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Berlusconi: un"non" statista piccolo piccolo

di Gianni Petrosillo - 04/02/2010

Berlusconi è ancora un leader piccino piccino, un politico per caso e per necessità, un Premier che, pur sentendosi uno statista, riesce, a malapena, a stare dietro all'incantato strimpellatore Apicella. Il tycoon di Arcore si è ricavato un posto  al festival della musica napoletana.  Nulla di più.


Mi sono ammattito? Proprio io che fino a ieri ho scritto di Berlusconi uomo della speranza nazionale e facilitatore dei rapporti privilegiati con le potenze emergenti-riemergenti ad Est, in Medio-Oriente, in Africa; martello pneumatico contro i bastioni dei “salotti buoni” economico-finanziari-industriali dissipatori di risorse statali; argine salvifico contro l'avanzamento di una sinistra servile e moralista che avrebbe fatto strame dello Stato, più di quanto non sia accaduto, se solo gli fosse riuscito il “colpetto” elettorale del '94?

A chi ci accusava di filo-berlusconismo serviamo questa lezione di realismo politico su un piatto freddo di mesi e di anni, stracolmo  di calunnie e critiche come maccheroni indigesti mai ordinati. In primo luogo, siamo stati noi a parlare di “determinanti oggettive” dei processi storici e di agenti “agiti” dalle condizioni epocali, anche in discordanza con le loro intenzioni “coscienti”. Berlusconi, per un tratto, ha interpretato questo zeitgeist che, casualmente, coincideva con i suoi piccoli interessi di “retrobottega”. In linguaggio teorico così La Grassa definiva la questione in un suo saggio:
“Sarà necessario continuare e accentuare in futuro l’analisi dei vari aspetti della crisi-sviluppo-trasformazione sociale con maggior attenzione all’intreccio (che è temporale come spaziale) tra le diverse sfere d’attività in cui si muovono i vari agenti delle formazioni capitalistiche; dando sempre la priorità logica all’“oggettività strutturale” di queste ultime, che orienta i portatori soggettivi, la cui azione in condizioni date (sempre indagate a mezzo di ipotesi) non va comunque mai trascurata. I giocatori giocano le partite immettendovi le loro competenze e capacità particolari (individuali); alla fin fine, essi giocano un dato gioco caratterizzato da andamenti probabilistici eppur cogenti entro un determinato alveo di scorrimento, che si rende noto soltanto ex post: noto, non però immediatamente conosciuto – se si afferra la differenza – poiché anche la conoscenza del già trascorso richiede in ogni caso la formulazione di ipotesi di interpretazione storica, che mutano d’epoca in epoca e mai devono irrigidirsi in dogmi intoccabili ponendosi così “fuori gioco”.

Ed ancora:
“...E speciale attenzione ai settori – economici, politici, culturali – che possano eventualmente favorire una maggiore autonomia del paese (e dell’area della formazione mondiale) in cui siamo situati. Settori che francamente mi sembrano oggi assai deboli, pressoché invisibili; non per questo, però, dobbiamo smettere di “cercarli” poiché ci comportiamo pur sempre da portatori soggettivi, che si assumono la responsabilità di andare anche controcorrente con tutti i possibili rischi di fallimento”.
Ed infatti, non smettiamo mai di cercare barlumi di mutamento e se una strada non è più percorribile sappiamo tornare indietro per prenderne un'altra, scrutando all'orizzonte ogni possibile sbocco storico a quest'epoca di sbandamento.
Il Presidente del Consiglio, a causa dei suoi guai giudiziari e dei tentativi di annichilirlo politicamente, messi in atto dai peggiori poteri costituiti nostrani, avrebbe potuto, anche transeutemente, fungere da catalizzatore per forze nuove e meno succubi agli equilibri, in dissesto, dell'ordine mondiale americano. Le sue ultime affermazioni in Israele sull'Iran ci dicono che non è così.

A noi dell'uomo (non è un errore di battitura ho scritto proprio la “u” in carattere minimo) e del personaggio pubblico Berlusconi non importa un fico secco, non dobbiamo farci eleggere in nessuna carica istituzionale e non abbiamo bisogno di prebende di qualsivoglia specie.

Veniamo dunque ai fatti perchè in questo blog si può parlare sempre liberamente ed in piena coerenza con le nostre concezioni teoriche. Che Berlusconi sia un politico di infima caratura lo dimostrano le sue dichiarazioni alla Knesset, il parlamento israeliano, dove il Presidente del Consiglio ha fatto una pessima figura rivelando di non avere propriamente recepito il senso delle svolte storiche, il flusso degli eventi internazionali e quello dei cambiamenti epocali in atto sullo scacchiere geopolitico mondiale.

Si è persa un'occasione per manifestare alla comunità globale che l'Italia non è più una provincia ossequiosa dell'impero dello zio Sam e del suo giannizzero mediorientale armato fino ai denti (quest'ultimo definito dal Cavaliere, a torto e in dispregio della verità, una grande democrazia). Se Israele fosse stato davvero uno Stato democratico e se il termine democrazia avesse ancora un legame etimologico col suo significato più remoto (governo del popolo), non rappresenterebbe il paese più odiato del Medio-Oriente e non sarebbe nelle mani di una cricca sionista di chierici esaltati che con una mano si aggancia ai valori dell'Occidente e con l'altra occupa i territori altrui distribuendo morte e distruzione. Quando “addirittura” i legittimi abitanti di quelle terre ardiscono all'intenzione (e solo all'intenzione, perché pietre e razzi Qassam non rappresentano una reazione) della difesa patriottica, la risposta dei sionisti è talmente sproporzionata (si pensi all'uso di ADM) che l'ONU, a malincuore, deve pure emettere delle risoluzioni di condanna. Di queste ce n'è ormai una caterva ma la fantomatica Comunità Internazionale fa orecchie da mercante.

Berlusconi, sviscerando peraltro un'acuta ignoranza in materia, parla di dilagante antisemitismo (ma i palestinesi non sono semiti?) e di ideale sionista. Se quello sionista è un ideale lo è esclusivamente in negativo come sinonimo di razzismo antiarabo, di colonizzazione criminale e di sterminio scientifico perpetrato ai danni di tutti i “non ebrei” dell'area. Su questi elementi si fonda Israele, altro che libertà, sovranità popolare ed ingresso in Europa.

Quanto poi alle affermazioni sull'Iran stendiamo un “lenzuolo” pietoso. Innanzitutto, per le ingerenze negli affari di un Paese fiero e indipendente che viene quotidianamente provocato e insidiato con le sanzioni economiche e con i tentativi di far esplodere al suo interno una guerra civile “colorata”. (Berlusconi si è lamentato ma non ha imparato nulla dalle esperienze italiane dove la marea viola si muove con le stesse intenzioni).
In secondo battuta, perché definire l'Iran una minaccia internazionale - laddove questa nazione non ci ha mai colpito direttamente, né con le parole né con i fatti (mentre, al contrario, abbiamo finora “allegramente” ed “estensivamente” commerciato con essa senza troppo scandalizzarci dei suoi assetti statali confessionali) - vuol dire aderire, al pari di servi anacronistici, ad una campagna d'odio lanciata dagli Usa per ragioni prettamente geopolitiche e di preservazione della propria egemonia mondiale.

Infine, noi siamo italiani ed è già un compito arduo, figurarsi se dobbiamo ora preoccuparci di sentirci tutti israeliani, cioè legati, nel sangue, nei nervi e nelle aspirazioni, ai prepotenti sicari degli statunitensi in Medio-Oriente.

Non, Monsieur le Président, noi siamo italiani e tali restiamo, in saecula saeculorum