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Lenin odiava la religione e perseguitò il Cristianesimo più di Nerone o Diocleziano

di Francesco Lamendola - 03/01/2010

 

In genere le storie della Rivoluzione d'Ottobre - termine improprio, dato che si trattò sostanzialmente di un colpo di Stato, ma ormai entrato nell'uso - dedicano un certo spazio alla persecuzione cui i bolscevichi sottoposero, non appena giunti al potere, non solo i membri dell'aristocrazia e della borghesia (questi ultimi rappresentati dal partito dei "cadetti"), ma anche i partiti e i  gruppi di sinistra: menscevichi, socialisti rivoluzionari e anarchici.
Quasi tutte, però, si dimenticano di raccontare, o lo fanno in modo estremamente frettoloso, la sistematica persecuzione anticristiana iniziata sotto la direzione di Lenin e proseguita da Stalin nel decennio successivo, fino alla campagna di sterminio contro i "kulaki" e alle "grandi purghe" contro gli stessi quadri del Partito comunista e dell'Armata Rossa (tutte cose di cui si ricorderà bene Mao Tze Tung all'epoca in cui lanciò, o favorì, la cosiddetta "Rivoluzione culturale" che costerà alla Cina alcuni milioni di morti).
Ad essere colpite con la massima durezza furono sia la Chiesa ortodossa, accusata di collusione con il potere zarista e con lo sfruttamento di classe, sia la Chiesa cattolica ucraina, che, pur essendo minoritaria, fu oggetto di particolare attenzione da parte della politica repressiva bolscevica. Furono colpiti sia i membri del clero che i fedeli: vi furono persone crocifisse, impalate (esiste anche la documentazione fotografica), bruciate vive; molte vennero arrestate, torturate, deportate; la stragrande maggioranza delle chiese e dei conventi vennero chiusi o distrutti.
Non si trattò di episodi frammentari, per quanto estremamente violenti, ma di una azione pianificata e perfettamente in linea con l'ideologia bolscevica, che vedeva nella religione l'oppio dei popoli e nell'istituzione ecclesiastica il principale puntello del vecchio regime. Ciò che Lenin e i suoi più stretti collaboratori avevano in mente era la realizzazione dell'"uomo nuovo", il quale avrebbe dovuto essere ateo; per cui la distruzione sistematica di ogni traccia di vita religiosa era necessaria per raggiungere lo scopo.
La maggior parte del pubblico occidentale si immagina che la Chiesa cristiana conobbe una sola epoca di grandi persecuzioni: quella dell'Impero romano prima dell'editto di tolleranza di Costantino. Il fatto che una persecuzione durissima, che fece molte migliaia di vittime, abbia avuto luogo in pieno XX secolo (senza parlare di quella che stava avvenendo in Messico e di quella che si sarebbe scatenata in Cina dopo il 1949, con la proclamazione della Repubblica popolare), la dice lunga su come la cultura dominante, largamente dominata dai nipotini di Marx e dello stesso Lenin, sia riuscita a falsificare la storia e a rimuovere dal panorama intellettuale delle persone comuni, anche mediamente istruite, tutti quegli aspetti del marxismo-leninismo che potrebbero gettare una spiacevole ombra su quel Paradiso in terra che si voleva realizzare sotto le rosse insegne della falce e del martello.
La rimozione è stata tanto più significativa in un Paese cattolico come l'Italia, dove, per espiare il rogo di Giordano Bruno avvenuto quattro secoli fa (una pagina di storia invero assai triste), i poteri occulti che manovrano la cultura "ufficiale", vale a dire la Massoneria e le lobbies israelite, hanno stabilito di cancellare il ricordo delle decine e centinaia di migliaia di vittime cristiane provocate dalle persecuzioni dei regimi atei d'ispirazione marxista.
Non è stata peraltro un'impresa particolarmente difficile rimuovere quei crimini internazionali, essendo la società italiana notoriamente debole di memoria perfino per ciò che riguarda la sua stessa storia recente, specie quando la memoria ha a che fare con i sanguinari fantasmi dell'utopia marxista dell'"uomo nuovo".
Per dirne una: quanti nostri intellettuali hanno avuto l'onestà e l'indipendenza di riconoscere che gli "Italiani brava gente" sono degli ottimi odiatori e sempre avidi del sangue fraterno, avendo conosciuto non una, come finalmente si comincia ad ammettere con riferimento alla seconda guerra mondiale, ma ben quattro guerre civili, soltanto nel corso del secolo da poco finito?
Quattro guerre civili: e la stragrande maggioranza degli Italiani, compresi quelli forniti di cultura universitaria, nemmeno lo sanno: sebbene gli strumenti per intuire la verità siano lì, sotto gli occhi di tutti, perché i fatti di una certa entità non si possono far sparire, si può solo cercare di manipolare le interpretazioni di essi.
Dunque: una prima guerra civile fu combattuta fra il 1919 e il 1922: dalla marcia su Fiume alla marcia su Roma: e seminò per le campagne e per le città d'Italia una lunga scia di morti, feriti, bastonati, emigrati politici, come ai tempi di Dante, quando la Penisola era piena di sbanditi guelfi o ghibellini, e poi guelfi bianchi o guelfi neri.
La seconda guerra civile fu combattuta non in patria, ma all'estero, e precisamente in Spagna, dal 1936 al 1939: ma fu una guerra civile in tutto e per tutto, con i fascisti e gi antifascisti che si ammazzarono a più non posso, portando il massacro reciproco al culmine nella battaglia di Guadalajara. Del resto, i dirigenti antifascisti lo annunciavano a chiare note: "Oggi in Spagna, domani in Italia!".
La terza guerra civile fu combattuta dal 1943 al 1946: sì, al 1946 e non al 1945, perché almeno per un anno dopo la fine del secondo conflitto mondiale, continuarono le uccisioni di fascisti ad opera di partigiani comunisti, con qualche coda anche più in là nel tempo; per cui anche sull'unica guerra civile ufficialmente riconosciuta, peraltro solo da pochi anni, perdura una fitta cortina di censure e di mezze verità.
La quarta guerra civile è stata combattuta fra il 1969 e il 1982 e ha lasciato dietro di sé una scia di centinaia e centinaia di morti ammazzati, di feriti, di famiglie distrutte, di veri o supposti perseguitati politici, e i suoi ultimi fuochi non si sono ancora spenti del tutto (vedi il caso di Cesare Battisti e della sua laboriosa estradizione dal Brasile).
Delle quattro, questa - la più vicina nel tempo, tanto che molti di noi l'hanno conosciuta in prima persona - rimane anche la più misteriosa, nel senso che, da Piazza Fontana alla strage di Bologna, solo per nominare due degli episodi più impressionanti, troppi aspetti decisivi rimangono tuttora avvolti nel mistero, a cominciare dai mandanti della "strategia della tensione" e dai poteri occulti, nazionali e internazionali, che manovrarono i terroristi di destra e di sinistra, per lanciare un attacco allo Stato i cui veri obiettivi rimangono tuttora incerti. Sarà perché quei poteri occulti sono ancora ben saldamente alle redini del Paese, dopo aver condotto qualche operazione cosmetica atta a rendere un po' più presentabili i poteri visibili d cui si servono, rimanendo essi nell'ombra? È molto probabile; ma ciascuno è libero di fare le proprie deduzioni in proposito.
Ciò detto, torniamo al discorso sulle persecuzioni anticristiane in Russia iniziate subito dopo l'ottobre del 1917 e la conquista del Palazzo d'Inverno da parte dei bolscevichi. Essi volevano edificare "l'uomo nuovo", erano impazienti (come tutti i rivoluzionari) e pieni di sacro zelo religioso: perché non c'è fanatismo religioso più sanguinario di quello degli atei. Il grande Dostojevskij, nel suo romanzo "I dèmoni", lo aveva previsto; anche Ivàn Karamazov lo aveva profetizzato, in un certo senso, allorché aveva lanciato la tragica parola d'ordine: "Se Dio non c'è, allora tutto è permesso!".
Esisteva un modello al quale ispirarsi, nella storia dell'Europa moderna: la Rivoluzione francese, e particolarmente la sua fase giacobina, dal 1793 al 1794. Anche allora vi era stato un potente sforzo per attuare la scristianizzazione, ma con una differenza importante: Robespierre, la figura più prestigiosa e più autorevole di quella fase, vi si era opposto, quanto meglio aveva potuto. Non si era trattato, perciò, di una politica pianificata del governo, ma di un insieme di iniziative slegate da parte di singoli convenzionali in missione, di singoli intellettuali "enragés" e di singole folle in tumulto.
Ma Lenin era ben deciso a non ripetere l'"errore" dei giacobini francesi, che avevano peccato di idealismo e di eccessivo umanitarismo. Lenin e i suoi più stretti collaboratori, come gli ebrei Trotzkij e Zinov'ev, erano ben decisi a lastricare le strade della rivoluzione di montagne di cadaveri, piuttosto che risparmiare qualche innocente per troppa delicatezza d'animo.
Totzkij non perdeva occasione per proclamare, e mostrare con i fatti, che non vi sarebbe stata alcuna pietà per chiunque avesse osato attraversare, in qualunque modo, la strada della rivoluzione; e Zinov'ev, da parte sua, aveva già calcolato che sarebbe stato necessario eliminare fisicamente una decina milioni di persone per realizzare l'"uomo nuovo" ed instaurare, anche loro malgrado, la felicità tra gi uomini.
Tale era il livello etico di quel pugno di fanatici che si accingevano a costruire il paradiso in terra a suon di plotoni d'esecuzione e deportazioni nei gulag.
Riportiamo un brano dal libro di P. Pavlo Vyshkovskyy, O. M. I., "Il martirio della Chiesa cattolica in Ucraina" (Roma, Luci sull'Est, 2002, pp. 30-33):

"Scopo finale della lotta alla religione era la costruzione di un nuovo regime comune che, basandosi sul marxismo-leninismo, doveva essere quello della giustizia collettiva: il "paradiso sulla terra". Si deve precisare che questo programma , il "paradiso sulla terra", doveva essere attuato sotto il governo di 'unica forza, il Partito Comunista, che guidava la vita di tutta la società e al quale tutto era sottomesso, senza eccezioni. In realtà, la condizione per creare  per creare il "mondo nuovo", era la distruzione del "mondo vecchio", con l'aiuto del "terrore rivoluzionario delle masse". Lenin dichiarava al presidente del Sovnarkom, dopo la rivoluzione del 1917: "Il terrore non è che pronta, severa, inflessibile giustizia; è un'emanazione della virtù. Voi protestate per il mite terrore che impieghiamo contro i nostri nemici di classe, sappiate allora che di qui a un mese, al più tardi il terrore assumerà  forme molto violente sull'esempio dei grandi rivoluzionari francesi.  La ghigliottina e non la semplice prigione sarà pronta per i nostri nemici. L'unità di questa lotta militante, rivoluzionaria della  Paradiso in cielo".
Precisando le sue istruzioni Lenin scriveva: "Se il più grande numero dei rappresentanti della borghesia è il clero,  si può, con questo pretesto, fucilarlo e ciò sarà la cosa migliore.  A questi dobbiamo dare una lezione molto forte in modo d'impedir3e  loro di pensare per molti anni, ad una restituzione [restaurazione?]. Steinberg chiese a Lenin: "A che serve allora un Commissariato del popolo per la Giustizia? Tanto varrebbe chiamarlo Commissariato del popolo per lo sterminio sociale, e tutto sarebbe risolto!". Rispose Lenin: "Eccellente idea! È esattamente così che io vedo la questione. Purtroppo non gli si può dar questo nome!". Si può asserire che l'apparato repressivo, al primo posto senza limiti  di diritti durante il governo bolscevico, con l'impero sovietico aumentò ulteriormente il proprio potere e fu considerato essenziale. Nel settembre 1918, uno dei principali dirigenti bolscevichi, Grigorij Zinov'ev, dichiarò: "Per distruggere i nostri nemici dobbiamo avere  il nostro proprio terrore socialista. Dobbiamo tirare dalla nostra parte, diciamo, novanta su cento milioni di abitanti della Russia sovietica.  Quanto agli altri, non abbiamo nulla da dirgli. Devono essere annientati." Così la storia  lotta di classe, l'esistenza è "pianificata", la morale è piegata alle esigenze del materialismo. "L'umanesimo socialista non ha niente a che vedere con la misericordia cristiana, come non ha niente a che vedere con il nostro comportamento verso i nemici  della classe operaia e il perdono universale. ". Perciò il governo comunista fece sentire la sua presenza con forti persecuzioni e repressioni di coloro che considerava suoi nemici: "Noi odiamo la cristianità e i cristiani.  Anche il migliore tra loro deve essere considerato il nostro peggior nemico", fu il verdetto del commissario sovietico per la pubblica educazione, Anatolij Lunacharski. Si moltiplicarono gli atti di violenza, i sacrilegi, le esecuzioni arbitrarie. Tutto fu permesso come, nel 1919, spiegava ai lettori  l'editoriale del primo numero di "Gladio rosso", giornale della CIK di Kiev: "Respingiamo i vecchi sistemi di moralità e 'umanità' inventati dalla borghesia allo scopo di opprimere e sfruttare le 'classi inferiori'. La nostra moralità non ha precedenti, la nostra umanità è assoluta perché si basa su un nuovo ideale: distruggere  qualsiasi forma di oppressione e di violenza.  A noi tutto è permesso, poiché siamo i primi nel mondo a levare la spada  non opprimere e ridurre in schiavitù, ma per liberare l'umanità dalle catene… Sangue? Che il sangue scorra a fiotti! Perché solo il sangue può tingere per sempre la nera bandiera  della borghesia pirata, trasformandola in uno stendardo rosso, la bandiera della Rivoluzione. Poiché solo la morte definitiva del vecchio mondo può liberarci  per sempre dal ritorno degli sciacalli."
Già all'inizio della rivoluzione il GPU inaugurò il metodo delle quote: ogni regione e ogni distretto  dovevano arrestare deportare o fucilare  una determinata percentuale di persone appartenenti a classi sociali nemiche. Queste percentuali erano fissate dalla direzione centrale del Partito. Kaganovic era talmente accondiscendente che avrebbe tagliato la gola anche a suo padre, se Stalin glielo avesse ordinato in nome della causa, cioè della causa stalinista.
Nella primavera-state del 19128 si scatenarono crudeltà inverosimili:  si crocifisse, si impalò, si tagliò a pezzi, si bruciarono uomini vivi; si introdusse la pratica delle terribili stragi quotidiane. Sacerdoti cattolici e laici, furono sepolti vivi, solo perché credevano in Dio. Negli ultimi sei mesi del 1918 il CIK giustiziò 4.500 persone. Gli emigrati nel 1921descrissero Sebastopoli, una delle città colpite con maggiore durezza dalla persecuzione, come una città di impiccati": "Il paesaggi di Nahimovskij era pieno d cadaveri impiccati di ufficiali, soldati, civili arrestati per strada. La città era morta, la popolazione si nascondeva nelle cantine e nei granai. Tutti i muri delle case, le palizzate, i pali telegrafici , le vetrine dei negozi, erano tappezzati di manifesti "Morte ai traditori". Impiccavano nelle strade per dare l'esempio.
Le strade erano bloccate da striscioni su cui era scritto: "Dittatura del proletariato", "La morte a chiunque non si subordinerà a questo governo!". A Volcov ha scritto: "Non c'è mai stato un tempo così tragico per la Chiesa, come il nostro. Le chiese vengono chiuse, i cristiani perseguitati. Forse è giunta l'ora dell'avvento dell'Anticristo. Sperimentiamo la fame, la brutalità".ù
Inviando al Kurskij nel maggio1922 il progetto dell'articolo del Codice penale sulla propaganda controrivoluzionaria, Lenin asseriva che era necessario sostenere apertamente la strategia del terrore, la sua necessità, i suoi limiti Anche giuridici. Il tribunale non doveva eliminare il terrore prometterlo sarebbe stato un inganno), ma seminarlo e legittimarlo idealmente con chiarezza, senza falsità e orpelli. Secondo il rapporto  delle attività della GPU per il 1924,  la polizia politica aveva arrestato i membri di 85 organizzazioni "clericali" (1.765 arresti). Il numero delle persecuzioni era enorme specialmente dall'anno 1932 quando iniziò il periodo detto "quinquennio del'ateismo2, finalizzato ad eliminare tutte le chiese ed i credenti e a provocare "l'oscuramento dell'idea di Dio".  Nel 1937 si contano 2300.000 repressioni, con circa 100.000 esecuzioni capitali.  Il 5 marzo 1937 il Plenum del Comitato Centrale del PCUSD sanzionò l'uso  del terrore di massa. Nei mesi di ottobre e novembre 1937 si eseguirono fucilazioni nel lager delle Solovki (1.850 detenuti, tra cui numerosi credenti cattolici). I testimoni ricordano quest'altro metodo di tortura, in uso nel lager nel 1938: dalla postazione  di lavoro Karposkaja, che si trovava a tre giorni dal Golgota, in una gelida giornata di febbraio, mandavano degli uomini, nudi o quasi, fino alla baracca numero 4, dove gli altri detenuti, ivi presenti, venivano chiamati "volpi polari".  Uscivano fuori, per fare i bisogni assolutamente spogliati. . Spesso punivano le "volpi" esponendole nude al gelo e al vento sferzante, incuranti del fatto che le vittime piangessero, gridassero e chiedessero di lasciarle entrare nella baracca. Secondo i dati del'ospedale, in otto mesi, morirono 979 persone. La parrocchiana Lucia Tatichova (arrestata nel 1937 dall'NKVD a Odessa) testimonia che,  negli anni 1935-37, gli organi del'NKVD avevano arrestato persone in mass. Il sangue scorreva per le vie di Odessa. […]
Il disprezzo del'essere umano, della sua volontà, fu la norma in tutto il periodo comunista. la condanna a  morte, secondo i comunisti, era "necessità di una pedagogia", come scriveva acutamente Sergio Ordzonikidze, nel gennaio 1934, a Sergej Kirov: "I nostri funzionari, che hanno conosciuto la situazione del 1932-33 e hanno saputo essere all'altezza, sono davvero come acciaio temprato. Penso che con loro costruiremo uno Stato quale la storia non ne ha ancora conosciuti"."

In realtà, la persecuzione anticristiana dei bolscevichi non si abbatté solamente sul clero o su dei fedeli che tenevano un atteggiamento ostile verso il regime: bastava la sola professione di fede per essere oggetto di misure repressive. Il libro di Vyshovskyy è ricco di dati, di cifre, di fatti: una tragica contabilità dell'orrore che vale più di tante elucubrazioni.
C'è un dettaglio, nel carattere di Lenin, che getta una luce significativa sul suo rapporto con la religione e sulla sua politica violentemente anticristiana: un dettaglio che può sembrare trascurabile solo a chi non sia uso tenere nel debito conto certi segnali del comportamento spicciolo delle persone, i quali sarebbero, invece, assai eloquenti circa  l'attitudine potenziale di esse. E il dettaglio è questo: Lenin soleva sputare sul crocefisso e calpestarlo, e definiva la religione con gli epiteti di oscurantismo, maleficio sociale e vodka dello spirito (cfr. D. Serretti, "Il tempo della tirannia". Nabokov, Bulgakov, Pasternak, Solgenitsin, Roma, 2000, p.  120).
Un uomo che sputa sulla croce fa pena, oltre che ribrezzo, per la stupidità quasi inverosimile del gesto e per la sua rozzezza che sarebbe caricaturale, se non fosse incivile (e, per un credente, blasfema). Ma lasciate che quell'uomo prenda il potere, con la forza, in un enorme Paese di 100 milioni d'anime, tormentato dalla fame, dal freddo, dagli effetti materiali e morali di una guerra perduta: ed ecco che egli sarà capace di mettere in piedi una persecuzione quale non si vide neppure al tempo di Nerone o di Diocleziano.
Gli effetti a lungo termine della campagna di scristianizzazione condotta in Unione Sovietica, sotto gli auspici di un sedicente Consiglio scientifico per la propaganda dell'ateismo, sono stati ancora più devastanti di quelli a breve e medio termine, proprio perché meno visibili ad uno sguardo superficiale.
Oramai la libertà religiosa è tornata in Unione Sovietica e negli altri Paesi comunisti dell'Europa centro-orientale e dei Balcani; persino nella filo-cinese Albania, dove un prete che veniva scoperto a battezzare un bambino veniva immediatamente condannato a morte: ma le coscienze, stravolte da decenni di pratiche anticristiane e radicalmente immorali, non sono ancora guarite dalla lunga e dolorosa malattia.
Alcuni osservatori si sono stupiti che Paesi tradizionalmente molto cattolici, come la Polonia, non abbiano immagazzinato, durante la persecuzione, potenti riserve di energia spirituale che avrebbero potuto svolgere un ruolo positivo nella ricostruzione, materiale e soprattutto spirituale, seguita alla caduta dei regini totalitari sovietici. Altri si sono rammaricati che il tasso di delinquenza sia così elevato, ad esempio, fra gli immigrati in Italia da un Paese tradizionalmente molto religioso, come l'ortodossa Romania. Si tratta, però, di uno stupore e di un rammarico che nascono da una scarsa conoscenza della psicologia delle masse.
Non si semina impunemente, per decenni, una ideologia crudele e irreligiosa, senza che le fibre spirituali più riposte di una società ne subiscano un danno assai grave. La crudeltà chiama ancora crudeltà; il fanatismo e l'intolleranza chiamano, ancora e sempre, fanatismo e intolleranza: o, peggio, una sorta di cinismo e d'indifferenza, una mentalità pragmatica che mira solo all'interesse individuale e non tiene in alcun conto il bene comune. Il materialismo e la violenza eretta a sistema producono frutti avvelenati che perdurano a lungo.
Forse ci vorrà ancora molto tempo prima che Paesi come la Russia, la Polonia  e la Romania, che vantano antiche e profonde radici religiose, possano ritrovare l'equilibrio spirituale e annullare il danno provocato da decenni di ideologia totalitaria e anticristiana. L'emigrazione di milioni di persone dall'Europa centro-orientale verso il miraggio del benessere materialista dell'Occidente è una spia eloquente di questa perdita delle radici, di questa disaffezione verso i valori tradizionali, di questo sradicamento morale che ha prodotto il deserto nelle coscienze.
Sarebbe bene che i signori intellettuali dell'Occidente, che si considerano l'avanguardia pensante dell'intero mondo libero, facessero una bella e approfondita riflessione su questi temi; e, prima ancora, che smettessero di girare la testa dall'altra parte, quando si verificano eventi come la persecuzione anticristiana nell'Unione Sovietica. Essi, che giudicano un affronto alla libertà di pensiero il fatto che il papa tenga un discorso all'Università di Roma, o che vorrebbero cancellare ogni riferimento alle radici cristiane dell'Europa dai documenti ufficiali dell'Unione, farebbero bene a considerare quali esiti abbia portato la crociata anticristiana messa in opera dai regimi totalitari di ispirazione marxista in anni recenti. E, poi, trarre onestamente le proprie conclusioni.