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Fenomenologia della mistica

di Marco Tedeschini - 01/12/2009

 

 

 

 

Pubblicato per la prima volta nel 1923 come esito di una personale «ricerca della verità e della realtà del divino» (p. 13), il saggio di Gerda Walther è stato nuovamente editato nel 1955 in una versione accresciuta non solo da trent’anni di ulteriori ricerche, ma anche dall’aggiunta dei vissuti dell’autrice, che nella prima versione ritenne «superfluo» riportare (p. 14). Il volume, finalmente disponibile anche in lingua italiana, consiste in un’analisi fenomenologica dei ‘vissuti mistici’, ovvero di quelle esperienze che «pretendono di essere […] un reale fare esperienza [erleben] di Dio, “in carne e ossa” [leibhaftig]» (p. 19); siffatti vissuti permetterebbero, ad avviso di Walther, di dare soluzione al «problema della comprensione di Dio nei confronti della "costituzione" dell'essenza fondamentale dell'essere umano» (p. 14 n. 1). Fin dalla definizione del campo di indagine e dall'obiettivo della ricerca, dunque, appare chiaro come Gerda Walther si inserisca all'interno di quella linea di ricerca filosofica che fa capo a Edmund Husserl.

Come è stato accennato, l'interesse per la mistica è sorto in Gerda Walther a partire da un'esigenza religiosa di natura personale; l'incontro con la fenomenologia è avvenuto invece in due distinti momenti. A Monaco, sotto la guida di Alexander Pfänder, Walther si è dedicata allo studio dei saggi fenomenologici principali e, in particolare, allo studio delle opere di Husserl. Nel 1917 ha conosciuto personalmente Husserl trasferendosi temporaneamente a Friburgo per seguire le sue lezioni. Pertanto, se per un verso, la Fenomenologia della mistica muove dalla biografia di Gerda Walther, per altro verso, proprio in quanto l’indagine si vuole fenomenologica, ella non rinuncia a dare un profilo scientifico a siffatta esigenza biografica. Si assiste così a un’intensa e interessante analisi dei vissuti mistici propri e altrui, per mezzo della quale Walther giunge a mostrare che l’uomo può avere «visione (Erschauung) di Dio in carne e ossa» (p. 34) e, in tal modo, che quest’ultimo è il «fondamento divino dell’essere» (p. 182), dunque, anche dell’essere umano.

Il saggio prende avvio con un’introduzione metodologica, nella quale Walther spiega che «una fenomenologia della mistica non puòvuole produrre […] una spiegazione e una ricostruzione delle cause naturali […] dei fatti mistici […]. E nemmeno può essere suo compito dimostrare, o confutare, in modo definitivo alcune idee sulla mistica sulla base di deduzioni logiche» (p. 18). Ad avviso di Walther, infatti, ciò non è possibile, perché «la mistica è un fenomeno originario […], non riconducibile ad altro, né deducibile da altro, come i colori, i suoni, i valori ecc.» (pp. 18-19). Pertanto, nel caso del vissuto mistico, è legittimo attenersi unicamente a ciò di cui si fa esperienza, senza che sia data la possibilità di penetrare ulteriormente il fenomeno, né di darne conto in modo differente da come esso si dà intuitivamente nel vissuto. Qualunque operazione vada oltre il ‘limite’ posto dall’intuizione, nell’ottica fenomenologica di Gerda Walther, è dunque illegittima e perde di vista il fenomeno stesso che vuole indagare. Il metodo waltheriano consiste dunque nell’estrarre di volta in volta dall’esperire mistico (e da ogni tipo di vissuto che viene incontrato nel corso del saggio) il suo «tratto essenziale» (p. 19), allo scopo di evidenziarne il quid che lo rende tale e consente di distinguerlo da altri vissuti «esteriormente simili, ma da cui si differenzia nell’essenza» (ibidem). Per giungere alla visione di Dio in carne ed ossa, per isolare il vissuto mistico in quanto tale, è tuttavia necessario individuare una via privilegiata che consenta l’accesso a tale vissuto. A tal fine, sostiene Walther, l’esperienza «di tutti i mistici» (p. 34) è la seguente: dapprima «cercare la via alla comprensione dell’essenza dell’essere dell’uomo e, solo in seguito, quella che conduce alla comprensione del fondamento di questa essenza fondamentale dell’essere, ossia Dio» (ibidem).

Walther dedica i primi dodici capitoli del saggio all’individuazione di una via d’accesso all’essenza fondamentale dell’essere umano. Con un movimento di progressiva delimitazione dello spazio d’indagine alla sfera interiore dell’uomo, Walther descrive innanzitutto l’‘io-centro’, quale soggetto di vissuti. Esso non esaurisce tuttavia la ‘persona umana’; per descrivere come il primo sia parte della seconda, Walther paragona quest’ultima a «un’antica lampada, [mentre] l’io-centro è simile a un lucignolo […] che manda la sua luce in primo luogo verso l’esterno e illumina la zona circostante. Il lucignolo nuota nel liquido combustibile […] da cui trae la forza di illuminare […]. Questo liquido corrisponde al “subconscio”, al “grembo dell’essere”, alla parte della psiche più intima […]. Il tutto è racchiuso in un contenitore, ossia la lampada in senso proprio; questa è simile al corpo, in cui […] siamo immersi» (p. 50). Per cogliere l’essenza fondamentale dell’essere umano «dobbiamo chiaramente mettere da parte i vissuti fisici» (p. 51), che provengono dal mondo esterno, e spostare l’attenzione verso la «sorgente» (p. 55) dei vissuti interiori. La prima complicazione in cui si incorre, spiega Walther, consiste nella difficoltà di riconoscere quali vissuti costituiscano «moti dell’essenza fondamentale del proprio essere» (p. 57); inoltre, alcuni vissuti «non sembrano risalire […] direttamente e semplicemente» (p. 58) alla propria sorgente, bensì sembrano rinviare «ad altri soggetti» (ibidem). Walther dedica pagine interessanti al fenomeno della ‘telepatia’, che definisce come «i pensieri, i sentimenti, ecc. dell’altro soggetto [che] penetrano direttamente nel grembo del mio io-centro […] e afferrano, a partire da qui, il mio io-centro come vissuti miei propri, emergenti dal profondo» (p. 61). Pertanto, occorre distinguere tra questi e i «vissuti interiori veramente “propri”» (p. 100), i quali sempre scaturendo «dal grembo dell’essere di colui che li vive» (p. 103), possiedono tuttavia «il carattere dell’“appartenere-al-proprio-ambito-interiore” (ibidem). Ad avviso di Gerda Walther, questo genere di vissuti costituisce la via d’accesso all’essenza fondamentale dell’essere umano.

Walther analizza siffatti vissuti secondo i tre ‘aspetti’ dell’oggetto ricercato che esprimono: «“spirito”, “psiche” e “forza vitale concreta”» (p. 107). Osservando l’essenza fondamentale dell’essere come ‘corpo’, infatti, Gerda Walther asserisce che provengono da essa tutti i vissuti in cui si esperisce la «vita fisica» (p. 122) del corpo, laddove l’aspetto essenziale che interessa consiste nel pulsare all’interno del corpo «la vita fresca e piena di energia, quale [sua] espressione» (p. ibidem). Il secondo aspetto dell’essenza fondamentale dell’essere umano, la ‘psiche’, viene riconosciuto da Walther nei vissuti «emotivi o sentimentali, o anche nella volontà e nel desiderio» (p. 129), mentre descrive la sorgente stessa di tali vissuti come «calda fiamma del sentimento» (p. 136) che pervade l’intero ‘se stesso’ dell’io. Infine, Walther affronta la descrizione del terzo aspetto, lo ‘spirito’: esso non riguarda unicamente i vissuti razionali, ma include tutta la sfera spirituale della preghiera, dell’amore come agàpee dell’etica; l’essenza, in tal caso, si manifesta come una «“luce” chiara e pura che, provenendo dal grembo dell’essere, si riversa nell’io e lo penetra più o meno completamente» (p. 139). Poiché i tre aspetti dell’essenza fondamentale dell’essere costituiscono una ‘tri-unità’, spiega Walther, l’uomo non solo può esperirla nei suoi diversi modi, ma anche nella sua interezza. «Naturalmente questo si verifica propriamente soltanto in quegli stati di tranquillo libero fluttuare nell’essenza fondamentale del proprio essere e nelle sue emanazioni, in cui l’essenza fondamentale, liberamente e spontaneamente, senza il richiamo e la sollecitazione di un oggetto esterno o altro, invade di sua iniziativa con ondate di luce, di calore e di energia vitale tutto il grembo dell’essere, e da lì l’io» (p. 155).

Dopo aver mostrato i caratteri dell’essenza fondamentale dell’essere umano, Walther procede all’analisi fenomenologica del vissuto mistico in quanto tale. Per ottenere la visione di Dio in carne e ossa, spiega Gerda Walther, per un verso, non è possibile prescindere da un gesto libero (una ‘grazia’) di Dio nei confronti dell’uomo e senza cui quest’ultimo non potrebbe in alcun modo accedervi; per altro verso, è necessario che l’uomo arrivi «a sentire tutti i valori terreni come insufficienti e transitori e [che] la loro limitatezza […] [emerga] con forza alla sua coscienza […]» (p. 168) tanto da “gettarlo” in una «profondissima solitudine […] senza alcun riferimento e senza scopo» (p. 169). L’uomo deve insomma riconoscere la vanitas vanitatum che, in fin dei conti, lo circonda e l’inadeguatezza rispetto «alle esigenze, all’“idea” dell’essenza fondamentale del proprio essere» (p. 168), così da perdere qualunque interesse per tutto ciò che lo riguarda e sprofondare «in uno “spazio vuoto”» (p. 169). Walther è chiara: giunto in questo stato di sconforto ed estrema solitudine, nel quale viene compresa la vanità del tutto, l’uomo cerca ormai «Qualcosa di definitivo […] completamente diverso da tutto ciò che ha conosciuto e vissuto finora» (p. 171); non trovare questo ‘Qualcosa’ comporterebbe, per l’uomo giunto a questo stadio dell’esperienza interiore, la sua morte, «perché niente altro, dentro e fuori di lui, potrebbe indurlo a voler continuare a essere. E così l’io lo chiama dall’abisso della sua solitudine» (p. 171), prosegue Walther, nella speranza che questi venga, pur sapendo di non «poter costringere quel “Qualcosa” a venire» (ibidem).

L’incontro con Dio avviene dunque solo per volontà di quest’ultimo. Walther descrive tale avvenimento come il progressivo avvicinarsi del ‘Qualcosa’ cercato all’uomo, da una ‘distanza interiore’, «finché non giunge all’io, e ora lo penetra e lo avvolge da ogni lato, così che è immerso in un mare di amore infinitamente caldo e ricco, che con inesauribile pienezza lo circonda e lo invade, mentre allo stesso tempo è illuminato e penetrato dai raggi di un mare di pura luce spirituale infinitamente dolce» (pp. 172-173). Questo avvenimento spirituale genera la «visione del radicamento ultimo dell’intero cosmo nel mare divino di luce» (p. 180), testimoniato, sottolinea Walther, dai «mistici di tutti i tempi e di tutto il mondo» (ibidem). La visione di Dio comporta quindi il riconoscimento di quest’ultimo come il fondamento divino dell’essere e, così, dell’essenza fondamentale dell’uomo; in tal modo, l’uomo riacquista la speranza perduta e brucia «d’amore infinito per Lui» (p. 183). Poiché l’io-centro rimane soggetto del vissuto mistico, per Walther risulta necessario rivedere il concetto di unio mystica alla luce del fatto che la coscienza non viene meno in tale vissuto: «per l’io, questo mare sostituisce allo stesso tempo l’essenza fondamentale del suo essere, il suo sé […] e tutti gli oggetti» (p. 270). Il fatto che ciò accada «per l’io» implica che l’‘io-centro’ rimanga il polo soggettivo di una relazione soggetto-oggetto: «in questo senso», afferma Walther,«soggetto e oggetto […] non sono identici; in quanto, però, tutti gli oggetti esterni, tutto il grembo dell’essere […]tutto ciò che l’io normalmente ha “a tergo” e “a fronte”, è sostituito da questo mare di luce e di amore […], in questo senso soggetto e oggetto, io e “non-io” sono qui assolutamente un uno indisgiungibile» (p. 271).

Ad avviso di Gerda Walther, «probabilmente tali vissuti e altri simili sono alla base di tutte le religioni naturali primitive, come pure delle mistiche panteistiche, almeno nella misura in cui poggiano su visioni religiose dirette» (p. 193); tuttavia, non è comprensibile come mai in diverse religioni Dio sia stato antropomorfizzato. Walther dedica l’ultima parte del libro a mostrare che non si tratta di una deformazione, bensì di una comprensione del vissuto mistico superiore, in quanto tiene conto di alcuni fattori ulteriori: la ‘comunicazione divina’, in cui «Dio si rivolge a una persona nel suo intimo e proprio così si rivela come essere consapevole» (p. 213); Dio determina ‘volontariamente’ le proprie manifestazioni, dunque è dotato di libera volontà, «questo si manifesta in misura ancora maggiore in quei messaggi che contengono le promesse di Dio e i comandi che vengono impartiti agli uomini» (p. 217). Pertanto, conclude Walther, Dio è una ‘persona spirituale’. Se non è stato sempre compreso come tale, ciò va imputato all’inadeguatezza del concetto di persona posseduto da molti mistici e nel loro modo di fare l’esperienza religiosa: «considerando la natura dei vissuti mistici, non è affatto contraddittorio, o impossibile, supporre che alcuni mistici abbiano vissuto Dio solo come mare di luce spirituale […] o come corrente di amore irradiante calore […] ma non abbiano ricevuto delle comunicazioni divine» (p. 218).

La Fenomenologia della mistica di Gerda Walther sembrerebbe aspirare al rango di filosofia prima. Non si tratta tanto di uno studio sul metodo e sui principi della fenomenologia, già indagati da Husserl, quanto di un’indagine sul fondamento dell’essere come datità ultima, non ulteriormente scomponibile o riducibile, e come «senso più profondo» (p. 182) di tutto l’essere – laddove per ‘senso’ si deve intendere non solo ciò che dà senso, ma anche ciò che è rinvio ultimo di tutto. Tale indagine, dunque, richiederebbe il metodo fenomenologico per essere condotta in modo rigoroso. Tuttavia, la Fenomenologia della mistica non risolve gran parte delle problematiche poste apertamente dai risultati della ricerca, limitandosi unicamente a una descrizione del vissuto mistico che non lascia spazio alla riflessione filosofica sui frutti di tale descrizione. Gerda Walther sembra dunque interpretare la fenomenologia come un scienza meramente descrittiva, che non si preoccupa di offrire una comprensione adeguata di quanto ha in oggetto, cioè di affiancare a una descrizione il più possibile compiuta del vissuto in esame una comprensione dello stesso che ne esplichi interamente il contenuto; in tal modo, ella sembra tralasciare le implicazioni filosoficamente più feconde coinvolte nella riflessione sul vissuto.

 

Walther, Gerda, Fenomenologia della mistica, Glossa, Milano 2009, pp. LXXVI-282, € 32