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Obama, le banche e una riforma a metà strada

di Loretta Napoleoni - 24/01/2010

  
 
A ventiquattr’ore dall’umiliazione del Massachusetts, che dopo decenni manda al Senato il candidato repubblicano Scott Brown, il presidente Obama conquista la prima pagina dei quotidiani con il Piano Volcker, redatto da Paul Volcker, capo della Federal Reserve durante la crisi degli anni ottanta. Come in una partita a scacchi, adesso la riforma sanitaria rischia di andare in fumo per un voto, quello del neo-senatore Brown, mentre il Presidente annuncia la tanto aspettata proposta di riforma finanziaria. Ma siamo lontani da quel cambiamento che ancora un anno fa Barak Obama, dopo aver giurato fedeltà sulla Bibbia, promise alla nazione.

Il Piano Volcker, come tutto ciò che fa questa amministrazione, è troppo vago. Si parla di impedire alle banche di usare i risparmi dei clienti per speculare attraverso i dipartimenti finanziari: hedge funds e fondi d’investimento. Si proibisce loro anche di averli e quindi fa presagire lo smembramento di parte dei supermercati finanziari creati dalla deregulation. Questo tuttavia non impedisce a giganti come Goldam Sachs, diventato il Tirannosaurus Rex di Wall Street grazie al piano di salvataggio del Tesoro, di abbandonare lo status di banca commerciale e di trasformarsi in una finanziaria privata.

Si ha l’impressione che la proposta di riforma si fermi a metà strada perché non intacca il modus operandi, il funzionamento dell’alta finanza. Ed una notizia riportata a cavallo tra la sconfitta in Massachusetts e la crociata contro Wall Street ce lo illustra bene. La vendita della Cadbury alla Kraft ha fruttato ai negoziatori almeno 240 milioni di sterline, lo 0.2% del costo totale. I soldi sono stati spartiti tra chi ha condotto le negoziazioni: i rappresentanti della società predatrice (cioè Lazards Bank, Centerview, City Bank e Deutsche Bank, quelli della Cadbury, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Ubs), chi ha organizzato il prestito di 11.9 miliardi di sterline pagati dalla Kraft (e cioè Hbsc, Deutsche e Citi), più lo stuolo di avvocati, commercialisti e società di pubbliche amministrazione coinvolte. Morale? Le banche controllano non solo i nostri risparmi ma il settore produttivo.
Il vero pericolo per il contribuente non è una ricaduta dell’alta finanza e quindi il ricorso alle finanze pubbliche per salvarla, ma l’abbandono dell’economia nelle mani di uomini in completi gessati che di professione rompono e riparano strutture produttive dalle quali dipendono migliaia di persone senza averci mai lavorato dentro neppure per un giorno.
Una vera riforma deve imporre dei solidi paletti a tutta l’attività dell’alta finanza, non limitarsi a chiudere qualche scaffale del supermercato finanziario.