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Il Mossad che non ti aspetti

di mazzetta - 21/02/2010

È ormai uno scandalo di dimensioni internazionali l'assassinio a Dubai di Mahmud al-Mabhuh, importante esponente di Hamas, tra i fondatori dell'ala militare del partito islamico palestinese. La vittima è stata raggiunta e uccisa nella sua camera d'albergo il 20 di gennaio scorso, da un commando del Mossad, il servizio segreto israeliano. Se l'operazione ha conseguito il suo scopo, non così si può dire del suo successo strategico, visto che il commando ha operato malamente e oggi Israele è sul banco internazionale degli imputati, non solo per il reato di omicidio. L'operazione è indiscutibilmente andata male e in Israele c'è già chi ha chiesto le dimissioni del capo del Mossad. Un brutto colpo all'immagine d’Israele, che nel portare a termine l'iniziativa ha calpestato numerose leggi (anche alcune non scritte) e la sovranità nazionale di altri paesi.

Dubai, nonostante i recenti rovesci economici, è un paese all'avanguardia nel controllo del territorio e delle presenze dei gentili ospiti. Gli Emirati Arabi Uniti sono diventati, da tempo, un campo neutro per l'elite arabo-musulmana e a Dubai vivono - e spesso prosperano -  profughi palestinesi, uomini d'affari iraniani, libanesi, egiziani, iracheni, pachistani, afgani, indonesiani, malesiani e via elencando. Vivono in pace accanto ad occidentali, mano d'opera asiatica e alle maggiori aziende mondiali, attirate dalla leggera fiscalità offerta dagli emiri. Una coesistenza che si fonda sia sulla buona dotazione di forze di sicurezza private e pubbliche, presente negli Emirati, che sul sostanziale rispetto del paese come zona neutra, nella quale possono convivere e fare affari anche persone che nei loro paesi  sono mortali rivali.

Non solo vi hanno trovato rifugio politici in disgrazia, reali in esilio e ogni genere di persona di peso con grossi problemi in patria, ma con essi convive la crema delle corporation mondiali, senza che succeda assolutamente niente. Non succede niente nemmeno ai dipendenti di Halliburton, l'azienda che rappresenta il supporto logistico dell'esercito americano, impegnato in Iraq a poche centinaia di chilometri di distanza. I rari fatti di sangue vengono passati al pettine e l'unica impunità sembra riservata alla famiglia regnante; l'occhio si chiude solo per le intemperanze dei locali nei confronti dei numerosi stranieri arruolati come manodopera generica.

Le capacità investigative delle autorità di Dubai si erano già rivelate nella risoluzione dell'omicidio di una giovane artista, uccisa da un sicario inviato da un ministro egiziano, un delitto passionale che ha tenuto banco a lungo in Medioriente. In questo contesto, il servizio israeliano ha inviato una squadra nel paese, di fatto consegnando l'identità dei killer alle autorità degli Emirati. La squadra è stata individuata analizzando le riprese delle numerose telecamere che punteggiano l'albergo scena del delitto e più in generale tutta la città di Dubai.

Entrando nel paese i sicari hanno anche registrato l'immagine della loro iride e copie dei loro passaporti: così, in meno di un mese, le autorità di Dubai sono riuscite a ricostruire i loro movimenti, le identità usate e i dati utili alla loro identificazione non contestabile. Hanno quindi diffuso e pubblicato tutto questo materiale e forse questa è stata la mossa che ha spiazzato di più chi ha pianificato l'azione. Mai si era visto un tale diluvio d'immagini montate come un film a ricostruire la trama dell'agguato, mai si era visto un paese buttare in piazza tali e tanti dettagli di una investigazione in corso.

Si è scoperto così che molti del commando hanno usato passaporti europei falsi, principalmente britannici, con numeri e identità reali, sottratte a ignari cittadini di questi paesi residenti in Israele. Una circostanza che rende ancora più inverosimile l'ipotesi residuale secondo la quale l'operazione possa essere stata un regolamento di conti tra palestinesi. Sarebbe davvero una notizia clamorosa se una delle fazioni palestinesi fosse in grado di organizzare un'operazione del genere e darne la colpa al Mossad. Circostanza che ha sollevato l'ira della Gran Bretagna, che già nel 1987 aveva reagito male in una situazione simile, strappando al governo israeliano la “promessa” che incidenti del genere non si sarebbero ripetuti.

È abbastanza intuitivo che se Israele usa passaporti inglesi perché ritiene che di fronte a quei documenti i controlli siano meno pressanti, dopo un evento del genere i cittadini inglesi (ed europei) nei paesi arabi saranno passati ai raggi X ad ogni frontiera; ed è altrettanto chiaro che nessun inglese ci tenga particolarmente a viaggiare per i mondo inseguito dal sospetto di essere un agente del Mossad.

Israele ufficialmente non commenta, non nega e non conferma casi del genere, per scelta politica maturata ormai da anni. Ma il ministro degli esteri, Lieberman, ha rilasciato la dichiarazione-standard con un ghigno significativo e in Israele il dibattito pubblico ospita solo dubbi formali, con l'opinione pubblica già divisa tra quelli che è come se la nazionale avesse segnato un gol e la debole opposizione che s'interroga sull'utilità intrinseca dell'operazione e sulle conseguenze del suo evidente fallimento. Israele è un paese piccolo e già alcuni degli esponenti del commando, le cui foto stanno su tutti i giornali del mondo, sarebbero stati riconosciuti. Solo questo significa aver “bruciato” una dozzina di agenti per concludere un'operazione di dubbia utilità, visto che in passato ogni figura nemica eliminata attraverso gli omicidi (più o meno) mirati è stata velocemente rimpiazzata, spesso da elementi più professionali e determinati nella lotta a Israele.

Un omicidio di dubbia utilità, che porterà numerosi agenti israeliani nelle liste dei ricercati dall'Interpol e numerosi problemi politici, visto che all'irritazione della Gran Bretagna si è aggiunta quella dell'Irlanda, degli Stati Uniti e, ovviamente, quella degli Emirati, che pure con Israele conservano discreti rapporti. In fondo gli Emirati temono l'Iran, tanto da aver accettato una base militare permanente francese, la prima in Asia dal tempo della fuga dall'Indocina. Da oggi, però, temono anche Israele e la sua determinazione nel violare la loro sovranità nazionale pur di conseguire i suoi piani.

Sulla bontà dei piani il dibattito è aperto e furioso, essendo chiaro che un'operazione del genere non può che essere autorizzata dai vertici del governo, in questo caso da Netanyahu, che ha già un precedente specifico avendo ordinato in passato il fallito avvelenamento in Giordania di un altro esponente di Hamas, avvelenato e poi salvato spedendo l'antidoto una volta che i killer si erano fatti prendere dai giordani. Operazione bollata come un fallimento, perché la vittima sfuggì all'attentato, mentre quella odierna in teoria sarebbe da considerare un successo. Probabilmente, l'idea era di alludervi e trarne vantaggio politico senza rivendicarla apertamente.

Il fallimento nella chiusura dell'operazione ha invece proiettato Israele sul banco degli imputati e il governo nel pieno della polemica, con il realistico pericolo che numerosi ufficiali israeliani si vadano ad aggiungere (insieme agli agenti) alla lista internazionale dei ricercati. Il Mossad è finito in televisione: sono finiti i tempi nei quali organizzava operazioni simili nel segreto più assoluto ed è evidente che l'errore è stato scegliere come teatro dell'agguato un paese nel quale si abbonda nell'uso di telecamere di sorveglianza.

La tesi secondo la quale “si sono fatti riconoscere” nel realizzare una manovra intimidatoria è risibile; potevano ottenere lo stesso risultato senza bruciare la squadra e i loro contatti tra i palestinesi che hanno permesso di tracciare Mahmud al-Mabhuh fin nella sua stanza a Dubai. Contatti che ora saranno estradati a Dubai, dove gli interrogatori sono decisamente al di sotto degli standard umanitari minimi, con il rischio che le loro confessioni peggiorino ulteriormente le cose. Anche il fatto che si tratti di uomini di Dahlan depone a favore della pista israeliana, visto Dahalan è stato sicuramente uno strumento israeliano nel precipitare la crisi di Gaza.

Si tratta dunque di un clamoroso fallimento, sia per la sostanziale inutilità tattica della soppressione dell'esponente di Hamas, che per il disastro provocato sul piano strategico, sul quale a fronte della soddisfazione di un estremista attivo, il governo vede minacciata la sua stessa  sopravvivenza, la reputazione del Mossad umiliata dalla polizia di Dubai e le diplomazie di molti paesi estremamente seccate dalla futile arroganza e dalla sventatezza delle iniziative del governo Netanyahu.