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Bestemmie vietate? Ma il calcio è lo sfogo dell’aggressività

di Massimo Fini - 15/02/2010


 

E ora non si potrà più bestemmiare in campo. Il reo di blasfemia potrà essere espulso dall’arbitro che alzerà il sacramentale cartellino rosso. Se poi il bestemmiatore sarà sfuggito all’arbitro, ai guardalinee e al quarto uomo potrà essere beccato dalla moviola, "Il Grande Fratello" del calcio, e, in questo caso, squalificato. La drastica decisione è stata presa dal presidente della Figc, Giancarlo Abete.
Ciò porrà all’arbitro difficili problemi esegetici se non addirittura epistemologici. In Veneto, per esempio, si usa molto spesso la formula "Porco Zio!". È da considerarsi una bestemmia o no? E nel dubbio ("in dubio pro reo") l’arbitro si limiterà ad estrarre un meno drastico cartellino giallo? Saranno particolarmente penalizzati i giocatori toscani perché in Toscana la bestemmia, che assume le forme più fantasiose, è un intercalare così comune da perdere, di fatto, ogni significato blasfemo. C’è poi il problema di Cristo. Se grido al mio compagno "Cristo, passami un po’ quella palla!" va considerata bestemmia o derubricata a un "non nominare il nome di Dio invano" punibile con un’ammenda?
Da domenica saranno punibili, per coerenza, anche i plateali ringraziamenti a Dio dopo un gol segnato (mentre credo che tutta la difesa avversaria sarà espulsa in blocco), per esempio inginocchiarsi e alzare le braccia al cielo. Proibite anche le scritte sotto la maglia di contenuto "personale, politico e religioso". Vada per il politico, ma così se ne vanno i saluti al figlio appena avuto, al papà morto da poco, le dichiarazioni d’amore.
Per quanto riguarda la bestemmia saranno favoriti i giocatori stranieri, in particolare scandinavi o i neri del Ghana e del Mali perché è molto difficile che l’arbitro, per quanto preparato, conosca lo swaili. Si potrebbe ovviare ingaggiando una batteria di traduttori, in campo e in moviola, contribuendo a lenire il problema della disoccupazione. E se a un giocatore, che ha preso un terribile pestone, scappa un’istintiva, umanissima bestemmia lo puniremo lo stesso o gli concederemo le attenuanti generiche? Infine, la Figc ha deciso di punire anche gli sfottò fra avversari. Insomma, si vuole fare del terreno di gioco un luogo da educande o per ragazzi educati a Oxford. Ma il calcio non è un club per distinti signori inglesi che giocano a whist o al bridge dove, al massimo, si dice "due picche". È una metafora della guerra. I giocatori sono in "trance agonistica" e non si può pretendere da loro un simile autocontrollo.
Così come sono contrario alla repressione delle intemperanze dei tifosi quando si limitino, come per i giocatori, al piano verbale. Il campo di calcio, la partita, è anche un luogo dove poter sfogare la propria naturale, e vitale, aggressività. Non si può pretendere di eliminare del tutto la violenza. Si può cercare di canalizzarla in modo da poterla controllare e tenere sotto una soglia accettabile. Come sapevano bene le culture preilluministe, che si erano inventate la festa orgiastica, il Carnevale, la guerra ritualizzata (chiamata "rotana" fra i neri africani in contrapposizione alla "diembi", la guerra vera) o, nella Grecia antica, l’istituto del "capro espiatorio" che non per nulla porta il significativo nome di "pharmakos", medicina. Nella modernità il calcio ha anche questa funzione. A comprimere troppo l’aggressività naturale che è in noi, finisce che poi esplode di colpo, nel modo più mostruoso, come nei delitti delle villette a schiera per una lite di condominio.