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Lo Yen sconfigge Mao

di Giuseppe Zaccagni - 31/01/2010

  

 

La Cina è divenuta il primo Paese esportatore del mondo e la terza economia del pianeta; il livello del suo export ha raggiunto i 1.070 miliardi di dollari. E così un miliardo e 340 milioni di persone vivono, lavorano, producono, consumano, sognano, soffrono, mettono al mondo figli in un Paese che, mese dopo mese, guadagna nuovi e significativi record. Ad esempio quello relativo al fatto che nel 2009 il suo mercato automobilistico ha superato quello americano, guadagnandosi con 13 milioni di vetture vendute, un nuovo primato.

Altro grande risultato della Cina d’oggi riguarda la costruzione di un aeroporto in una zona considerata la più alta del mondo, a 4.500 metri. I lavori per le piste e la stazione comincer?nno l’anno prossimo nella Regione Autonoma del Tibet, 230 chilometri a Nord di Lasha, la capitale. Con costi anch’essi da record: 180 milioni di euro. Nell’elenco dei successi c’è poi quello che annuncia la Cina come secondo mercato mondiale dei diamanti, con la borsa di Shanghai cresciuta del 16,4 per cento, raggiungendo gli oltre 1,5 miliardi di dollari, dietro solo agli Stati Uniti. Secondo le più accreditate fonti ecomiche, tutto questo è il risultato della crescita del Paese (nel 2009 all'8,7 per cento), mentre il resto del mondo si dibatteva nella recessione.

Di conseguenza lo sviluppo stabile dell'economia e la domanda di gioielli è continuata a crescere, in special modo per i diamanti. Tanto da poter affermare che l’anno da poco concluso - lo scrive l’agenzia Xinhua - ha portato la Cina a superare il Giappone divenendo il secondo mercato di consumatori del mondo per diamanti dietro agli Stati Uniti. Intanto, sempre sul fronte dell’economia nazionale, c’è da rilevare che la Cina ha diffuso i dati sul Pil che, nel 2009, ha toccato i 4.910 miliardi di dollari, mentre quello di Tokyo, secondo proiezioni, dovrebbero arrivare a 5.100 miliardi di dollari.

Quanto alla situazione strategico-militare, Pechino mette in mostra alcuni successi. Si fa forte dei passi avanti nel campo dei sistemi di difesa antimissile. Nelle settimane scorse, infatti, ha effettuato un test significativo, in risposta agli Usa che hanno dato via libera alla vendita a Taiwan di missili Patriot, capaci di respingere attacchi aerei e missilistici. «Il test - ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri cinese Jiang Yu - è di natura difensiva ed in linea con la politica di difesa non aggressiva della Cina». E in un breve dispaccio dell’agenzia ufficiale, si sostiene che il missile antimissile «non ha lasciato detriti» nello spazio e «non ha messo in pericolo nessun velivolo spaziale in orbita». Ma tutto questo sta anche a significare che la Cina punta sempre a mostrare i muscoli anche nei confronti di Taiwan, isola di fatto indipendente dal 1949, che la dirigenza di Pechino ritiene parte del suo territorio nazionale. Intanto gli osservatori diplomatici di Mosca, riferendosi anche alle posizioni di esperti taiwanesi e occidentali, ritengono che Pechino ha oltre mille missili puntati sull’isola.

Ma, a parte queste impennate di forte militarismo, c’è un bilancio positivo per l’economia generale del paese e per una serie di progressi sociali. Si consolida la ripresa, seppure con qualche segnale di surriscaldamento dell’economia. Il colosso asiatico  - lo afferma il South China Morning Post - ha chiuso il 2009 con una crescita del prodotto interno lordo dell’ 8,7%, e ormai il sorpasso sul rivale giapponese appare a un passo e con esso la palma di seconda economia planetaria dopo gli Stati Uniti d’America. La crescita del Gdp nel 2009 vale 4.700 miliardi di dollari, pari a quello del Giappone per l’anno precedente. Il primato cinese sarà registrato ufficialmente quando, il mese prossimo, Tokyo certificherà la sua crescita per il 2009, probabilmente inferiore del 6% rispetto al 2008.

La ripresa - lo evidenzia il Time Asia - é soprattutto merito delle misure anticrisi del governo, che alla fine del 2008 ha varato un pacchetto di provvedimenti a sostegno dell’economia del valore di quasi 600 miliardi di dollari. L’obiettivo è raggiungere e superare il colosso nipponico. Un aspetto, questo, che non figura  direttamente nell’agenda del governo, ma che ha tuttavia un forte valore simbolico dati i rapporti storici tra le due nazioni estremo orientali e la diretta competizione sui mercati, sia come esportatori, sia come acquirenti di materie prime.

Sulla base di queste informazioni e note analitiche, Altrenotizie ha girato a vari politologi occidentali e russi la domanda di ordine sociologico che più circola negli ambienti degli ossevatori: “Cosa è avvenuto in Cina – nella realtà nazionale e nella situazione economica - nel giro degli ultimi anni?”. Le risposte sono di vario tipo, ma sempre concentrate sulle ripercussioni morali e sociali. Com'era prevedibile – si sostiene – c’è stato e c’è un ritorno all'economia capitalistica che ha determinato, in seno alla società cinese, degli spostamenti interiori, dei rivolgimenti spirituali, che vanno in senso opposto a quelli che il comunismo avrebbe voluto operare.

La società cinese, quindi, imborghesisce? La risposta è che si era mirato a stabilire l'eguaglianza dei compensi, dei guadagni, del tenore di vita fra tutte le classi sociali. Ma ora le disuguaglianze ricompaiono e si accentuano. Nelle campagne rispuntano i grossi proprietari e le distanze, fra costoro e i contadini poveri, si allargano man mano. Molti fra questi ultimi, privi di bestie da lavoro, di strumenti, di macchine agricole, danno in affitto il loro boccone di terra, paghi di ricevere una piccolissima parte del raccolto, e si collocano come salariati nelle campagne o nelle città, con compensi miserabili e con orari di lavoro esasperanti. D'altra parte, ogni contadino che riesce ad estendere la sua proprietà, ha bisogno di mano d'opera  salariata, e così il salariato agricolo da fenomeno temporaneo ritorna a figurare come una istituzione stabile della società.

Lo stesso accade nelle città. Lo sottolinea il China Daily (un quotidiano in lingua inglese che esce a Pechino) il quale precisa che  nella capitale  molti commercianti arricchiti sfoggiano il loro lusso e che, con i commercianti, ricompaiono gli intermediari, i sensali, che accumulano fortune che ora più che mai sembrano scandalose. Ci sono, quindi, di nuovo, operai poveri e contadini ricchi, operai qualificati e operai non qualificati, artigiani, commercianti grossi e piccoli, alti e bassi funzionari dello Stato e del Partito, professori, liberi professionisti, tecnici specializzati: tutti si distinguono fra loro in ragione del danaro che guadagnano e della vita che conducono.

E così non solo cambia l'aspetto esteriore della società, cambia anche il suo spirito. Con le discriminazioni, economiche e sociali, che non sono soltanto un fatto; sono un nuovo criterio politico. Sembra proprio che i capi del governo abbiano abbandonato l'ideale dell'eguaglianza, materiale e morale, fra i cittadini: quella eguaglianza nel cui nome erano partiti in guerra contro la vecchia società. E ai tecnici, che lo Stato chiama a dirigere le sue imprese, si concedono stipendi parecchie volte superiori al salario medio degli operai manuali, si assegnano alloggi più o meno lussuosi e si pongono a loro disposizione auto di servizio. Si richiede, intanto, che gli operai obbediscano ai direttori, agli ingegneri, che nelle fabbriche la gerarchia venga assolutamente rispettata e che la disciplina sia ferreamente osservata.

Restano sulla scena del Paese, accanto ai grandi ed innegabili successi, ampie zone d’ombra. Con 150 milioni di cinesi che si trovano sotto la soglia di povertà. E per chi può, ora il governo ha deciso di riaprire i bordelli. Mao nel 1949 li aveva chiusi ed oggi i comunisti li riaprono. Sorgono come funghi a Dongguan, nel cuore industriale del Paese. Qui sono già all’opera 300mila prostitute controllate e certificate. Si muovono in una rete di bar,  saune, centri di massaggi e discoteche. E il partito e le strutture amministrative garantiscono, con 300 ispettori, l’ordine e la sanità. Le prostitute, al momento, sono oltre 300mila e il settore impiega stabilmente 800mila addetti. Ma per Pechino non si tratta di “prostituzione” bensì di "sostegno umano". Prezzi modici, dicono gli occidentali che hanno visitato Dongguan: due ore standard, con "doppio amplesso su letto ad acqua", costano tra i 15 e gli 80 euro.  Il capitalismo ci vede bene anche con gli occhi a mandorla.