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I 26 assassini del leader di Hamas ora sono tutti in Israele.

di Umberto De Giovannangeli - 28/02/2010

C’è anche il dna di uno dei killer. L’Australia convoca l’ambasciatore israeliano
La polizia di Dubai accusa «Il Mossad ha ucciso Mabhouh»
Nella spy story sull’assassinio del dirigente di Hamas gli indizi puntano sul Mossad. «Quel che è sicuro è che oggi la maggior parte dei killer i cui nomi sono stati resi noti è in Israele», dice il capo della polizia di Dubai.


Il capo del Mossad, Meir Dagan, dovrebbe assumersi la responsabilità dell’omicidio del dirigente di Hamas Mahmoud al-Mabhouh, ucciso il 20 gennaio scorso in un albergo del Dubai. A sostenerlo è il capo della polizia dell’emirato, Dhahi Khalfan, che ha affermato di avere «la prova irrefutabile del Dna di uno degli assassini», così come le impronte digitali di numerosi altri sospetti. «Dagan deve ammettere il crimine o fornire una smentita categorica al coinvolgimento dei suoi servizi, ma il suo atteggiamento è quello di una persona che ha paura», rimarca Khalfan, intervistato dal quotidiano governativo Emarat Al-Youm: «Oggi la maggior parte dei killer i cui nomi sono stati resi noti si trova in Israele».
PROVE E SOSPETTI
Fino ad ora il Mossad ha sottolineato come non vi siano prove di un suo coinvolgimento nell’operazione, sebbene la stampa israeliana mostri pochi dubbi riguardo alle responsabilità dell’omicidio; la vicenda ha sollevato molte polemiche perché almeno 26 killer avevano con sé dei passaporti falsi di Paesi dell’Ue i cui nominativi corrispondevano tuttavia a persone realmente esistenti, vittime quindi di un furto d’identità: 12 britannici, sei irlandesi, quattro francesi e un tedesco, oltre a tre australiani. I nomi di almeno otto dei 26 sospetti che la polizia di Dubai collega all’omicidio del comandante di Hamas Mahmoud al-Mabhouh, corrispondono a quelli di altrettante persone che risiedono in Israele, avvalorando ulteriormente la tesi di un diretto coinvolgimento dello Stato ebraico nell’assassinio che si ritiene sia opera degli agenti del Mossad. Cinque degli otto nomi sono negli elenchi telefonici israeliani: Philip Carr, Adam Korman, Gabriella Barney, Mark Sklar e Daniel Schnur. Il ministero degli Esteri australiano, da parte sua, ha comunicato che altri due nomi, Nicole Sandra McCabe e Joshua Daniel Bruce, sono di australiani che vivono in Israele. L’ottavo, Roy Cannon, corrisponde a quello di un uomo emigrato in Israele dalla Gran Bretagna nel 1979. Il figlio di Cannon, Raphael Cannon, ha dichiarato all’Associated Press che il vero passaporto del padre è in suo possesso e che quello usato a Dubai ha la foto di uno sconosciuto. L’intrigo coinvolge anche l’Italia. Secondo la polizia di Dubai, 8 membri del commando omicida sono partiti da qui, 6 da Fiumicino e 2 da Malpensa.
L’affaire Dubai-Hamas deflagra in crisi diplomatica. Che dagli Emirati raggiunge l’Australia: l’ambasciatore israeliano è stato convocato per l’uso di passaporti australiani da parte dei membri della squadra assassina. «Uno Stato che si rende complice nell’uso o nell’abuso del sistema di passaporti australiano, per non parlare del fatto che stia per compiere un omicidio, tratta l’Australia con disprezzo, e ci sarà perciò un’azione di riposta del governo australiano», dichiara il premier australiano Kevin Rudd.
«GLI SQUADRONI DELLA MORTE»
Sul Times un «ex agente del Mossad» assicura che Israele ha già usato «in un certo numero di occasioni» i passaporti europei di israeliani con doppia cittadinanza. «Nella mia esperienza ha detto abbiamo utilizzato passaporti di cittadini britannici». In Israele si levano voci critiche, tra cui il columnist di Haaretz Gideon Levy . A chi difende le operazioni condotte dal capo del Mossad, Meir Degan, e al il ministro degli Esteri Avigdor Lieberam che ripete «Non c’è un solo elemento, una sola informazione che indichi un coinvolgimento di Israele», Levy ricorda sull’ultimo numero di Internazionale che «il Mossad dovrebbe raccogliere informazioni, non uccidere, e che uno Stato di diritto non usa gli squadroni della morte...». Una riflessione coraggiosa. Impietosa. «Possiamo anche capire il desiderio di vendetta scrive ancora Levy e la necessità di fermare il contrabbando di armi a Gaza. Possiamo addirittura continuare a ignorare che la vera causa del terrorismo è l’occupazione israeliana. Ma dopo l’eliminazione di Mahbouh con un cuscino, ci ritroviamo in un Paese che manda in giro i killer senza che nessuno faccia domande».