire al trattato da parte di Russia, Cina, India e Pakistan.
E così procede indisturbata la macchina da guerra statunitense che, proprio in questi giorni, ha programmato l’invio di circa 34.000 (sì, trentaquattromila) nuovi soldati in Afghanistan. Per quanto concerne l’appoggio militare dei partner europei - tra cui l’Italia – il portavoce Nato James Appathurai, pressato da Washington, in un incontro con la stampa fa sapere che: “bisogna avere pazienza che i partner europei rispondano all’appello”.
E per quanto concerne il nostro Paese, il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha già fatto sapere che chiederà all’Italia uno sforzo maggiore in Afghanistan. Rasmussen, che ha incontrato ieri sera il premier Silvio Berlusconi, si vedrà oggi a Berlino con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e a detta del portavoce Nato Appathurai, il responsabile dell’Alleanza Atlantica, sarà “molto concreto”.