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Quali interlocutori per la Decrescita?

di Filippo Schillaci - 02/03/2010

 

 

Durante un recente incontro sulla Decrescita a Milano vi fu una discussione su quali potessero essere – e non essere – i nostri giusti interlocutori, soprattutto con riferimento all’orientamento politico. Una esponente di un partito della Sinistra intervenne invitando i sostenitori della Decrescita a impegnarsi nell’ambito della Sinistra, altri sostennero una sorta di trasversalismo politico; ci fu chi notò che è la Destra che propone le centrali nucleari, gli inceneritori, le cosiddette “grandi” opere e ci fu chi notò che la Sinistra non fa nulla per impedirlo.

E’ nota la tesi di Maurizio Pallante secondo cui Destra e Sinistra condividono la caratteristica di essere, sul piano economico, ideologie fondamentalmente sviluppiste. E non è strano che lo siano perché entrambe sono nate, e hanno formato i loro modelli culturali, nell’ottocento, quando l’attenzione era posta sui temi economico-sociali e si era ancora lontani dal raggiungimento di quei limiti biofisici degli ecosistemi che nel secolo successivo avrebbero posto con forza il tema ambientale, ovvero la necessità di acquisire una visione che oltrepassasse i confini della società umana. Destra e Sinistra sono dunque entrambe inadeguate a fornire risposte alla situazione contemporanea in cui sta accadendo qualcosa che non ha precedenti nella storia della Terra: il superamento della capacità portante della biosfera da parte di una delle specie animali che la popolano. Rimane da capire se lo sono in eguale misura e, soprattutto, irrimediabilmente.

Pallante sostiene che la Destra è, nel perseguire il modello sviluppista, più efficiente della Sinistra perché ha minori preoccupazioni relative alla giustizia sociale, preoccupazioni che sottraggono risorse al reinvestimento dei capitali. E questo può senz’altro spiegare il successo del liberismo capitalista cui stiamo assistendo a livello mondiale. Vorrei giungere a dire che il perseguimento della giustizia sociale all’interno di un modello sviluppista rappresenta una contraddizione insanabile della Sinistra, lì dove la Destra presenta invece una perfetta e funzionale coerenza. Voglio con ciò affermare che, potenzialmente, questa è una fertile contraddizione.

Durante una recente conversazione feci notare a Pallante che tale contraddizione era stata superata dalla Scuola di Francoforte nella direzione di una efficace critica al modello sviluppista [1]. Egli obiettò tuttavia che la Sinistra è rimasta fedele all’impostazione classica del marxismo piuttosto che aderire alla Scuola di Francoforte e dovetti dargli ragione. Possiamo anche comprenderne il motivo: non sono i filosofi a fare la Storia; se le tesi di Marx e Engels sono uscite dai manuali di filosofia e hanno pervaso una fetta consistente della Storia del mondo è stato perché esse sono state tradotte in azione politica da Lenin, che non era un filosofo bensì un uomo d’azione. Alla scuola di Francoforte è mancato il suo Lenin e la Sinistra è dunque tuttora immersa nella sua storica contraddizione. Ma proprio questa contraddizione potrebbe rivelarsi, dicevo, un fertile terreno di coltura per le idee della Decrescita qualora la Sinistra riuscisse finalmente a fare tesoro della lezione francofortese. All’invito di quell’esponente della Sinistra presente all’incontro milanese si può dunque rispondere con un simmetrico invito, rivolto a chi si identifica in quell’area politica, a superare la contraddizione classica verso una rilettura del marxismo alla luce e in funzione delle nuove problematiche mondiali. La teoria c’è: rimane da costruire il progetto politico.

Il paradigma della Decrescita dunque, essendo, almeno per l’occidente, un pensiero nuovo per una situazione nuova, non può collocarsi all’interno di schemi politici convenzionali; esso deve collocarsi piuttosto su un piano metapolitico, in cui si mettono in soffitta concetti convenzionali come “reazionario” e “progressista” sostituendoli con altri derivati dal funzionamento degli ecosistemi, quali ”stato climax”, “sistema in equilibrio”, eccetera.

Sia chiaro: parlare di piano metapolitico non significa parlare di trasversalismo, che è ancora interno al panorama politico esistente qui e adesso: trasversalismo significa estrarre frammenti eterogenei da un miscuglio di inadeguatezze ideologiche anziché sceglierne una e puntare tutto su di essa. Piano metapolitico significa invece agire all’interno della società costruendovi fra le persone nuove forme di aggregazione e di azione. Un nuovo modello culturale che trascenda i limiti della critica dell’economia e inserisca l’uomo in una equanime visione biocentrica.

[1] Aggiungo che alla Scuola di Francoforte si deve anche una altrettanto forte critica del modello culturale antropocentrico. Una coincidenza non casuale essendo sviluppiamo e antropocentrismo due aspetti di una stessa cosa