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Iraq, I seguaci di Muqtada al Sadr escono più forti dalle elezioni

di Anthony Shadid - 21/03/2010





Il movimento sadrista si profila come uno dei grandi vincitori delle elezioni irachene – scrive il giornalista americano Anthony Shadid

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I seguaci di Muqtada al-Sadr, un religioso radicale che ha guidato l’insurrezione sciita contro l’occupazione americana, sono usciti dalle elezioni della settimana scorsa come l’equivalente iracheno di Lazzaro, sconfiggendo le previsioni di rito riguardanti la loro fine, e ora minacciano di modificare gli equilibri di potere nel Paese.

Il loro apparente successo alle elezioni parlamentari del 7 marzo – forse sono il secondo maggiore raggruppamento sciita, superato solo dai seguaci del Primo Ministro Nuri Kamal al-Maliki – sottolinea un’evidente tendenza nella politica irachena: il crollo del sostegno a molti ex-esuli che hanno collaborato con gli Stati Uniti dopo l’invasione del 2003.

Sebbene i rivali abbiano screditato la campagna elettorale dei sadristi, documenti e interviste mostrano una disciplina senza precedenti, che ha spinto il gruppo sull’orlo di quella che forse è la sua maggiore influenza politica in Iraq.

Questo risultato completa il sorprendente ciclo di un movimento populista che ha ereditato il mantello di un ayatollah assassinato (il grande Ayatollah Muhammad Sadiq al-Sadr, padre di Muqtada, fu assassinato nel 1999, probabilmente dal regime di Saddam (N.d.T.) ), e poi ha forgiato una cultura marziale nella sua lotta contro l’esercito americano nel 2004.

Dopo anni di sconfitte, frammentazioni, e dubbi sollevati persino dai suoi stessi esponenti religiosi riguardo alle sue prospettive per queste elezioni, il movimento ha aderito al processo politico, pur rimanendo sempre fermamente contrario a qualunque legame con gli Stati Uniti. Non è mai stato facile formare un nuovo governo nel periodo postelettorale, e l’imprevedibilità dei sadristi, così come la loro ritrovata fiducia, adesso potrebbe rendere molto più complicata questa operazione.

“Così come aumenta la nostra presenza in parlamento, altrettanto farà il nostro potere”, ha detto Asma al-Musawi, una deputata sadrista. “Presto rivestiremo il ruolo che ci è stato assegnato”.

Durante la preghiera del venerdì un fedele si è espresso in termini ancora più espliciti.

“Oggi è il nostro giorno”, ha gridato a centinaia di sostenitori riunitisi fuori della sede del movimento, in un fatiscente sobborgo che porta il suo stesso nome, Sadr City, dove i cavi elettrici sono ingarbugliati come ragnatele, e il malcontento ribolle da un calderone di povertà, rabbia, e frustrazione.

I risultati delle elezioni non sono ancora definitivi, e in base a una complicata formula per l’assegnazione dei seggi la percentuale dei voti potrebbe non riflettere necessariamente i numeri reali nel parlamento composto di 325 membri.

Ma gli avversari così come gli alleati ritengono che i sadristi potrebbero ottenere più di 40 seggi. Con tutta probabilità, ciò li renderebbe il vero partito di maggioranza all’interno dell’Alleanza Nazionale Irachena (INA), una coalizione a prevalenza sciita nonché diretta concorrente di Nuri al-Maliki. Se le cifre saranno confermate, i sadristi potrebbero disporre di un blocco all’incirca dello stesso peso politico dei kurdi, che sono stati l’ago della bilancia nelle coalizioni di governo fin dal 2005.

Solo a Baghdad, il cui voto è decisivo per le elezioni, 6 candidati sadristi, molti dei quali perfetti sconosciuti sul piano politico, sono emersi tra i 12 più votati.

“Non possono essere esclusi”, ha detto un funzionario occidentale avvalendosi dell’anonimato, secondo il classico protocollo diplomatico.

Cercare di ignorare i sadristi si è dimostrato un leit-motiv dell’Iraq degli anni successivi all’invasione. Nei caotici mesi del 2003, i responsabili americani hanno regolarmente deriso Sadr, additandolo come un uomo venuto su dal nulla e come un fuorilegge, inconsapevoli del mandato che egli aveva assunto dal padre, l’ayatollah Muhammad Sadiq al-Sadr, il cui ritratto è ancora appeso negli uffici, nelle case, e nelle officine dei suoi seguaci. L’ayatollah fu assassinato nel 1999.

Questa inimicizia esplose in un aperto combattimento per due volte nel 2004, a Baghdad e a Najaf. Quattro anni dopo, il movimento, accusato di alcuni dei peggiori massacri a sfondo settario nella guerra civile, fu sconfitto dall’esercito iracheno, con il decisivo aiuto americano, solo per risorgere nelle elezioni provinciali dello scorso anno.

Molti politici adesso lo vedono come una componente del processo politico, sebbene sia un movimento con un acuto senso della piazza e con la propensione a modellarsi come un movimento di opposizione.

Nel corso di questi anni, Sadr, che adesso sta studiando in Iran per diventare ayatollah, ha subito una trasformazione. Nei primissimi giorni dell’occupazione, non possedeva nessuna particolare disinvoltura. Calcava il suo turbante nero sulla fronte, in un modo un po’ scomodo, e curvava la schiena in una postura tozza e tarchiata. 

Questo mese, durante una conferenza stampa dall’Iran, si è espresso con toni molto più vigorosi. Ormai 36enne, sicuro di sé, con qualche striatura grigia nella barba, ha parlato volutamente in un arabo garbato quanto semplice, con una disinvolta indifferenza per le domande dei giornalisti, tipica degli arroganti.

Il movimento sadrista è celebre per le affermazioni criptiche sulle proprie intenzioni, eppure in passato ha fatto parte di alcuni governi pur rifiutando il processo politico. Questa volta, nel modo più chiaro possibile, Sadr ha insistito affinché i suoi seguaci andassero a votare.

“Questo sarà il passaggio necessario per la liberazione dell’Iraq, per scacciare l’occupante, e per un’altra cosa importante, servire il popolo iracheno”, ha detto.

Il successo dei sadristi ha aggiunto confusione ad uno scenario già sufficientemente preoccupante, intorbidato dalle illazioni su quale coalizione formerà il prossimo governo. Maliki potrebbe essere il grande sconfitto. Sebbene una volta lo abbiano sostenuto, i sadristi adesso dichiarano un disprezzo viscerale per Maliki, a cui danno la colpa per la campagna militare del 2008 contro di loro.

Sami al-Askari, un deputato alleato di Maliki, li ha definiti “preoccupanti”.

“Ignorarli è un problema”, ha detto. “Coinvolgerli nel governo è un altro problema. Sono imprevedibili, e nessuno può intuire la loro prossima mossa”. Essi sembrano sicuri, per giunta, di eclissare i vecchi leader sciiti che sono rientrati dall’esilio nel 2003, e coi quali i sadristi sono nominalmente alleati.

Nel gennaio 2009, il Supremo Consiglio Islamico dell’Iraq (SIIC), un partito guidato da un’altra storica famiglia di religiosi, ottenne un numero di voti superiore ai sadristi.
Questa volta, si ritiene che il SIIC abbia avuto una performance così scarsa che potrebbe essere obbligato a uscire dall’INA e ad unirsi a Maliki per mantenere il suo peso politico.

Come minimo, i sadristi hanno messo in chiaro che ritengono che la leadership della coalizione debba spettare a loro.

“I risultati richiederanno che alcuni partiti riconsiderino il peso politico che meritano”, ha detto Asad al-Nasseri, un leader sadrista, ai fedeli presenti alla preghiera del venerdì nella loro roccaforte di Kufa.

Fin dal 2003, i sadristi hanno rifiutato qualsiasi contatto con i militari e con i diplomatici americani.

Giorni fa, un funzionario americano si è lamentato dicendo: “Sarebbe di aiuto se essi cambiassero la loro politica”.

Ma ciò che è un danno per l’America potrebbe non essere necessariamente un vantaggio per l’Iran. Con una chiara dimostrazione del potere che l’Iran esercita da queste parti, Tehran ha persuaso i sadristi ad unirsi alla coalizione del SIIC per le elezioni, anche se i due movimenti si erano combattuti nelle strade solo pochi anni prima. I due gruppi tuttora esprimono pubblicamente il loro antagonismo. Ma molti politici pensano che i sadristi,  a lungo considerati più nazionalisti di altri partiti religiosi sciiti, si dimostreranno meno arrendevoli nei confronti dell’Iran.

Sadr “non è l’interlocutore più affabile con cui l’Iran possa avere a che fare”, ha affermato il suddetto diplomatico americano.

Forse la cosa più sorprendente è l’abilità che il movimento ha dimostrato nel mobilitare i suoi sostenitori, gli sciiti, i cui sobborghi più poveri vanno ancora avanti senz’acqua per giorni. Alla preghiera del venerdì, e tramite volantini, gli organizzatori hanno ammonito i seguaci a non votare a favore dei candidati laici. Essi hanno insistito affinché i seguaci non disperdessero il loro voto tra diverse liste di candidati.

“Non dimenticate di votare per un solo candidato!”, si leggeva in un volantino.

Per un candidato, Hakim al-Zamili, un ex viceministro della Salute accusato da molti di avere guidato squadroni della morte durante la guerra civile, i votanti sono stati organizzati in 22 località. Per il momento, egli è il sesto candidato più votato a Baghdad, e sembra certo di ottenere un seggio.

“Congratulazioni!”, hanno gridato i fedeli mentre lo salutavano alla preghiera del venerdì a Sadr City. “Buona fortuna!”, gridavano altri, sporgendosi per baciare Zamili sulla guancia.

Egli ha contraccambiato ognuno di loro con un sorriso, un bacio, o una stretta di mano.

“Noi siamo il popolo”, ha detto. “Il resto dei partiti si basa su leader individuali. Noi siamo la forza del numero, e siamo emersi grazie alle elezioni”.

Anthony Shadid
è un giornalista americano di origini libanesi. E’ corrispondente da Baghdad per il New York Times.  Nel 2004 ha vinto il Premio Pulitzer per il giornalismo internazionale, per i suoi reportage sulla guerra irachena


The New York Times, (Traduzione a cura di Medarabnews)