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L'Europa dei Van

di Massimo Gramellini - 07/02/2010


  
La Grecia scivola, la Spagna crolla, e neanche Francoforte e Milano stanno troppo bene, mentre la colf brasiliana di un’amica saluta tutti e torna a Rio, dove il padre operaio si è messo in proprio e ha aperto una fabbrichetta. Fra qualche anno, dice l’amica, finirò io a fare la colf a casa loro. Non capisco niente di economia, ma una cosa temo di averla intuita: dopo aver brillato per secoli e secoli sulle nostre teste, il sol dell’avvenir si è spostato dall’altra parte del mondo e ci sta lasciando all’ombra, con l’aggravante che a quel tipo di freddo non siamo proprio abituati.

Nei momenti decisivi servirebbe uno scatto epocale. Davanti a colossi geografici come l’America e la Cina, l’Europa o si unisce o scompare. Lo sosteneva già un genio, tale Napoleone Bonaparte, due secoli fa. Aveva la vista lunga. Certo, lui avrebbe voluto unirci sotto il suo tallone, e non è esattamente di un padrone che l’Europa ha bisogno. Però neanche di ectoplasmi. Qualcuno di voi ha mai sentito la voce di Herman Van Rompuy? Non è un ciclista fiammingo, ma il presidente della Ue. Ignoro i suoi pensieri e i suoi poteri, ammesso che ne abbia.

E la ministra degli esteri, la baronessa Ashton, con quel cognome da giocatrice di Wimbledon degli Anni Venti e la faccia da gemella triste di Martina Navratilova? Sono i degni leader di un continente votato all’auto-dissoluzione e ripiegato sul proprio passato, che si sta inabissando senza neppure averne consapevolezza. Ma di questo passo fra un po’ ci resterà soltanto la Champions League.