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E impariamo a contare le stelle

di Simone Olla - 01/03/2010

 
 
 

Se la grafosfera ha generato lo Stato educatore e la videosfera lo Stato seduttore, la websfera ha realizzato lo Stato sconfinato, ovvero la scomparsa dello Stato moderno: il confine politico e geografico dello Stato-Nazione si è trasformato in un labirinto reticolare senza inizio né fine: il centro è dappertutto e in nessun luogo. Abbiamo superato la modernità per entrare in una nuova epoca, quella delle reti, nella quale lo Stato simula la sua esistenza in tempo reale. La realtà è al suo culmine (Jean Baudrillard). La tecnica continua il perfezionamento oggettivo della realtà, la sua pulitura: siamo nell’eccesso di realtà, nel virtuale: siamo nella mancanza di realtà.
La postmodernità è un’immensa rete che ha connesso il mondo interfacciando luoghi e persone fisicamente lontani, annullando spazio e tempo, dove l’orizzontale si manifesta in termini di possibilità politico-democratica garantendo l’accesso a informazioni che non provengano da giornali, radio o televisioni: il potere statale di emettere informazioni è sostituito da un (potenziale) potere individuale: l’uomo-massa finalmente libero (libero?) sperimenta la fusione tra medium caldi e medium freddi. Osserva Marshall McLuhan: «L’ibrido, ossia l’incontro tra due media, è un momento di verità e di rivelazione dal quale nasce una nuova forma.» Ecco internet: un ponte per tornare al luogo e quindi all'uomo, un’uscita dalle masse, una presa di coscienza "virtuale" della necessaria socialità dell'essere umano, una fase di transizione nella quale ripensarci dal confronto, pensarci artefici di senso e di mondi possibili. E invece questo ponte pare essersi chiuso su se stesso, in una ruota, una ruota panoramica dalla quale si vede tutto, comodamente seduti, ancora una volta spettatori: internet è un acceleratore di infinite informazioni che vicendevolmente si riducono all’unico – al medium stesso – dentro uno spazio-tempo annullato. Caos dell’istante. È l’immediatezza del virtuale – il tempo reale – che eccede la realtà. Non v’è immaginazione. Tutto è dato senza poter essere accettato, manca il tempo che sospende la risoluzione. Manca il ritardo: «Una vera comunicazione – sostiene Alain de Benoist – presuppone sempre un effetto di differimento, di ritardo nella trasmissione, di sfasamento temporale fra l’emittente e il diffusore, necessario alla riflessione su ciò che è oggetto di comunicazione.» Per Baudrillard tempo reale e regola simbolica dello scambio sono incompatibili: «Ciò che regge la sfera della comunicazione (interfaccia, immediatezza, abolizione del tempo e della distanza) non ha alcun senso in quella dello scambio, dove la regola vuole che quanto è dato non sia mai restituito immediatamente.»
Nell’epoca delle reti risulta doveroso aggiornare la distinzione di Marshall McLuhan fra media caldi o di alta definizione (radio o cinema) e media freddi o di bassa definizione (telefono o TV), sia perché l’Alta Definizione caratterizza di per sé l’epoca delle reti, sia perché Internet costituisce la sintesi definitiva di tutti mezzi di comunicazione di massa. L’uno è tutto. L’omogeneo passa attraverso la rete, e ad esso corrisponde la più bassa definizione del messaggio.
L’uomo è un essere parlante condizionato dalla potenza del medium: uscire dal discorso significa per prima cosa uscire dal discorso di massa, degradante perché subìto e uniformante perché di massa. Pretendere di affermare qualcosa è impossibile, l’uomo è parlato: egli interiorizza stimoli attraverso i sensi e li sputa fuori in forma di comunicazione: maggiore è la potenza del medium che induce questi stimoli e maggiore sarà il condizionamento che l’uomo ne avrà. La potenza del medium risiede completamente nella legittimità sociale accordatagli dalle masse. Basta la potenza, la legittimità sociale. Basta il medium, il messaggio gli viene dietro. I media sono la divinità senza volto della società occidentale (Alexandre Zinoviev).
Il medium di massa ha creato la cultura di massa. La cultura di massa è tensione verso l’unico, l’omogeneo, l’indifferenziato. La riduzione dell’immaginario singolare bilancia l’avanzare dell’unico immaginario possibile: la tecnologia è auto amputazione dell’uomo, perdita: l’uomo recide – affidandosi – senza avvertire l’assenza. L’energia elettrica, per prima, ha oscurato l’assenza illuminando il buio naturale. E, dall’energia elettrica, è stata continua la mutilazione del corpo umano inteso come mezzo – medium. Perché mutilarsi, cedersi, privarsi? Per sentirsi parte di un tutto? Fosse anche l’unico-tutto possibile? Quale uomo opporre all’uomo frammentato della cultura di massa? Quest’ultimo, affidando il senso alla cultura di massa – quindi al medium –, si pone in una situazione di costante dipendenza: il senso, paradossalmente, risiede nel vano tentativo di bastarsi singolarmente. Il senso è la ricerca dell’unico bastevole senso. Tuttavia: com’è possibile cercare l’indipendenza dentro uno stato di perenne dipendenza?
La necessaria socialità dell’uomo è soddisfatta dal farsi dire indotto: non si sfugge nemmeno dalla macchinazione sociale. L’unica possibilità dell’esserci è nell’atto, di volta in volta, liberati perfino dal discorso. Il passaggio al bosco jungeriano in questo senso è un’ipotesi di liberazione, abbandono, oblio: praticare il deserto per poi tornare all’uomo e al luogo nel contempo: via dall’atomizzazione di massa che uniforma per sottrazione dell’uomo, via dalla massa umana.
Essere un numero del meccanismo o avere un destino è la decisione che sta davanti a tutti, ma che ciascuno deve prendere da solo (Ernst Jünger). Essere un numero del meccanismo o spegnere tutte le luci. Essere complice del meccanismo o toccare la finitezza del luogo e imparare a contare le stelle.

[tratto da La voce del ribelle 9 - giugno 2009]