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La mano destra e la mano sinistra del compagno Netanyahu

di Simone Santini - 15/12/2009

 
Un editoriale del quotidiano liberal israeliano Ha'aretz delle scorse settimane ha salutato Benjamin Netanyahu, primo ministro del paese e capo del partito di destra Likud, come il nuovo grande leader bi-partisan israeliano, paragonandolo non solo a Sharon ma avendo addirittura oltrepassato l'icona di Ytzhak Rabin.

Infatti, "[Netanyahu] quando ha decretato il congelamento delle costruzioni negli insediamenti... si è spostato a sinistra dell'Yitzhak Rabin del 1995. A differenza di Rabin, Netanyahu ora accetta la creazione di uno stato palestinese smilitarizzato. A differenza di Rabin, ordina il divieto di costruire in tutta la Cisgiordania ebraica. Netanyahu ha passato il Rubicone sia sul piano ideologico che su quello pratico".

L'editorialista di Ha'retz se ne felicita, ma riscontra che tale sfondamento a sinistra non sembra aver trovato interlocutori. Netanyahu "ha accettato il principio dei due stati, e non ha ricevuto nessuna risposta. Sospende le costruzioni negli insediamenti, e viene respinto. Corteggia Mahmoud Abbas (Abu Mazen), e viene denigrato [...] Offre al movimento nazionale palestinese negoziati sulla creazione di uno stato nazionale palestinese, e trova che non c'è nessuno con cui parlare e niente di cui discutere. Zero. Un muro di cemento" (1).

Un editoriale del conservatore Jerusalem Post sembra fare da contraltare a Ha'aretz. Si riscontra lo stesso spostamento a sinistra dell'asse politico israeliano ma al contempo il giornale si interroga se ne valga la pena e se tutto questo porterà un qualche vantaggio. Facendo un "rapido calcolo" dei risultati ottenuti dopo il discorso dello scorso 14 giugno presso l'Università Bar-Ilan con l'accettazione della "creazione di una Palestina smilitarizzata come obiettivo finale dei negoziati", dopo la dichiarazione del 25 novembre sulla "moratoria per dieci mesi di tutte le nuove attività edilizie negli insediamenti", in rapida sequenza si è ottenuto che: "l'inviato speciale americano George Mitchell non si è certo abbandonato all'entusiasmo"; il presidente dell'Autorità Palestinese Abu Mazen ha risposto "non penso proprio", sulla riapertura dei tavoli dei negoziati; la Svezia, presidente di turno dell'Unione Europea, ha premuto "con tanta forza perché venisse riconosciuta Gerusalemme est come capitale della "Palestina" [...] Qualcosa di profondamente sconfortante per quella grande maggioranza di israeliani che vorrebbe genuinamente perseguire una composizione del conflitto coi palestinesi" (2).

Tanto più che le grandi manovre di Netanyahu hanno determinato veementi reazioni nelle aree più oltranziste dell'estrema destra israeliana, in particolare nei coloni. Un rabbino nazionalista ha paragonato il primo ministro al "faraone che ordinò di gettare nel Nilo i neonati ebrei", mentre la radio militare israeliana ha annunciato un rafforzamento delle misure di sicurezza attorno a Netanyahu. Il ministro Ben Eliezer ha dichiarato che "il clima creato dai coloni, che protestano per il congelamento dei loro insediamenti, ricorda quello dei mesi precedenti all'assassinio di Rabin" (3).

Il quadro, tuttavia, appare ben più complesso di quello disegnato sulla stampa israeliana e nell'opinione pubblica del paese, che plaude (con distinguo) o paventa una fuga a sinistra di Netanyahu. Il corrispondente di Le Monde ha scritto: "Con la mano destra impongo un parziale congelamento delle colonie; con la mano sinistra prendo misure che le incoraggiano: è questa la politica apparentemente schizofrenica condotta da Benjamin Netanyahu" (4).

Nella giornata di ieri (13 dicembre) il governo israeliano ha infatti approvato a maggioranza (21 ministri a favore contro i 5 laburisti) la "mappa delle zone a priorità nazionale". Si tratta di oltre 90 località dislocate tra Giudea e Samaria (Cisgiordania) che si trovano ad est della "linea verde", il confine risalente al conflitto del 1967, e del muro, la cosiddetta "barriera di sicurezza" costruita dagli israeliani.

Questo significa che oltre 100mila coloni verranno ad usufruire di uno statuto particolare. Anche in seguito ad un accordo di pace coi palestinesi, le "zone a priorità nazionale", pur facendo parte integrante della Cisgiordania, non potranno mai tornare a ricadere sotto l'autorità palestinese, godendo di una sorta di stabilizzazione perpetua a favore di Israele. E non solo. Le "zone" beneficiano di stanziamenti economici per il loro sviluppo in settori nevralgici quali educazione, lavoro, urbanistica.

In questo modo Netanyahu ribalta un orientamento di Ehud Olmert, secondo cui risultava controproducente incoraggiare insediamenti nella prospettiva che in caso di accordo di pace dovessero essere smantellati. Al contrario l'attuale governo vuole "incoraggiare la dispersione della popolazione sul territorio di Israele al fine di accrescere la presenza verso le periferie e le zone prossime alle frontiere" come dichiarato dall'ufficio del primo ministro. Come tale proposito strategico si conformi col congelamento degli insediamenti appare di difficile comprensione, se non che la durata di tale congelamento sarà di breve durata (10 mesi) dopo di che tutto potrà essere rimesso in discussione.

Il Consiglio dei Coloni (Yescha) si è felicitato per la decisione, ma non farà marcia indietro nella lotto contro il congelamento deciso dal governo. Tuttavia, l'associazione pacifista israeliana Peace Now ha sottolineato un altro aspetto che la mano sinistra di Netanyahu ignora della destra. Il congelamento non riguarderà i circa 3.500 alloggiamenti di cui, sotto spinta di Yescha, le fondamenta sono state opportunamente gettate prima dell'annuncio del blocco, e che in questo modo ne sono risparmiati.

 

(1) Ari Shavit, Il Rubicone di Netanyahu, Ha'aretz, 3 dicembre 2009
(2) Ma cosa guadagna Israele dal congelamento degli insediamenti?, Jerusalem Post, 8 dicembre 2009
(3) Così riportato da Il Secolo XIX del 8 dicembre 2009
(4) Laurent Zecchini, Netanyahu moltiplica gli annunci contraddittori sulle colonie, Le Monde, 11 dicembre