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Il dissidente Zaslavsky studioso dell'Urss

di Sergio Romano - 23/12/2009


È morto recentemente il professor Victor Zaslavsky. Vorrei sapere la sua opinione su questo storico e sulla sua opera rivolta ad inquadrare il comunismo e i rapporti fra il Pci e il Pcus (in particolare quelli fra Togliatti e Stalin nell’omonimo libro) in un contesto molto diverso da quello ammannitoci per decenni dalla storiografia ufficiale italiana.

Giuseppe Gloria

Caro Gloria, Irapporti tra l’Urss e il Partito comunista italiano sono soltanto una parte dell’eredità che Viktor Zaslavsky ci ha lasciato con la sua scomparsa. Quando giunse in occidente, negli anni Settanta, e cominciò una lunga peregrinazione tra università americane e europee, il principale oggetto dei suoi studi fu il sistema totalitario sovietico. Aveva una formazione sociologica e politologica, uno sguardo storico, buone conoscenze di economia ed era quindi perfettamente in grado di individuare le complessità di un sistema che si era proposto, come altri totalitarismi, la palingenesi della società e la costruzione dell’«uomo nuovo». Una delle sue più interessanti intuizioni fu quella dell’importanza che il complesso militare-industriale aveva assunto nell’ambito del totalitarismo staliniano. Attenzione: il «mostro» esiste anche negli Stati Uniti, dove fu denunciato dal presidente Eisenhower alla fine del suo mandato. Ma nell’Urss divenne la chiave di volta dell’intero sistema politico- sociale, un formidabile strumento di potere, un considerevole fattore di progresso tecnologico e il mezzo di cui il regime si servì per militarizzare la società. Non basta. Mentre negli Stati Uniti l’industria della guerra procurò alla società uno straordinario patrimonio di innovazioni, dalla telefonia mobile a Internet, nella Russia sovietica il complesso militare-industriale rimase gelosamente chiuso in se stesso e fece scelte (come l’adozione dei missili SS20 nella seconda metà degli anni Settanta) che erano dettate esclusivamente dalla logica della sua sopravvivenza e provocarono lunghe crisi internazionali. La somma di queste politiche ebbe l’effetto di creare quello che Zaslavky definì un «processo di contro-modernizzazione, vale a dire di inversione, piuttosto brusca, delle principali tendenze di sviluppo caratteristiche di tutte le società industriali: diminuisce il prodotto nazionale, cade la produttività del lavoro, scende ulteriormente il tasso di innovazione, aumenta la mortalità infantile, si abbassa notevolmente la lunghezza media di vita degli uomini». Furono quelle, secondo Zaslavsky, le cause «lunghe» del crollo del regime. Gli studi sull’Urss non gli impedirono di sviluppare altri interessi. Sposato con una brillante storica italiana (Elena Aga-Rossi) e professore per molti anni alla Luiss di Roma, Zaslavsky dedicò una parte del suo lavoro, con la moglie, alla sua nuova patria. Victor e Elena si servirono degli archivi sovietici per ricostruire i rapporti di Togliatti con Stalin sino al ritorno del primo in Italia nel 1944, e quelli del Pci con il Pcus. E raggiunsero risultati che corressero il giudizio storico sulla «svolta di Salerno » dimostrando come il leader dei comunisti italiani avesse applicato una strategia decisa a Mosca prima della sua partenza. Uno degli ultimi risultati delle ricerche di Zaslavsky fu il ritrovamento negli archivi sovietici di documenti diplomatici italiani che una «gola profonda» aveva trasmesso a Mosca. E molto altro, certamente, avrebbe regalato alla storia del comunismo se la morte non ci avesse privati di uno studioso attento, intelligente e, soprattutto, privo di qualsiasi partigianeria ideologica.