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E Obama disse: Bombardate Londra!

di Mario Grossi - 11/01/2010

Se non ci fosse, Bin Laden bisognerebbe inventarlo. Fa comodo a tutti ed è per tutti un punto di riferimento. È un’entità che sconfina nella mitologia. Qualcuno sostiene che è morto, bombardato da qualche missile “intelligente” e qui non si capisce in cosa consista l’intelligenza, forse che il missile era tarato sulla frequenza cardiaca o sulla temperatura corporea di Bin Laden e poteva colpire solo e soltanto lui. Altri sostengono che dopo lunga e dolorosa malattia è passato a miglior vita. Svariati i documenti filmati in cui si scandagliano le sue rughe, le sue borse sotto gli occhi, il colorito della sua pelle; innumerevoli le analisi fonetiche dei suoi messaggi in cui vengono dissezionate tutte le sue pause, tutti i suoi sospiri, tutti gli affievolimenti del suo tono di voce per cercare qualche traccia del presunto male che lo ha minato.

Qualcuno sostiene che è vivo e che scorrazza liberamente tra i monti e le valli dell’Afganistan, da lì orchestrando tutta la rete terroristica mondiale che avrebbe messo in piedi.

Con il contagocce vengono diramati messaggi a lui attribuiti che sono costante stimolo al dibattito circa la sua morte.

Sta di fatto che, vivo o morto, la sua presa sull’immaginario collettivo è vasta ed il suo potere sterminato: A metà strada tra il Vecchio della Montagna ed il generale Aureliano Buendia personaggio di Cent’anni di solitudine che si accorse di avere acquisito potere quando le cose che immaginava, ma che non aveva ordinato a nessuno, immancabilmente accadevano.

Ma che fa comodo a tutti è evidente.

Fa comodo ai cosiddetti fondamentalisti e ai terroristi di matrice islamica che trovano in lui un riferimento ideologico, un capo carismatico invincibile con i tratti del semidio. Tutta la querelle, morto o vivo, ne ingigantisce l’alone d’invulnerabilità, di rarefatta costante presenza, di eternità che sono proprio le caratteristiche di un dio. Un dio immanente che si rivela secondo il suo cruccio, con una pletora di fedeli pronti a esaudire tutti i suoi dettami senza che lui abbia proferito verbo.

È la dimostrazione intangibile che si può essere immortali ben al di qua di ogni al di là.

Fa comodo a Barack Obama, presidente degli Stati Uniti d’America, politico adolescente del “vorrei ma non posso”, Nobel per la pace a priori e a prescindere, imperatore globale alla ricerca di una sua fisionomia che faccia condensare, in un qualche sgorbio tangibile, tutte le allucinate visioni buoniste che ci ha raccontato, dopo averle viste, probabilmente in una di quelle visioni lisergiche fatte di tanti colori, suoni, profumi, immagini, sentimenti che non corrispondono ahimè al grigiore della realtà.

Fa comodo, dicevo, a Barack perché Bin Laden è il nemico perfetto.

Compare e scompare con le sue dichiarazioni. È morto ma è ancora vivo. Informa tutti i gruppi terroristici di matrice mussulmana. Ha denaro e potere e quindi ha sufficiente levatura per porsi, con la sua organizzazione, a un livello che non faccia sembrare l’America moralmente riprovevole e alla caccia di qualcuno da menare ma che sia sufficientemente debole per non prenderle. D’altra parte Bin Laden è qui e ovunque, con una luciferina intelligenza che gli permette di armare mani imprevedibili e di tenere in scacco il colosso americano.

Insomma Bin Laden svolge, per gli USA, le stesse funzioni che Palla di neve svolgeva nel La fattoria degli animali per permettere a Napoleon di governare incontrastato, sventolandone costantemente il pericolo.

Fa comodo alla ricerca e all’industria tecnologica che, grazie alle continue sfide lanciate dal “Public Enimy nr. 1”, si vede costretta a studiare e a produrre nuovi congegni come questi total body scanner che tutti garantiscono come insuperabili e che a me ricordano tanto quegli occhialini ai raggi X che venivano pubblicizzati sui fumetti di alcuni decenni fa e che garantivano una visione sporcacciona, al di sotto dei vestiti, di incolpevoli fanciulle.

Fa comodo ancora al rilancio dell’economia USA che entra in un 2010 non migliore del passato 2009 e che è stato indicato come uno degli anni più infausti per l’economia che si ricordi.

Se l’industria stenta, se i consumi non si riprendono, se la politica di riconversione delle auto di grossa cilindrata in piccole vetture ecologiche non decolla (grazie anche ai messaggi contraddittori che vengono dallo stesso Barack Obama che silura Kyoto e snobba Copenaghen) allora è bene lanciare una nuova serie di campagne belliche per ridare ossigeno ad un’industria con il fiato corto.

Il presidente buono, con il pretesto del nuovo attacco terroristico sventato, ha già diramato la nuova lista dei paesi canaglia che potrebbero essere oggetto delle attenzioni particolari dell’esercito americano, e che, come nelle classifiche di Forbes che elencano gli uomini più ricchi del mondo, si avvicendano in testa contendendosi il primato. Abbiamo assistito alla scalata ai vertici della classifica dello Yemen e a un balzo in avanti della Somalia. Star e new entry nella top ten la Nigeria. Perdono smalto Iran, e Corea del Nord che fino a pochi mesi fa era il paese in assoluto più canagliesco della terra.

Il presidente buono, il presidente bello, il presidente del rinnovato sogno americano (incubo per il resto del pianeta), in cui molti hanno sperato e sperano, di cui molti si dicono delusi, ha infine superato se stesso in questi ultimi fatti che hanno visto come protagonista di uno sventato atto terroristico un giovane nigeriano Umar Farouk Abdul Mutallab di famiglia facoltosa che è stato istruito e introdotto al terrorismo nello Yemen da qualche cellula di Al Qeada non meglio specificata ma che da tempo immemorabile risiede a Londra e che lì si è formato dal punto di vista del pensiero integralista.

Il giorno successivo al fallito attentato, il presidente buono ha inventato il sillogismo contraddittorio, dichiarando che per cercare di fermare la mano assassina del giovane nigeriano e di quelli che come lui tenteranno azioni simili non escludeva interventi armati e raid aerei contro lo Yemen, visto che la cellula terroristica di Al Queda era presumibilmente localizzata lì, trascurando il resto del curriculum del giovane che dalla Nigeria si era trasferito per gli studi, per viverci e per abbeverarsi alle fonti dell’islamismo ultras in un quartiere elegante di Londra. Lì si è generato il suo fondamentalismo rancoroso.

Per coerenza io mi sarei aspettato che il presidente buono avesse dichiarato di non escludere, oltre che nello Yemen ed eventualmente in Nigeria, dei raid aerei su Kensigton e magari uno sbarco sui docks londinesi di quei marines tecnologici con visori agli infrarossi ed armi ultraleggere laser comandate.

Così come mi sarei aspettato una possibile azione su Viale Jenner a Milano, presunto covo qeadista italiano. E missili su Amsterdam per stanare i nemici del vignettista antislamico.

E qualche auto bombardamento in Maryland, sulla comunità islamica di Silver Spring, frequentata da Nidal Malik Hasan autore della strage di Fort Hood.

Comunque il presidente buono, come tutti i buoni della terra, si è dichiarato lui in prima persona responsabile del buco nella sicurezza che ha permesso al nigeriano già segnalato di salire sull’aereo.

E allora, come si conviene, voglio terminare con un consiglio al presidente buono.

Quando si cercano i terroristi non bisogna farsi guidare dai propri pregiudizi.

Gli attentatori non si presentano al check in, con indosso una tunica islamica, con barba lunga, turbante in testa, medaglione di Bin Laden al collo, inneggiando a Maometto e alla Jihad, brandendo il corano nella destra ed un mitra nella sinistra.

I terroristi sono come il giovane nigeriano Umar Farouk Abdul Mutallab. Viso d’angelo, barba ben rasata, pelle liscia, sorriso rassicurante, vestiti occidentali, buona e ricca famiglia alle spalle, studi londinesi, abitazione in quartiere esclusivo.

Per il presidente buono non c’è scelta. O continua a credere al suo lisergico sogno americano e si mette a bombardare lo Yemen, la Nigeria, la Somalia, la Corea del Nord, Londra, Amsterdam, Milano, il Maryland, la Casa Bianca, se stesso. Oppure prende atto dell’ombra dell’incubo planetario che tale sogno proietta sul resto del mondo e tenta di fondere il sogno con l’incubo per costruire una realtà zoppa ma più giusta.

Che era poi la strada delineata, almeno a parole, nei suoi discorsi d’investitura.

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