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Aumentare la propria consapevolezza per abbracciare il mondo in uno sguardo

di Francesco Lamendola - 17/01/2010

La nostra consapevolezza ordinaria è estremamente limitata.
Sarebbe più esatto dire che la maggior parte delle persone non possiede alcuna consapevolezza e vive la propria vita in uno stato che, nella concezione induista, si definirebbe di «tamas», vale a dire di totale ignoranza, pigrizia, delirio e illusione. Di costoro si potrebbe dire, con Dante («Inferno», III, 64): «Questi sciaurati, che mai non fuor vivi».
Così si esprime la «Bhagavadgita» a proposito del terzo “guna” (dopo la Virtù e la Passione), ossia l’Ignoranza (XIV, 5-18):

«La natura materiale è formata dai tre guna: Virtù, Passione e Ignoranza. Quando l’essere individuale, imperituro, entra in contatto con la natura materiale, o Arjuna dalle braccia potenti, diventa condizionato da questi tre guna…
L’ignoranza, o discendente di Barhata, sappi che è causa di smarrimento tra tutti gli esseri. Questo guna trascina alla follia, all’indolenza e al sonno, che incatenano l’anima incarnata.
La Virtù lega l’essere alla felicità, la Passione ai frutti delle azioni, e l’Ignoranza alla follia, o figlio di Bharata…
E quando l’ignoranza cresce, o figlio di Kuru, allora vengono le tenebre, l’ozio, la follia e l’illusione. Chi muore sotto la Virtù si eleva ai pianeti superiori, i pianeti puri dove vivono i grandi saggi. Chi muore sotto la Passione rinasce tra gli uomini che si dedicano all’azione interessata. E chi muore sotto l’Ignoranza rinasce nel mondo delle bestie.
È detto che le azioni compiute sotto la protezione della Virtù comportino la purificazione del loro autore, sotto l’influsso della Passione, la sofferenza, e sotto l’Ignoranza, la stupidità.
Dalla Virtù nasce il vero sapere e dalla Passione l’avidità. Follia, stupidità e illusione vengono dall’Ignoranza. Quelli sotto l’influsso della Virtù si elevano gradualmente fino ai pianeti superiori, quelli dominati dalla Passione rimangono sui pianeti intermedi, terrestri, e quelli avvolti dall’Ignoranza scivolano nei mondi infernali.»

I tre “guna”, nella concezione induista, sono le diverse influenze che l’energia materiale illusoria esercita sugli esseri e sulle cose e determinano, fra l’altro, il modo di essere, di pensare e di agire dell’anima che condizionano.
Ora non c’è dubbio che la maggior parte degli esseri umani si muove sotto l’azione dei primi due “guna”, Passione e Ignoranza; con una predominanza, probabilmente (come appunto aveva intuito Dante) dei secondi rispetto ai primi. Se molti, infatti, sono coloro che perseguono, nella propria vita, l’azione interessata (successo, denaro, potere, godimento sessuale), ancora più grande è il numero di coloro che vivono letteralmente a caso: senza una regola, senza un fine, senza uno scopo, brancolando ora di qua, ora di là, come pazzi e insensati, ferendosi continuamente e procurando ferite a coloro che stanno loro intorno.
Naturalmente, come dice Krishna ad Ajuna, i tre “guna” non si trovano mai allo stato puro negli esseri individuali, bensì mescolati e in continuo movimento: fra essi vi è una vera e propria lotta, dal primo all’ultimo giorno, perché ciascuno dei tre cerca di prevalere sugli altri. Tuttavia, e sia pure in maniera schematica e provvisoria, è corretto affermare che ciascun essere umano è dominato, in modo particolare, da uno di essi.
Asteniamoci dalle malinconiche considerazioni relative al “guna” prevalente nelle persone che, all’interno della società odierna, svolgono ruoli di responsabilità: l’impressione è che molti siano sotto l’influsso del “Rajo-guna”, la Passione; moltissimi sotto quello del “Tamo-guna”, l’Ignoranza; e praticamente nessuno sia sotto l’influenza del “Sattva-guna”, la Virtù, vale a dire la ricerca disinteressata del sapere e del bene.
Concentriamoci, piuttosto, sull’individuo comune, che non occupa posizioni elevate di potere e di prestigio, ma che vive la propria vita negli ambienti di lavoro, nelle famiglie, come uno qualsiasi di noi, con una casa, una professione, delle responsabilità sociali. Crediamo di non andare lontano dal vero supponendo che la grande maggioranza di tali individui “medi” sia effettivamente dominata dal più basso dei “guna”, l’Ignoranza.
Non bisogna, comunque, immaginare che ciascuno dei tre “guna” costituisca una specie di corporazione omogenea. All’interno di ognuno di essi vi è una grande varietà di situazioni individuali, dovuta sia alla mescolanza, sempre varia e mutevole, delle tre differenti influenze in ciascuna anima, sia al diverso orientamento complessivo che nasce dal modo particolare in cui le tre influenze sono accolte e sviluppate.
All’interno della modalità “rajasica”, ad esempio, possiamo trovare sia la nobile anima di un artista, di un pensatore, di uno scienziato, che dedica tutta la propria vita alla bellezza, alla verità e alla conoscenza, ma riproponendosi anche di ricevere riconoscimenti e lodi per quanto da lui realizzato; sia l’anima volgare, piccola e meschina di chi non muoverebbe mai un dito, se non per ricevere in cambio qualcosa: e ciò non solo nell’ambito professionale e lavorativo, ma anche in quello della vita privata e degli affetti.
Perfino al’interno della modalità “sattvica” si possono trovare situazioni differenziate: perché una cosa è cercare il sapere e la liberazione dell’anima come scopo supremo della propria vita, che riceve in se stessa la propria ricompensa; e un’altra cosa è abituarsi al senso di felicità che tale ricerca permette di conseguire e divenirne, in qualche modo, dipendenti: attaccandosi, così, all’esistenza condizionata, per una via diversa, ma non meno insidiosa, di colui che si attacca al frutto delle proprie azioni interessate.
Quando alla modalità “tamasica”, si tratta veramente di un “mare magnum” ove si può incontrare di tutto: dall’idealista fallito e rancoroso, al materialista sprofondato nella quotidianità come un maiale nel brago, passando attraverso mille e mille situazioni individuali, ora patetiche, ora francamente repulsive, le quali, però, hanno tutte una cosa in comune: l’ottenebramento totale della vista interiore, l’oblio radicale del senso e del destino della vita umana.
Purtroppo, oggi non sembrano essere pochi gli intellettuali che si dibattono nel regno dell’Ignoranza, e ciò provoca effetti nefasti per l’intera società. Dall’Illuminismo in poi, quando la figura dell’intellettuale è stata inventata (prima non c’era; c’erano i filosofi, gli scrittori, i poeti, gli artisti, i matematici, ecc.), essa non ha fatto che crescere in visibilità e prestigio: una visibilità spesso gratuita e un prestigio usurpato; e tuttavia tali da influenzare profondamente l’orientamento della società, specie in quest’epoca di mezza cultura, di mezzo sapere e di mezza verità, caratterizzata dalla cosiddetta società di massa.
È facile, pertanto, immaginare quale danno immenso abbiano prodotto, e continuino a produrre, schiere di minuscoli intellettuali, tanto ignoranti quanto presuntuosi e saccenti, allorché pontificano e sproloquiano di tutto e di più, ma sempre con un denominatore comune: la totale inconsapevolezza del senso della vita e dell’armonia complessiva dell’universo. Le uniche certezze che si sentono autorizzati a spacciare come moneta buona sono il dubbio sistematico, il nichilismo eretto a sistema, il pessimismo più demoralizzante; e sempre partendo da un approccio razionalistico e materialistico presentato come l’unico legittimo e possibile, come l’unico che sia veramente degno di un essere pensante ed evoluto.
Dominati da una sorta di ossessione, l’avversione per il sacro e per la trascendenza, essi non si stancano mai di predicare il loro sinistro Vangelo del Nulla, i cui capisaldi sono l’egoismo più estremo («l’Inferno sono gli altri», diceva Sartre), la liceità di qualunque desiderio («Let  it Be», «Lascia che accada», cantavano i «Beatles»), la nausea e il disgusto per la vita (ancora per bocca dell’ineffabile Sartre), il disprezzo per la natura umana e per le sue vergognose e indicibili tendenze più profonde (Freud), l’ebbrezza autodistruttiva e l’edonismo sfrenato e delirante da basso Impero in agonia.
Vi sono, infatti, almeno due grandi generi di inconsapevolezza: quella dell’individuo smarrito, frastornato, sconvolto da esperienze negative che non è riuscito a trasformare in altrettante occasioni di crescita spirituale; e quella dell’individuo che lucidamente (si fa per dire) intreccia tutte queste scorie negative in un quadro che ha le apparenze della razionalità e della coerenza, in una specie di lucida follia, dove ogni verità è capovolta o trasformata nella grottesca caricatura di se stessa.
E milioni di giovani seguono questo modello negativo, rappresentato, oggi, non tanto da filosofi o pseudo-intellettuali, ma da cantanti capaci di convogliare le energie psichiche di folle enormi, specialmente nei concerti di musica rock; e, in misura  minore, da registi sadici e senza idee, che esaltano la violenza più gratuita (come Quentin Tarantino) e mostrano al pubblico una immagine orribilmente deformata dell’animo umano. Per non parlare, poi, delle sette esoteriche che praticano lo spiritismo o il satanismo (il primo non essendo altro che la versione inconsapevole del secondo), consegnando la propria anima alle forze oscure del Male.
È necessario reagire a questa follia collettiva, a questo degrado dell’essere e a questo oblio del nostro posto nel mondo, aumentando la nostra consapevolezza, in modo da poter abbracciare tutto il reale in un solo sguardo. Uno sguardo comprensivo e non giudicante, non attaccato ad alcuna cosa e perciò libero da paure e da brame; uno sguardo purificato, limpido, tranquillo, che ci restituisca tutto lo splendore dell’Essere e ci rafforzi nel cuore la gioia di farvi ritorno.
Noi siamo cittadini dell’Essere, ma con la doppia cittadinanza, perché apparteniamo anche a questo mondo: illusorio, non nella sua bellezza, ma nelle sue lusinghe e nelle sue minacce. La bellezza di questa dimensione non è che un pallido riflesso della vera Bellezza, che si trova solo nell’Essere; e così la bontà, la verità, la giustizia, l’amore: tutte cose che, qui, sono alquanto imperfette, e che solo nell’altra dimensione trovano la loro piena realizzazione.
Quel che dobbiamo fare, quindi, è abituarci a prendere congedo dalla dimensione del contingente e predisporci a rientrare nella nostra vera dimora. Non è detto che ciò debba avvenire in maniera traumatica, come il santone che abbandona famiglia, casa, lavoro, e se ne va a vivere da eremita nel cuore della foresta o alla sommità di una montagna, con la sola compagnia degli animali selvaggi e della divinità.
Possiamo anche prepararci gradualmente e silenziosamente, continuando a svolgere il nostro ruolo sociale nel migliore dei modi. Possiamo continuare ad essere dei padri o delle madri di famiglia, dei professionisti, dei lavoratori, degli studenti, degli sportivi, o qualsiasi altra cosa richieda la nostra cittadinanza terrena; l’importante è che impariamo a fare ogni cosa con animo mutato, vale a dire senza attaccamento, liberi da paure e da illusioni.
Possiamo, anzi, dobbiamo continuare ad amare le persone a noi care, ma con uno spirito nuovo: con sollecitudine disinteressata, con profonda comprensione, senza attenderci nulla in premio e senza tenere la contabilità nella partita doppia del dare e dell’avere.
A queste condizioni, noi possiamo conservare il nostro posto nella società, e contemporaneamente imparare a camminare sui sentieri dell’Essere, dove l’orizzonte si va via via allargando, fino a comprendere il mondo intero. Quando saremo a quel punto, allora - e solo allora - incominceremo a capire veramente; a capire e a perdonare, a capire e ad essere perdonati per le nostre mille e mille infedeltà, manchevolezze e insufficienze.
Sarà bello.
Le cose andranno acquistando, poco a poco, una luce nuova; tutto il creato incomincerà a parlarci in una lingua nuova.
È per questo che tutte le tradizioni spirituali raccontano che il vero Illuminato sa parlare con gli animali, sa ammaestrare i lupi feroci, sa farsi obbedire dagli uccelli e discorrere quietamente con le tigri ed i leoni.
Il velo delle illusioni materiali ci cadrà dagli occhi, e finalmente vedremo ogni cosa nella sua bellezza spirituale, e non nella falsa luce delle apparenze esteriori.
Sarà come risvegliarci da un lungo, oscuro sogno nella chiarità del mattino: e scoprire che siamo una cosa sola con l’Essere.