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Basaglia in tv: un "record" da rivendicare

di Carla Conti - 09/02/2010

 
 


Un successo a sorpresa per C'era una volta la città dei matti, la fiction dedicata alla rivoluzione psichiatrica di Franco Basaglia andata in onda domenica su RaiUno. Ha battuto anche l'inaffondabile Amici di Maria De Filippi, e la notizia va sottolineata: la corrente rappresentazione del pubblico televisivo come parco buoi interessato solo alle emozioni facili, al trash e al pettegolezzo. Con quasi cinque milioni e mezzo di pubblico, il film in due puntate ha catturato l'attenzione di uno spettatore su cinque. Risultato clamoroso di domenica, quando si deve competere pure con partite e trasmissioni sportive. Sarebbe bello che il centrodestra rivendicasse con forza questo successo, che segue quello - altrettanto significativo - de Gli ultimi del Paradiso, la fiction sulle morti bianche con Massimo Ghini che la scorsa settimana ha fatto il "tutto esaurito", sempre su RaiUno: il coraggio dimostrato nel portare in prima serata, sulla rete ammiraglia, temi scomodi e tutt'altro che neutri come l'orrore dei manicomi pre-riforma e le tragedie sui posti di lavoro, ribalta il luogo comune sui modelli televisivi "ai tempi di Berlusconi".
Ma, per quel che riguarda C'era una volta la città dei matti, c'è un motivo in più per approfondire la storia affrontata attraverso i volti di Fabrizio Gifuni (che ha interpretato Basaglia) e Vittoria Puccini, la ragazza protagonista della fiction reclusa in manicomio perché "troppo vivace". Come dice Carlo Ciccioli, psichiatra, parlamentare del Pdl e artefice di una proposta di legge per riforma della legge 180, si deve sgomberare la strada dall'idea che la destra rimpianga il modello degli anni '60 e giudichi il medico triestino un pericoloso sovversivo. «Basaglia fu un liberatore», dice Ciccioli, anche se dopo la sua "liberazione" nessuno si mise al lavoro per costruire sulle macerie del sistema demolito. I manicomi pre-180 sono, oggettivamente, figli di un approccio positivista al tema del disagio mentale e non a caso nei nostri antichi cineforum era quasi scontata la proiezione di film "rivoluzionari" (sotto questo profilo) come Qualcuno volò sul nido del cuculo oppure Arancia meccanica, con il programma di riabilitazione coatta messo a punto per "sterilizzare" i comportamenti violenti del protagonista Alex: una vera e propria tortura, fondata sull'assunto totalitario che la cancellazione del libero arbitrio sia la via maestra per una società ordinata. Un assunto che sentivamo "istintamente" lontano da noi, che oltretutto conoscevamo bene l'intimo rapporto tra lager psichiatrici e repressione del dissenso: la gabbia in cui viene rinchiusa Vittoria Puccini nella fiction su Basaglia non può ricordare quella in cui nel campo di concentramento di Coltano fu rinchiuso il poeta Ezra Pound, anche lui poi finito, non a caso, in manicomio in America. E in ospedale psichiatrico, proprio all'epoca dell'avventura basagliana, finivano i dissidenti sovietici: dai Settanta fino a metà degli Ottanta ogni persona indiziata per "attività antisovietiche" in Urss veniva sottoposta obbligatoriamente a perizia psichiatrico-forense e spesso ricoverata per anni.
Buffo allora che qualcuno, a destra, si preoccupi della cosiddetta "santificazione di Basaglia" che sarebbe veicolata dalla celebrazione televisiva dello psichiatra. Buffo insomma leggere la stroncatura che Marcello Veneziani ha fatto della fiction, sostenendo addirittura che il film risponde a un'«etica lottizzatrice» delle produzioni Rai, per cui «dopo la fiction su un santo, Agostino, tocca a una su un laico di sinistra, Basaglia» perché «finiscono le culture e i partiti di riferimento, ma i santini no». A noi pare l'esatto contrario: la fine delle ideologie sta a aiutando a riconoscere una trama nazionale e civile davvero unitaria e condivisa, in cui l'opinione pubblica può appassionarsi alle vicende di un grandissimo santo - l'africano, in quel caso, che ha fondato le cosiddette "radici" dell'Europa - e di un grande psichiatra innovatore e anti-positivista con la stessa intensità e senza entrare minimamente in contraddizione con se stessa. Perchè oltre le stucchevoli etichette di un passato a compartimenti stagni ormai definitivamente archiviato - a quelle vecchie contraddizioni, destra e sinistra, cattolico e laico, conservatore e progressista, va ora sostituita la forza degli ossimori e delle nuove sintesi - c'è una verità diversa e in cui tutti possiamo davvero trovare riferimenti importanti. Chi ha del resto nostalgia dei vecchi manicomi? E chi può dare del sovversivo all'uomo che realizzò l'utopia (allora sembrava tale) di cancellare quei lager? E chi può sostenere che l'Italia di oggi deve disconoscerlo? È vero, la politica non ha saputo costruire un sistema nuovo e convincente per aiutare i malati di mente più gravi e le loro famiglie ma non crediamo che "senza Basaglia" la situazione sarebbe migliore e più degna di un Paese civile.