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La deflazione salariale blocca la ripresa

di Joseph Halevi - 30/12/2009

  
 
Fino a tutto il primo trimestre del 2009 regnava la grande paura del meltdown, cioè della liquefazione del sistema finanziario mondiale. Il contesto della grande paura apriva delle fratture assai profonde tra i principali paesi capitalistici e tra questi ed i paesi detti emergenti. Infatti divergenze gravi emersero alla riunione dei ministri delle finanze e dell'economia dei G20 tenutasi a Londra lo scorso aprile. Francia e Germania, appoggiati dall'India, volevano regole dure per i prodotti derivati ed i titoli tossici, per le società di rating e via dicendo, mentre gli Stati uniti favorivano il salvataggio del sistema bancario così com'era compresi i titoli tossici. Malgrado gli scontri, l'incontro si chiuse con l'impegno di promuovere misure di stimolo pari al 4% del Pil e di regolamentare la gestione di fondi di investimento hedge che hanno ricoperto un ruolo centrale nella propagazione dei rischi e dei prodotti derivati ad essi connessi. Alla riunione di capi di governo dei G20 svoltasi a Pittsburgh a fine settembre era già possible verificare che gli impegni concernenti il rilancio economico e quelli riguardanti i fondi speculativi di investimento hedge non erano stati mantenuti.

Nella sostanza dopo il trimestre della paura, il 2009 ha visto affermarsi la linea di Washington, elaborata dal Segretario al Tesoro, fondata appunto sul salvataggio dei titoli tossici. Questo tipo di politica destina i soldi pubblici prevalentemente al sistema finanziario senza un significativo impatto positivo reale ma con un effetto esplosivo sul debito pubblico. Le banche hanno ottenuto denari pressochè gratuitamente e - come ammesso da Bernanke in un'intervista - addirittura in maniera automatica, che poi hanno ricollocato in altrettante attività puramente finanziarie e di rendita. Inizialmente, per via della precarietà degli altri titoli, i fondi forniti dallo Stato sono stati depositati in conti presso le stesse banche centrali. Poi, dati i bassissimi tassi di interesse e la manifesta determinazione delle autorità di condonare ogni recidività - chiamata dagli economisti 'rischio morale' - il continuo afflusso di denaro pubblico è stato ridiretto verso collocamenti vieppiù speculativi ma anche vieppiù disgiunti da attività su cui si sostiene l'occupazione ed il reddito delle famiglie. Ne è scaturito un processo pirandelliano in cui il settore finanziario, additato populisticamente come principale se non unica causa della crisi, otteneva quantità crescenti di soldi pubblici senza liberarsi dei titoli tossici, aumentando enormemente il suo peso politico sia nazionalmente che internazionalmente. La vicenda degli hedge fund ne costuisce un ottimo esempio. Durante il trimestre della paura essi sembravano moribondi, ora sono nuovamente sulla cresta dell'onda. La loro specialità e proprio quella di gestire il rischio, ovvero di trovare/creare il rischio e renderlo speculativmente profittevole. Con tutti i soldi erogati dalle banche centrali e con nessuna volontà di regolamentare i fondi di investimento, è naturale aspettarsi che gli hedge funds ritornino alla ribalta.

Nel rilancio dell'economia della speculazione finanziaria gli Usa, proprio sotto la direzione di Barack Obama, hanno giocato il ruolo principale perchè i governi dei paesi maggiormente critici hanno avuto un atteggiamento sia populista che confuso per cui la loro posizione è risultata irrilevante. La Francia di Sarkozy rientra nel primo caso, mentre la Germania appartiene al secondo. Le banche multinazionali francesi partecipano ampiamento al rilancio delle operazioni dei fondi hedge e, conseguentemente, hanno poi apertamene messo un bemolle sulle dicharazioni contro il capitalismo finanziario del presidente. Dal canto suo la cancelliera Angela Merkel aveva elaborato fino all'estate del 2009 una visione assai semplice della posizione tedesca. La Germania, ha sostenuto Merkel in diverse interviste, deve vivere di esportazioni. Non può quindi puntare sulla spesa pubblica per sostenere la domanda interna, nè contribuire al rilancio degli altri paesi europei che potrebbero entrare in concorrenza con la Germania. La riforma della finanza mondiale veniva considerata urgente in quanto non si poteva far dipendere le esportazioni di Berlino da una domanda basata sulla instabilità finanziaria. Lo schema è poi crollato con la caduta delle esportazioni ed a questo punto Berlino ha abbandonato ogni reticenza riguardo la spesa pubblica interna.

Se complessivamente i due maggiori paesi europei si sono in defintiva avvolti in se stessi, nulla di propositivo poteva venire dal Giappone. Il salvataggio delle banche nipponiche negli anni Novanta ha molto in comune con le attuali misure di Geithner solo che venne attuato in maniera ancora più nebulosa ed opaca. Il problema del Giappone è il cronico eccesso di capacità produttiva che dura da un trentennio e pare aggravarsi ogni 10 anni, malgrado la droga di spesa pubblica erogata dal 1992 in poi abbia portato il rapporto del debito sul Pil ai livelli più alti dell'Ocse. La speranza risiede in massicce esportazioni verso la Cina e, ulteriomente, l'India. L'alternativa è la deindustrializzazione a favore della Cina. Pertanto lo spazio internazionale acquisito da Washington per l'attuazione della politica di riabilitazione finanziaria è reale e condiviso anche da componenti del campo dei critici.

La divaricazione in corso tra occupazione, stato di crisi delle imprese da un lato e rivalutazione delle finanza dall'altro deve per forza informare le idee riguardo le prospettive future. Forse bisogna sperare che gli hedge funds ricomincino ad erigere grattacieli per le loro sontuose sedi. Allo stato attuale si nota un generalizzato calo dei salari, mentre quel poco di ripresa che viene propagandata continua a creare disoccupazione. Lo stesso rilancio della crescita cinese si basa sull' utilizzo senza pietà del meccanismo di marxiano dell'esercito industriale di riserva: dopo aver licenziato in due anni oltre 20 milioni di lavoratori l'economia capitalistica cinese sta riassumendo a salari più bassi. La finanziarizzazione dell'economia mondiale è stata principalmente sostenuta dall'implosione della resistenza salariale e delle condizioni di lavoro. Questo sciagurato fenomeno è destinato a continuare.