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Per un nuovo secolo quantico

di Gianluca Freda - 02/02/2010


Il lettore Fabio mi scrive:

Buonasera sig. Freda, nonostante non le abbia mai scritto, le confesso di essere un assiduo lettore di questo sito da quando pubblicò i suoi articoli riguardanti la vicenda di Neda in avanti. Trovo la lettura del suo blog molto interessante e, devo ammettere, abbastanza stimolante da farmi ricominciare a scrivere sul web. Nello specifico, l'argomento trattato in quest'ultimo articolo mi ha fortemente attratto. Nel tempo libero difatti mi piace leggere di fisica per diletto, non posso quindi sicuramente ritenermi un esperto nel campo (:D), ed ultimamente mi è capitato di leggere un libro alquanto interessante che discuteva proprio sugli argomenti qui trattati; si tratta di "Einstein aveva doppiamente ragione: Dio non può giocare a dadi" di Walter Cassani. La differenza principale tra la visione della realtà dell'autore di quest'articolo e quella del sig. Cassani è questa: come vogliamo intendere lo spazio e l'universo che ci circondano? In maniera discreta o continua? Qui trova il link a ciò che intendo spiegare. Se immaginiamo uno spazio (universo) continuo, cioè divisibile all'infinito in singoli punti similmente ad una retta, l'evoluzione che seguirà la fisica sarà quella moderna: una continua suddivisione della realtà verso l’infinito sino ad arrivare in dimensioni non osservabili se non attraverso delle equazioni matematiche. Questa visione è quella che ci ha portato attualmente alla fisica quantistica: la scienza dello studio della casualità degli avvenimenti e non della loro causalità. Ci troviamo oggi a prevedere i comportamenti probabili delle particelle senza saperci spiegare come essi si sviluppino, e quest'incertezza da vita a ipotesi sempre più estreme che prevedono stringhe ed universi paralleli e che sono basate su particelle esistenti per infinitesime frazioni di secondo in porzioni di spazio microscopiche. Tendenzialmente ho potuto notare come le aperture verso la metafisica della fisica avanzata auspicate dal sig. Vaidman siano deleterie per la scienza della fisica: molte volte capita che affermazioni rigorose dal punto di vista matematico vengano tradotte nel linguaggio parlato con espressioni che possono lasciare spazio ad interpretazioni (anche immaginifiche) piuttosto bizzarre, ma che purtroppo non hanno nulla di corrispondente nel piano del reale. Queste interpretazioni nella maggior parte dei casi vengono riprese da varie teorie new age che sperano di trovare un appoggio razionale alle loro filosofie e che rappresentano, a mio avviso, delle vere e proprie trappole atte a screditare e a rallentare, deviandola verso piani totalmente astratti e slegati dalla realtà, una ricerca rigorosa sul mondo esistente. Vorrei sapere da lei il suo punto di vista riguardo a quanto esposto, se fosse interessato ad approfondire la questione anche qualche persona più esperta di me in materia di fisica sarei ben lieto di intraprendere una discussione in merito. Cordialità.

Fabio The New Order

 

Gentile Fabio, grazie della lettera e degli spunti, che sono molto interessanti. Purtroppo neanch’io sono un esperto di fisica e dunque non posso pronunciarmi riguardo all’attendibilità delle affermazioni di Vaidman. Anche perché mi pare di capire che, in un universo come quello descritto nell’articolo precedente, il concetto stesso di attendibilità non avrebbe molto significato, visto che in esso una proposizione e il suo contrario potrebbero tranquillamente coesistere ed essere entrambe parte dello stesso modello della realtà. L’unica cosa che mi sento di dire è che più mi accosto alla scienza, meno mi sentirei di definire ciò che vedo “una ricerca rigorosa sul mondo esistente”. Ciò che vedo sono dei modelli di rappresentazione del percepibile, che assumono in molti casi i connotati di vere e proprie religioni, con i loro dogmi, i loro santi da adorare e i loro indici dei testi blasfemi; e che rispetto alle religioni e alle filosofie di ogni tempo possiedono la sola discriminante della forma in cui sono espresse (quella fisico-matematica, le cui origini, come ben esemplifica il suo link, sono non a caso mistico-religiose ed oggetto di culto fin dall’epoca pitagorica). Dico questo senza il minimo intento ricusatorio o accusatorio, tutt’altro. Non si può fare a meno di interrogarci su noi stessi e sulla nostra funzione e collocazione nel cosmo, e per quanto strambe o insoddisfacenti possano essere le risposte, esse sono del tutto secondarie rispetto all’importanza dell’atto stesso di porsi la domanda. Ho sempre considerato ciò che chiamiamo “scienza moderna” nient’altro che una trasfigurazione quantitativa dell’antica fisica qualitativa degli aristotelici, con un pari livello di intuizioni, successi, contraddizioni e assurdità. Non so se questo farà di me un filosofo new age, ma non ho mai creduto che la Terra girasse intorno al Sole, o viceversa; credo che ciascuna delle due proposizioni non sia altro che una delle molte rappresentazioni possibili che l’uomo offre a se stesso della propria collocazione nell’universo. Più che per il loro valore scientifico (che potrà essere, a seconda dei diversi livelli di fede nella scienza, colossale o nullo) gli studi quantistici mi interessano per le potenzialità di radicale trasformazione del pensiero che prefigurano, per il loro portato di definitivo ribaltamento del senso comune e degli schemi che abbiamo finora adoperato per rappresentare noi stessi e i nostri rapporti con le cose. Penso che ogni trasformazione del mondo si identifichi in tutto e per tutto con una trasformazione delle modalità con cui siamo soliti immaginarlo e penso che, in questo senso, la fisica dei quanti abbia ottime potenzialità di cambiare il mondo. Non credo che gli studi di Bohr, Planck, Heisenberg o Vaidman rappresenteranno una deriva verso la metafisica più grossolana delle nostre attuali credenze sull’origine dell’universo e delle stelle. Penso che rappresenteranno soltanto un nuovo e diverso approccio metafisico all’esistente; penso che potrebbero sostituire l’ormai vetusto modello metafisico razionalista che vorrebbe la realtà divisa dozzinalmente in due - noi e ciò che sta fuori di noi – e che comincia a starmi fastidiosamente stretto. Non conosco le filosofie new age e non so se quanto ho appena detto le abbia in qualche modo riecheggiate, nel qual caso me ne scuso con i loro sostenitori e detrattori. Ciò che realmente mi interessa è il potenziale politicamente rivoluzionario delle nuove forme di percezione del mondo, poiché lo sfacelo delle vecchie sembra stringersi ogni giorno di più attorno alle nostre vite e ai nostri cuori. Leopardi diceva che l’unica differenza tra il reale e l’immaginario è che “questo può qualche volta essere molto più bello e più dolce che quello non può mai”. Io non so se l’universo quantisticamente raffigurato sarà più bello o più dolce, mi accontenterei che rimettesse l’uomo in gioco. Questa condanna all’immobilità e all’inessenzialità sentenziata per noi dall’illuminismo dovrà pure avere un termine, prima o poi.