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Italiani ed ebrei uniti nel crimine americano degli anni '30

di Filippo Ghira - 20/12/2009

 

 
Italiani ed ebrei uniti nel crimine
 



Gli interessi dei gangster italiani ed ebrei si fusero indissolubilmente nel biennio 1930-31. A New York la malavita italiana si divideva sostanzialmente in due gruppi contrapposti. Da un lato c’era la principale Famiglia, quella del siciliano Joe Masseria che aveva ai suoi ordini personaggi come i siciliani Salvatore Lucania (Lucky Luciano), napoletani come Vito Genovese e Giuseppe Doto (Joe Adonis), calabresi come Francesco Saverio Castiglia (Frank Costello). Dall’altra una serie di quattro famiglie la cui più importante era quella di Salvatore Maranzano, originario di Castellamare del Golfo. Masseria, che si sentiva il padrone di New York, voleva allungare le mani su tutta gli affari della città. La guerra che ne seguì costò decine e decine di morti finché Maranzano convinse Luciano ad eliminare il suo boss. Incarico che venne assolto da un gruppo di gangster italiani (Albert Anastasia e Adonis) ed ebrei come Benjamin “Bugsy” Siegel (nella foto) e Samuel “Red” Levine.

L’individualismo
è il motore degli affari
Maranzano, una volta eliminato Masseria, commise un errore fatale. Volle creare la figura, confezionata su se stesso, di Capo dei Capi. Lo stesso errore fatto da Masseria e che dimostrava come il mafioso siciliano non avesse compreso bene che nel Paese dove i sogni possono diventare realtà, nel Paese dell’individualismo più sfrenato e della libera iniziativa, nel Paese che almeno sulla carta poneva la Libertà come il primo dei valori, era un errore madornale riproporre i modelli di oltre Atlantico ed cercare di imporre lacci, lacciuoli e costrizioni a persone che avevano lasciato il Paese di origine proprio per non averne più. Maranzano inoltre, allo stesso modo di Masseria, non riusciva a capire come Lucky Luciano trovasse del tutto naturale essere in affari con i gangster ebrei saltando a piè pari anzi ignorando le differenze etniche. Maranzano insomma non comprendeva che il “melting pot” degli Stati Uniti erano una cosa e la Sicilia un’altra. Alla fine a scaricarlo furono anche gli uomini della sua famiglia, come Joe Bonanno, preoccupati che gli affari prosperassero meno del dovuto. Significativamente però, la caduta di Maranzano non venne determinata da una questione di affari in senso stretto ma da un fattore politico: la lotta per il controllo del “Amalgamated Clothing Working”, ossia il potente sindacato di New York dei lavoratori dell’abbigliamento. Una vicenda significativa perché testimonia a che punto fosse arrivata l’infiltrazione delle gang nelle attività legali. I due schieramenti contrapposti erano guidati rispettivamente da Philipp Orlofsky e da Sidney Hillman che l’anno seguente alle presidenziali del novembre avrebbe sostenuto la candidatura di Franklin Delano Roosevelt alla Casa Bianca. Orlofsky era un protetto di Louis Buchalter (Lepke) il capo dell’Anonima Assassini. Hillman in cerca di sostegno chiese aiuto a Luciano che declinò l’invito, visti i suoi legami con Lansky e con lo stesso Lepke. Hillman si rivolse allora a Maranzano che accettò di intervenire. Lo scontro che ne seguì provocò alcuni morti tra i gangster di Lepke che fece notare che per la proprietà transitiva era come se Maranzano stesse sparando allo stesso Luciano il quale colse subito l’occasione per eliminare il suo ingombrante capo. L’incarico di uccidere il boss venne affidato a gangster ebrei appartenenti alle gang di Meyer Lansky, Lepke Buchalter e Dutch Schultz che, in quanto sconosciuti, potevano passare attraverso le maglie del suo servizio di sicurezza. Un gruppetto di quattro gangster che comprendeva Samuel (“Red”) Levine, Charlie Workman e Abraham (“Bo”) Weinberg si presentò negli uffici di Maranzano e lo uccise dopo aver immobilizzato le guardie del corpo.
La morte di Maranzano, l’11 settembre 1931, fu accompagnata in tutti gli Stati Uniti da un generale repulisti della vecchia guardia mafiosa italo-americana. Un bagno di sangue dai contorni leggendari che passò sotto il nome della “Notte dei Vespri siciliani”. I vecchi capi mafiosi vennero eliminati e sostituiti da una nuova generazione di gangster con pochi rimpianti per la terra natia e perfettamente americanizzati e come tali pronti a sfruttare tutte le occasioni che la società Usa poteva loro offrire. Allo stesso tempo la strage stabilizzò i rapporti tra le cinque famiglie mafiose italo-americane di New York che presero il nome dai loro boss. La Famiglia di Lucky Luciano (poi guidata da Vito Genovese), quella di Vincent Mangano (poi guidata da Albert Anastasia e da Carlo Gambino), la famiglia Gagliano (poi capitanata da Gaetano Lucchese, “Tommy Brown”), la famiglia di Joe Bonanno e quella di Joe Profaci (in seguito guidata da Joe Magliocco e da Joe Colombo). Se Luciano era legatissimo a Meyer Lansky, era invece Anastasia ad essere collegato a Lepke che aveva costituito un suo gruppo criminale operante in particolare nei quartieri di Bensonhurst e Wiliamsburgh a Brooklyn, ma con interessi ed attività in tutta New York, e che poteva contare su decine di gangster che venivano utilizzati per omicidi a richiesta in tutti gli Stati Uniti. In tal modo la “Murder Inc”, la “Anonima Assassini”, assunse a vera e propria azienda e la sua guida venne attribuita in maniera equanime dai giornali ora ad Anastasia ora a Lepke.
Dewey il repubblicano
La crescita criminale, economica e sociale dei gangster italiani ed ebrei provocò anche lo stabilizzarsi di rapporti con la politica. Venendo entrambi i tipi di gangster da una immigrazione recente che si era stabilita nei quartieri più poveri delle città, era inevitabile che la scelta del partito politico premiasse i democratici, considerato che i repubblicani erano visti come il partito delle classi dirigenti, degli industriali e dei banchieri di Wall Street. In altre parole dei Wasp, i protestanti di origine anglo-sassone che vantavano i classici quarti di nobiltà come discendenti veri o presunti dei Padri fondatori del Mayflower. A New York, il partito democratico era considerato la quintessenza della corruzione nella sua sede di Tammany Hall e i repubblicani non vedevano l’ora di cogliere l’occasione per fare pulizia ed sfruttarla ai propri fini. L’occasione si presentò quando Herbert Lehman venne eletto governatore dello Stato. Lehman, esponente della famiglia proprietaria della banca omonima, apparteneva ad una famiglia di origini ebree tedesche askenazita. Volendo colpire alla radice i legami di Tammany Hill con la malavita italiana ed ebrea, decise di lanciare una offensiva giudiziaria. Per realizzare affidò a Thomas Dewey, un ambizioso avvocato del Michigan, l’incarico di estirpare il bubbone. Con il protestante Dewey vennero nominati altri procuratori per lo più di origine ebrea tedesca che non potevano nascondere una sorta di disprezzo ed un senso di superiorità verso i gangster ebrei, nella quasi totalità originari dell’Europa orientale. I procuratori pensavano a ragione che i gangster fossero nocivi per l’immagine della vasta comunità ebraica che lavorava duramente ed onestamente per emergere.
Il primo a finire sotto tiro fu Arthur Flegenheimer conosciuto come “Dutch Schultz” (nella foto), il re dei banchi del lotto, che Dewey provò ad incriminare per evasione fiscale. Il gangster, dopo averla sfangata una prima volta, si trovò con le spalle al muro e decise di risolvere il problema uccidendo il procuratore. Prima però chiese il permesso ai suoi colleghi che temendo una reazione pesantissima delle autorità contro di loro gliela negarono. Schultz decise di andare avanti da solo e questo decretò la sua fine. Gli altri capi mafia, Luciano e Lansky in testa, decisero che la questione dovesse essere risolta in famiglia, ossia che ci dovessero pensare gangster ebrei e si rivolsero a Lepke che incaricò dell’omicidio Charlie Workman e Emanuel “Mendy” Weiss che in un ristorante del New Jersey, uccisero sia il boss che i suoi più stretti collaboratori. L’impero di Schultz venne in seguito diviso tra i suoi ex colleghi, Lepke e Luciano in testa. Ma il boss siciliano non ebbe ben motivo di tirare un respiro di sollievo perché divenne il bersaglio successivo di Dewey che, con prove fasulle, lo incriminò per sfruttamento della prostituzione e lo fece condannare ad una pena da 30 a 50 anni di reclusione.

(5.continua)