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I Templari ed il Baphomet di Von Hammer Purgstall

di P.Galiano e A. De Luca - 28/02/2010

Fonte: simmetria

  

Sui due cofanetti pseudo templari di Essarois e di Volterra

Alcuni amici, dopo aver letto i precedenti articoli sul giardino iniziatico di Villa Vigodarzere-Valmarana a Saonara, hanno domandato maggiori informazioni a proposito della citazione da noi riportata del saggio di Giovanni Cittadella in cui si parla, a proposito della statua del Baphomet presente nella terza grotta dei Templari, del “prototipo della fede ofitica che il Jappelli accortamente volle espresso in caratteri arabici.. perché l’orientale favella ci fosse velame a troppo liberi sensi”.

Questa iscrizione in “caratteri arabici” di cui parla Cittadella è stata sicuramente ripresa dallo Jappelli da un’incisione raffigurante il Baphomet, che venne per la prima volta pubblicata da von Hammer Purgstall in Mémoire sur deux coffrets gnostiques du moyen-âge, du cabinet de M. le duc de Blacas, Dondey-Dupré Parigi 1832 (reperibile presso la Biblioteca Nazionale di Francia cat. N° FRBNF30572982). L’incisione che abbiamo riportato nel nostro articolo (FIG. 1) è tratta dal Die Schuld der Templar di von Hammer, pubblicato a Vienna nel 1857 (testo disponibile sul web tramite Google libri).

La ricerca di von Hammer su questi cofanetti venne ripresa in due saggi da Prosper Mignard (Monographie du coffret de m. le duc de Blacas, Dumoulin Parigi 1852, reperibile presso la Biblioteca di Storia Moderna di Roma  inv. N° 001215340 e Suite de la monographie du coffret de m. le duc de Blacas, Dumoulin Parigi 1853, reperibile presso la stessa Biblioteca inv. N° 000640063), i quali ne costituiscono la naturale prosecuzione.  

Poiché la traduzione del testo “in caratteri arabici” da parte di ambedue gli autori ci  è parsa parzialmente inesatta sia nella disposizione delle parole arabe sia nel significato in sé, con l’aiuto del coautore del presente articolo, Alberto De Luca, proveremo a darne una versione più corretta.

Chi ha fatto incidere questa scritta in “caratteri arabici” nel giardino di Saonara? Von Hammer era stato a Venezia tra il 1819 e il 1821 e quindi in tale periodo poteva aver conosciuto personalmente lo Jappelli, architetto e progettista del giardino di Saonara, o il suo committente, il conte Vigodarzere, ma poiché in tale data il von Hammer aveva pubblicato il Mysterium Baphometis revelatum, Schmid Vienna 1818 (una copia del quale si trova a Roma alla Biblioteca Universitaria Alessandrina inv. N° LA 1023749), in cui non è presente la litografia in questione ma una tavola contenente altre figure ritenute da von Hammer come “idoli gnostici” (FIG. 2), non fu probabilmente in questa occasione che lo Jappelli potè venire a conoscenza della litografia del Baphomet.

Fu invece probabilmente l’erede di Vigodarzere, il conte Andrea Cittadella, il quale, come riferisce il cugino Giovanni ne Il giardino di Saonara (Alvisopoli, Venezia 1838), ampliò proprio la grotta dei Templari in un periodo tra il 1833 (data di pubblicazione di un resoconto di visita al giardino scritto da Tullio Dandolo in cui non si parla del Baphomet) e il 1838 (data in cui Giovanni Cittadella stampò il suo testo), ad avere modo di conoscere le Memoires sur deux coffrets gnostiques, pubblicate come si è detto nel 1832.

Bisogna quindi supporre che Andrea Cittadella avesse ragioni particolari per volere questo specifico monumento nella Grotta dei Templari, anche se su ciò si possono fare, a quanto noi ne sappiamo, solo congetture.

POSSIBILI ETIMOLOGIE DEL NOME BAPHOMET

Prima di parlare dei due cofanetti in questione e delle scritte presenti su di essi, vogliamo soffermarci su di alcune possibili etimologie del nome Baphomet.

Nel Medio Evo la parola Baphomet si ritrova in alcuni testi dell’epoca come corruzione del nome di Maometto (Mafomet): si veda ad esempio la sirventese  Ir'e dolors s'es dins mon cor asseza scritta tra il 1265 e il 1266 proprio dal templare Ricaut Bonomel:Bahometz peut mettre en oeuvre toute sa force car il sait faire agir pour lui son Melicadeser”, cioè Maometto (Bafometz) mette in opera tutta la sua potenza per mezzo del califfo Baibars (Melicadeser); in senso lato Baphomet indicherebbe un demone o un dio malvagio.

La parola potrebbe trovare la sua etimologia dal greco βαπτις e μητις “battesimo di giustizia”, uno dei nomi con cui veniva indicato da alcune sette gnostiche cristiane il Battesimo amministrato ai loro adepti, etimologia ripresa anche dal Fulcanelli tra le sue diverse interpretazioni del Baphomet, considerato “emblema delle tradizioni segrete dell’Ordine templare”, oltre quella di “tintura di Luna” da βαφευς tintore e μης o meglio μην luna, sulla base di una lettura alchemica della figura (Le dimore filosofali vol. I, pag. 164 e pag 165 nota 1 - Mediterranee, Roma 1973).  

Al contrario, vi è chi ritiene falsa quest’ultima etimologia e preferisce riportarla all’arabo abufinamat – bufihamat cioè “padre della comprensione”, termine adoperato dai Sufi per indicare il raggiungimento di uno stato di coscienza particolare.

Guenon in Études sur la Franc-massonerie,  rifacendosi a quanto scrive von Hammer in Mémoire sulla possibile derivazione di Baphomet dalla parola araba bahumid con significato di “vitello”, forma sotto la quale viene adorata la divinità da alcune sette gnostiche siro-palestinesi e in particolare dai Drusi, nega l’esistenza di un tale termine arabo, e lo corregge in bahimah, parola che designa l’insieme degli animali, o meglio ancora nell’equivalente ebreo behemoth, plurale di behemah, che Jean Reyor nel suo commento a Études sur l’ésoterisme chrétien di Guenon traduce come “designazione collettiva dei grandi quadrupedi”.

Questa etimologia è particolarmente interessante in quanto proprio nell’ambito della setta degli Ofiti, setta gnostica alla quale von Hammer e Mignard fanno risalire l’eresia dei Templari, è presente un angelo di nome Behemoth, il quale nel “diagramma ofitico” descritto da Origene nel Contra Celsum VI 25 (trad. A. Colonna, UTET Torino 1971 ) è posto al di sotto dei dieci cerchi raffiguranti probabilmente l’insieme della creazione, in opposizione a Leviathan, il drago o serpente, che è dagli Ofiti considerato l’anima mundi, il cui nome è scritto intorno alla raffigurazione dei cerchi. Questo farebbe del Behemoth ofitico una sorta di “materia prima” che sostiene e da cui si origina la creazione.

Un’origine persiana del nome dell’idolo viene data da Blochet (Études sur le gnosticisme musulman, in “Rivista di studi orientali”, agosto 1908), il quale fa derivare il nome bahumid dal persiano, collegandolo al termine iranico vohu-mita, ove vohu significa buono e mita misurato, quindi “ben misurato”, considerandolo quindi  un angelo mazdeo assimilato al Cristo dalle sette gnostiche di derivazione iranica, il cui nome bahumid, per lo scambio frequente tra h e f, è divenuto Baphomet.

Non possiamo sorvolare su di un’ulteriore etimologia, questa volta dal celtico, prospettata da Malvani (Le origini celtiche dell’Ordine del Tempio, in “Revue d’histoire celtique” n° 6), secondo cui, essendo la genesi dell’Ordine del Tempio nella regione anticamente celtica del nordovest francese e fiammingo, è possibile la genesi della parola dal termine anglosassone hoff n mat , “che vuol dire ‘il sapiente opaco’, opaco e dunque morto, ormai entrato nei Regni dell’Al di là”.

Il “sapiente morto” viene connesso da Malvani alla tradizione celtica e germanica delle “teste mozze”, i crani dei cadaveri dei guerrieri e degli sciamani che venivano inchiodati all’ingresso delle abitazioni e ai quali veniva attribuita da questi popoli una totale conoscenza del passato e del futuro, esempio per tutti la testa di Mimir che Odhinn consulta nelle saghe norrene, e che nel caso dei Templari, ciò che Malvani non aggiunge, sarebbe in rapporto con l’esposizione nei loro Capitoli di raffigurazioni della sola testa del Cristo derivata dal lino della Sacra Sindone secondo le ricerche della Frale (I Templari e la Sindone di Torino, il Mulino Bologna 2009).

I DUE COFANETTI

Il lavoro sia di von Hammer che di Mignard verte sull’esame delle immagini presenti su due cofanetti di pietra, il primo, come riferisce Mignard, trovato nel 1789 in Francia, nei pressi di Essarois (Coté d’Or, Borgogna) ed il secondo in Italia, a Volterra, cofanetti le cui immagini sono interpretate dai due autori a sostegno della loro tesi sull’empietà, l’idolatria e le aberrazioni sessuali dei Templari, essendo il von Hammer tra i primi promotori della tesi di un “complotto” contro lo Stato e la Chiesa che risalendo agli gnostici proto cristiani giunse fino ai  Catari, ai Templari e alla Massoneria.

Descriviamo brevemente questi due cofanetti, i quali a detta dei due autori dovevano servire per custodire la testa barbuta dell’idolo attribuito ai Templari: quello di Essarois è in calcare e misura secondo la descrizione di von Hammer cm. 23 di lunghezza per cm. 17 di larghezza e cm. 11 di altezza, mentre lo spessore del coperchio è di cm. 6, quello di Volterra  è di una pietra più fine e misura cm. 25 di lunghezza per 12,5 di larghezza e altrettanti di altezza, ed è mancante di coperchio; ambedue al tempo dei lavori di Hammer e di Mignard, come riferisce quest’ultimo sia in , appartenevano al museo privato del Duca di Blacas.

Queste piccole arche di pietra presentano tutti i lati decorati con sculture raffiguranti strani rituali che gli autori collegano a pratiche gnostiche e che il Duca di Blacas fece a suo tempo litografare per mettere il materiale a disposizione degli studiosi, come precisa von Hammer nella dedica del suo libro al Duca (FIG. 3, 4, 5, 6 per il cofanetto di Volterra e FIG. 7 e 8 per quello di Essarois).

 Perché questi due cofanetti di calcare sono detti “templari”? semplicemente per il fatto che ambedue sono stati scoperti nei pressi di importanti Precettorie templari.

Per quanto concerne quello di Essarois, questo paese (attualmente di soli 93 abitanti) si trova a pochi chilometri da Voulaines, ora nota come Voulaines-les-Templiers, ove i Templari si installarono nel 1163 facendone dal 1175 la residenza del Priore della regione della Borgogna; il cofanetto venne ritrovato nel corso di scavi nel 1789 a circa due chilometri da Essarois, in una località nota nella zona come la Cave e appartenente al conte di Chastenay, fu in seguito acquistato presso un mercante di antichità di Digione e infine comprato dal duca di Blacas. Il luogo di ritrovamento era quindi lontano dalla sede del Priorato templare e solo la fervida immaginazione ed i preconcetti di von Hammer e di Mignard potevano farne a tutti i costi un oggetto templare.

Sul secondo cofanetto le notizie sono più scarse e lo stesso Mignard accenna brevemente nella Suite de la monographie soltanto alla sua provenienza: esso venne trovato a Volterra, ove non è certa la presenza di una sede templare, che si trovava invece a Montelopio in Val d’Era, ma anche in questo caso nessuna prova lega il luogo del ritrovamento con l’Ordine.

Il coperchio del cofanetto di Essarois porta incisa la figura del Baphomet la quale ha ispirato la statua che si trova (o meglio si trovava, essendo ora in pezzi) nel giardino di Villa Vigodarzere-Valmarana a Saonara e che i due autori considerano l’idolo adorato dai Templari, del quale si riferisce in alcune delle confessioni rese (in genere sotto tortura) nel corso del processo.

Per la precisione ricordiamo che nessun idolo del genere è stato mai trovato nelle Precettorie o nelle grancie templari e l’unico episodio che può essere correlato alla esistenza di un “bafometto” avvenne nel corso dell’inchiesta di Filippo il Bello (quindi “a caldo”, quando non sarebbe stato possibile far scomparire testimonianze pericolose), quando Guillaume Pidoye,  tesoriere del Tempio di Parigi, parlò di un “idolo” conservato nel tesoro ed una pronta perquisizione della polizia portò al ritrovamento di un reliquiario femminile d’argento recante la scritta in caratteri latini “58” (probabilmente un numero di inventario e non come alcuni vogliono la testimonianza della esistenza di 58 teste simili, visto anche che delle altre 57 non si è trovata traccia).

Questi cofanetti, i quali presentano analogie con  altri cofanetti, crateri o idoli conservati al Gabinetto di Vienna e presentati da von Hammer nel Mysterium Baphometis revelatum, sono da lui stesso come da Mignard considerati opera di scultori ed incisori europei del XIII sec., come confermano le stesse iscrizioni, le quali non sono state fatte da un incisore arabo, padrone della lingua,  ma da persona scarsamente competente nella lingua, come si comprende dagli errori di ortografia e dalla cattiva incisione di alcune lettere arabe, nonché dal fatto che vengano trasferite in lettere arabe parole latine (cantate) e greche (Mete).

Questi lavori sarebbero stati eseguiti secondo von Hammer in epoca medievale e ciò confermerebbe il suo pensiero circa la sussistenza di eresie gnostiche proto cristiane ancora in pieno Medioevo.

L’ossessione di Mignard per l’attribuzione ai Templari dei cofanetti lo porta a concludere (Suite de la Monographie) che le due iscrizioni lunghe siano ambedue di otto parole, calcolando come tali anche le lettere isolate, per esaltare il numero otto sacro all’Ogdoade degli gnostici e quindi dei Templari!

La prima traduzione che esamineremo, in quanto è la più complessa, è quella del cofanetto di Essarois (FIG. 1): esso reca inciso sul coperchio un inno che costituisce una deformazione diabolica del Cantate Domino ortodosso. L’iscrizione si svolge sui quattro lati della figura senza una precisa indicazione del suo inizio: esaminiamo ora la traduzione riga per riga secondo von Hammer.

L’inno inizia probabilmente dalla linea superiore:

Jah la la Sidna (sarebbe casomai corretto Jahla Sidna): O Dio nostro Signore; la presenza della parola Jahla come nome del dio viene connessa da von Hammer con la deposizione del templare Raimond Rubei, il quale disse che “il suo superiore baciando l’idolo dipinto (depicta figura Baffometi) disse: ‘Yalla’, parola saracena”: costui ha usato lo stesso nome con cui inizia questa iscrizione, quindi, afferma von Hammer, il cofanetto è templare.

Prosegue con la riga a destra della figura:

Houvè Mete Zonar feseba (o sebaa) B Mounkir teaala Tiz

Houvè Mete: Lui, Mete (o Mate) (qui troviamo uno degli errori fatto dall’incisore e rilevato da von Hammer, che man mano sottolineeremo ad uso degli specialisti: il punto sulla Z della parola successiva è posto per errore sul te di Mete).

Zonar: la cintura, la quale sec. Von Hammer è la cintura “dei brahmani e  dei magi adoperata come simbolo dei differenti gradi di iniziazione, simbolo sacro dei Parsi, il che dimostra l’origine persiana di certe sette gnostiche”; la cintura viene da lui messa in rapporto con la “cordicella” che secondo gli inquisitori i Templari portavano intorno alla vita e dalla quale non dovevano mai separarsi. Mignard nella Memoire  riporta l’uso nella Chiesa cristiano orientale di recarsi in chiesa portando una cintura sull’abito, uso presente anche presso i musulmani siriani, per cui in ambedue i casi “togliere la cintura” era segno offensivo o di punizione.

Questa “cordicella”, che compare tra le accuse di idolatria mosse ai Cavalieri nel corso del processo (si veda Barber Processo ai Templari pag. 311, ECIG Genova 1998) è in realtà la “piccola cintura di cuoio da allacciare sopra la camicia” (Molle Statuti cap. 138, in I Templari, la Regola e gli Statuti dell’Ordine, ECIG 1994) che faceva parte dell’abbigliamento del Templare e che si doveva portare anche di notte durante il sonno (Statuti cap. 680).

sebaa B: sette (oppure i sette) e B (che sarebbe per von Hammer iniziale di Barbelo o di Baphomet).

Mounkir: rinnega (von Hammer precisa che la parola “significa un uomo le cui opinioni e la cui condotta sono contrarie a quelle degli ortodossi”).

teaala: sia esaltato (ma rileva von Hammer che se ci fosse un punto sopra l’ultima lettera sarebbe da leggersi “il Totipotente”).

tiz: deretano (scrive von Hammer: “è la parola volgare che si usa in Siria e in Egitto, corrispondente al greco πρώκτος, e chiunque abbia viaggiato in Siria e in Egitto deve conoscere l’imprecazione ‘eiri fi tizek’”, corrispondente al nostro mandare “a quel paese” una persona).

La riga sotto la figura è parola latina scritta in lettere arabe: cantate.

Esaminiamo infine la riga a sinistra della figura:

N neslna kia tanker fiana nach B tiz

N neslna kia: la nostra fu (la N è trasposta rispetto alla parola kia per cui va letta kiane neslna - von Hammer riferisce un’iscrizione analoga presente in un idolo del Gabinetto delle Antichità di Vienna: “la nostra stirpe fu io e i sette”, con riferimento all’Ogdoade gnostica).

Tanker: tu rinnega.

Fiana: ed io (anche qui ci sarebbe una trasposizione di lettere, perché fiana doveva essere dopo neslna e quindi si dovrebbe leggere l’origine mia e nostra (dei sette).

Nach: germinante, che fa nascere; è noto che il fiorire e il fecondare come una delle proprietà del Baphomet sono tra le accuse mosse ai Templari, per cui von Hammer riconosce in questa parola una delle chiavi per l’attribuzione ai Templari del cofanetto.

B Tiz: B(aphomet) deretano: per Mignard le lettere invece vanno lette come TE M, lettere maiuscole che costituiscono per questo autore una trasposizione delle lettere del nome Mete come all’inizio della frase per N neslna kia.

Quindi potremmo riunire queste parole (cosa che von Hammer non fa) traducendo il tutto:

O Dio nostro Signore! cantate lui, Mete, con la cintura dei Sette (Eoni o Primi Angeli) e rinnegate (l’ortodossia) esaltando il deretano (cioè mediante pratiche omosessuali). L’origine mia e nostra (cioè dei Sette) è nel germinare, tu rinnega (l’ortodossia) per il deretano del Baphomet (oppure supponendo un “esaltando” come nella prima parte: esaltando il Baphomet con il deretano).

La traduzione di Mignard riportata nella Memoires si basa invece su di una arbitraria mescolanza delle due frasi  presenti sui lati lunghi del cofanetto di Essarois con quelle dei lati brevi per cui il testo arabo risulta essere nella sua interpretazione: 

Jah la la Sidna! Cantate! Houve Mete nach teaala kiane neslna fiana sebaa. Tanker mounkir tiz zonar

Riportiamo la traduzione in francese di Mignard: O notre Dieu Seigneur! Chantez! que ‘lui l’esprit – la sagesse’ qui fait germer soit glorifié! Notre origine fut et moi avec sept. Reniant en etant contraire a l’orthodoxie le plaisir t’environne.

Il che in italiano sarebbe: Cantate ‘lui lo Spirito-lei la Saggezza’ (in quanto Mignard sottolinea il carattere androgino della figura) che fa germinare, sia glorificato! La nostra origine fui io con i sette. Rinnegando ed essendo contro l’ortodossia il deretano  ti circonda (!?).

Lasciamo da parte i commenti.

La scritta presente nel cofanetto di Volterra si trova su uno dei due lati lunghi (FIG. 4) e consta di due linee che von Hammer traduce:

prima linea (von Hammer la riporta direttamente in francese senza dare la lettura in arabo):

la nostra origine.

fuoco (o parte della parola Zonar e in tal caso da tradurre con cintura).

che fa nascere (anche qui le lettere arabe sono trasposte).

Mete (anche qui trasposte in te me).

seconda linea:

Neslna : sette furono.

Mounker o Mounkeri : che rinnegano (se si aggiunge la lettera ya successiva, che von Hammer traduce in francese con reniant).

ya B  (per von Hammer ya potrebbe anche esser parte della parola “che germina” della linea superiore o della parola precedente Mounker e B starebbe per Baphomet, oppure ancora ritiene si possa leggere il tutto insieme come Tiz : deretano).

Quindi: Il Mete che fa germinare ha la nostra origine nel fuoco (o nella cintura) – i sette furono (coloro) che rinnegano per il deretano.

Von Hammer riporta l’iscrizione su di un bassorilievo appartenente al Gabinetto delle Antichità di Vienna molto simile a quelle ora tradotte per comprovare la comune origine del cofanetto francese con quelli orientali:

Sia esaltato il Mete che genera, la nostra stirpe fummo io e i sette, tu rinnegando fai ritorno all’ano (il testo dato da von Hammer è in latino: Exaltetur Mete germinans, stirps nostra et ego septem fuere, tu renegans reditus proktos fis).       

UNA TRADUZIONE ALTERNATIVA DEL COFANETTO DI ESSAROIS

Riteniamo sia il caso a questo punto  di presentare l’analisi e la traduzione dell’iscrizione di Essarois secondo il nostro coautore Alberto De Luca, del quale riportiamo anche alcune considerazioni.

Una sommaria lettura delle iscrizioni presenti sui lati della misteriosa figura, permette di concludere che le frasi composte da parole arabe, presenti lungo i suoi lati lunghi, tradiscono alcune alterazioni nella loro struttura ortografica e soprattutto rivelano una scarsa coerenza grammaticale, dovuta probabilmente ad una carente padronanza della lingua araba. A questo si accompagna pure una difettosa conoscenza della religione araba, che si palesa in special modo nell’iscrizione sopra la testa della figura. L’uso della frase “O Signore Iddio”, infatti, non è assolutamente arabo, ma piuttosto cristiano: nella tradizione musulmana il nome di Dio (Allâh) non è mai accompagnato dal sostantivo “Signore” e meno che meno gli viene associato un esortativo enfatico come “yalla”.

L’arabo è stato quindi deliberatamente usato per velare il testo ed il suo significato.

Ne derivano quindi ulteriori considerazioni: chi ha potuto scrivere tutto ciò, cosa significano in sé queste iscrizioni e soprattutto come leggerle?

L’autore potrebbe essere stato una persona che ha vissuto in Medio Oriente oppure che ha intrattenuto rapporti commerciali o culturali con persone provenienti da questa zona. In mancanza, però, di una datazione certa del reperto, su cui è incisa l’immagine, non è possibile nemmeno essere sicuri in merito alla sua provenienza, tanto che la supposizione precedente in merito all’autore deve essere ascritta alla mera probabilità.

Il significato delle iscrizioni è il risultato della loro traduzione (che vedremo tra poco) e della loro contestualizzazione. A questo proposito, va detto che se la traduzione, ancorché non semplice, può essere effettuata, l’incertezza che circonda la datazione ed il luogo di creazione potrebbe pregiudicarne la contestualizzazione, addirittura fino ad infirmarne una corretta comprensione. Fin tanto che non si sarà riusciti a risolvere i problemi annessi alla datazione ed alla localizzazione dell’oggetto, rimangono come possibili (ma non probabili) le opzioni gnostiche e la loro ricezione in ambito templare.

Come leggere le iscrizioni? C’è sicuramente un senso da rispettare nella loro lettura e questo non può essere piegato inopinatamente alle esigenze del “traduttore”. Cosa che invece sembra sia accaduta con il Mignard. Guardando, quindi, la figura, sono possibili quattro “direzioni di lettura”: senso orario, senso anti-orario, senso secondo il segno della Croce fatto all’orientale dal punto di vista di chi guarda la figura oppure lo stesso senso ma considerato dalla parte della figura.

La più interessante possibilità è forse l’ultima: segno della Croce assunto dal punto di vista della figura; secondo questo senso di lettura possiamo tradurre:

O Signore Iddio (sopra), Lui il Mete dalla cintura dei 7 eoni, Colui che non si comporta conformemente, (ne - aggiunto da noi) sia esaltato il deretano (ns. destra), cantate (sotto), la nostra origine rinnego, fecondando il deretano (ns. sinistra).

Oppure altra traduzione possibile: O Signore Iddio (sopra), o Lui che è il Mete dalla cintura dei 7 eoni, sia esaltato il deretano di Colui, che non si comporta in maniera ortodossa (ns. destra), cantate (sotto), fecondando il deretano rinnego la mia (propria) origine (ns. sinistra).

Alcune spiegazioni sono necessarie: mounkir è participio presente ed indica “chi non si comporta correttamente”, quindi in senso lato “normalmente”, adducendo quindi una diversità; fiane va collegato a tanker e non a neslna come fa von Hammer.

La “nostra origine” starebbe per la normale origine umana, derivante dall’unione di maschio con femmina, considerata cosa turpe dalle sette gnostiche ad impronta manichea, in quanto conduce alla perpetuazione dell’uomo in questo mondo terreno, creato dagli Eoni delle tenebre avversari del mondo della luce, per cui “rinnegando” questa generazione, “fecondo il deretano”, il che indica chiaramente la dispersione del seme e l’omosessualità.

Le possibili asserzioni che ci sentiamo di fare: il testo è stato scritto, in ogni caso, da chi aveva una certa conoscenza dell’alfabeto arabo (diretta o riflessa) anche se non della sua grammatica; non è propriamente musulmano ovvero non appartiene ad una corrente musulmana proprio a causa dell’utilizzo di quella forma sita sopra la testa della figura; il contenuto delle iscrizioni è volutamente blasfemo e certamente omosessuale: se la setta si fosse limitata a rinnegare l’unione sessuale regolare avrebbe scelto la castità, come i Càtari, e non necessariamente l’uso del deretano.

In tutta l’iscrizione, ovviamente, non vi sono assolutamente elementi per affermare che queste iscrizioni siano “templari”.

CONCLUSIONI

Certo non è facile in un breve articolo trarre conclusioni su di un argomento così complesso, nel quale si dovrebbe anche trattare, ad esempio, della effettiva presenza o meno di un idolo chiamato Baphomet presso i Templari, visto che al momento le ricerche consentono di sostenere che la “testa” o  “idolo” di cui si parla nelle deposizioni (ricordiamo ancora una volta, estorte con la tortura nel gran maggioranza dei casi) siano in realtà o il volto del Cristo della Sacra Sindone, più volte ripiegata in modo da mettere in mostra solo tale parte, oppure, e ciò è certo in molti casi, reliquiari fatti a forma di busto o sola testa del Santo (si ricordi ad esempio la particolare devozione dei Templari per San Giovanni Battista, decollato da Erode).

Probabilmente si faceva uso anche di piccoli reliquiari in forma umana intera, stando alla deposizione di Cecco di Nicola di Lanciano (in Bramato Storia dell’Ordine dei Templari in Italia vol. II pagg. 40 ss., Atanòr Roma 1994), in cui il Templare, inviato da Roma alla Precettoria di Torremaggiore in Puglia, viene costretto a rinnegare il Crocefisso e ad adorare “un idolo che gli sembrò di metallo, la cui forma era quella di un bambino in piedi e la cui grandezza era quasi di un cubito” (“ydolum quod sibi videtur erat de metallo, cuius forma erat ad similitudinem unius pueri erecti stanti et statura ipsius ydoli erat quasi cubitalis”) , atto che, dice il Precettore, non gli era stato fatto fare il giorno del suo ingresso nell’Ordine a Roma “luogo in cui non era possibile mostrare né dire tali cose” (“in loco ubi non potuerunt tibi ostendere nec dicere ista”).

Ritorniamo al Baphomet di von Hammer e di Mignard: come si è detto nessuna prova esiste di una diretta connessione con l’Ordine del Tempio se non una prossimità tra il luogo dei ritrovamenti e le Precettorie più vicine, né in tutta la storia dell’Ordine vi sono tracce certe di questi usi eretici, tantomeno nei documenti ufficiali quali la Regola e gli Statuti.

La presunta Regola templare trovata nel 1877 da Mertzdorff ad Amburgo, in cui tra l’altro si stabilisce, all’art. 19, come eseguire procedimenti alchemici, è ovviamente un falso (l’originale del manoscritto ritrovato scomparve misteriosamente, per cui rimane solo la pubblicazione a stampa di Mertzdorff), e fortunatamente non fu conosciuta da von Hammer né da Mignard, i quali l’avrebbero usata per consolidare le loro accuse ai Templari. Altrettanto dicasi di altre presunte Regole templari, quale quella attribuita ad un Gran Maestro Roncelin de Fos, mai stato Gran Maestro ma solo Precettore di Provenza e poi di Inghilterra.

La traduzione del testo del coperchio di Essarois sembra incentrare tutta la venerazione del Mete sull’utilizzo diremo non corretto del deretano: un’affermazione del genere potrebbe trovare riscontro in sette gnostiche affini, ad esempio, a quella dei Barbelognostici, dei quali è noto (almeno per quanto ci è giunto su di loro per mezzo dei loro avversari più feroci, gli autori cristiani del II e III secolo) l’uso di pratiche sessuali indiscriminate, sia secondo che contro natura, ma non in quella degli Ofiti, alla quale von Hammer cerca di ascrivere i Templari. Origene, che pure dimostra di conoscerli bene possedendo “materiale riservato” proveniente dalla setta, di tutto li accusa fuorchè di pratiche sessuali.

La cattiva ortografia araba in cui sono scritti i due testi e la scorretta grammatica adoperata, nonché l’uso di titoli inappropriati quali il “Signore Dio”, come sopra si è detto, farebbero pensare ad un falso di epoca molto lontana da quella dei Templari, i quali, ed in particolare quanti avevano vissuto in Palestina tanto a lungo da potersi essere legati ad eresie gnostiche siriane o ancor di più a sette musulmane, certamente avevano una buona conoscenza sia della grafia che dell’uso dei termini (altrimenti difficilmente avrebbero potuto traviarsi leggendo testi islamici, i quali a quel tempo non erano certo stampati in traduzione francese…).

Quindi riteniamo ci siano più prove contro che a favore di un’appartenenza di questi cofanetti ai Templari, anche se rimane sempre aperta la possibilità che un piccolo gruppo di deviati in seno all’Ordine celebrassero cerimonie segrete al di fuori delle Precettorie.

Che l’Ordine templare in quanto tale sia stato un centro di eresia e di degenerazione crediamo vi siano tutte le evidenze per negarlo, non solo per gli atti di eroismo compiuti dai suoi Cavalieri ma anche per la semplicità dei loro costumi di vita quale è attestata nei documenti autentici dell’Ordine: pertanto va secondo il nostro parere rifiutata ogni credibilità alle tesi di von Hammer e di Mignard e di quanti, ancora oggi, ne utilizzano gli scritti per ingigantire i falsi miti che oscurano la pura realtà dei Cavalieri del Tempio.

Nota: I due bassorilievi delle foto 5 e 6, il 'Battesimo di Acqua' e il 'Battesimo di Fuoco', sono stati riprodotti dallo Jappelli nel Sepolcreto dei Templari della Villa Vigodarzere a Saonara e ne abbiamo dato la spiegazione nel precedente articolo Parte II. Rispetto alle incisioni del von Hammer è stata fatta un'aggiunta, una cicogna (almeno Giovanni Cittadella così la descrive) nel secondo bassorilievo