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Cari Alesina e Ichino, perché avete venduto la famiglia al PIL?

di Marco Cobianchi - 17/03/2010

 

bamboccioni

Alberto Alesina e Andrea Ichino, in un articolo pubblicato dal Sole 24Ore domenica 7 marzo, replicano alle osservazioni critiche al loro ultimo libro, L’Italia fatta in casa. La replica merita una risposta. Semplificando, le tesi del libro sono due:

 

 

1) La famiglia italiana contribuisce poco alla crescita economica del Paese perché molte delle attività che in altri Paesi vengono svolte dal mercato (cura dei figli, pulizia, cucina) in Italia vengono svolte in casa. Dalle donne in particolare. Se si vuole aumentare il contributo della famiglia al Pil occorre fare uscire le donne di casa e la strada migliore è detassare il loro lavoro.

2) La famiglia italiana è spesso un freno alla meritocrazia e alla mobilità geografica dei giovani che preferiscono non muoversi da casa (o muoversi ma nel raggio di un chilometro da casa) potendo godere delle sicurezze dei genitori (reddito “certo”, cassa integrazione). Perciò per indurre i figli a uscire di casa occorre togliere un po’ di sicurezza ai padri.

L’argomento più interessante contenuto nell’articolo del Sole (assai più moderato rispetto al libro) consiste nel fatto di considerare la famiglia come “produttrice di beni e servizi tra cui, in particolare, l’assicurazione contro la disoccupazione […]. Un ruolo che richiede la protezione assoluta del reddito del capofamiglia maschio a cui lo Stato garantisce dunque il lavoro o comunque il potere d’acquisto mediante la cassa integrazione e, nella peggiore delle ipotesi, il traghettamento senza troppi traumi alla pensione anticipata”. Questo sistema di welfare danneggia i giovani, i quali “fanno e faranno sempre più fatica a trovare un impiego”, perché poco disposti a spostarsi causando “l’immobilità geografica” che “rende il Paese meno efficiente”.

È del tutto evidente che la divergenza riguarda temi valoriali. Ovvero: è la famiglia che deve essere utile all’economia o è l’economia che deve essere utile alla famiglia? Detta altrimenti: è più utile introdurre modifiche all’interno della famiglia per sostenere la produttività del mercato o è meglio introdurre modifiche all’interno del mercato al fine di sostenere la famiglia?

Io sono per il secondo approccio, Alesina e Ichino per il primo. Aggiungo subito, a scanso di equivoci, che essere pro-famiglia non significa essere anti-mercato: questo è l’equivoco culturale di fondo dal quale una certa cultura economica deve ancora liberarsi. Diamogli tempo. Ma sono le proposte concrete che non reggono alla prova dei fatti.

Fonte: ilsussidiario.net.