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«Quantitativismo», «tecnomorfìa» e «universale uniformità» della società americana

di Alain de Benoist e Giorgio Locchi - 22/03/2010

Fonte: fattideuropa


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Quantitativo e tecnomorfia

Lo storico e sociologo Guglielmo Ferrero (1871-1943) aveva distinto due tipi di civiltà: le civiltà qualitative e le civiltà quantitative. Le prime subordinano il materiale allo spirituale; giudicano gli uomini e le cose in termini di qualità. Le seconde postulano una fondamentale uguaglianza di esseri, il che le conduce necessariamente ad un apprezzamento quantitativo dell'esistenza (se gli uomini sono uguali fra loro, nessuno ha intrinsecamente più qualità di un altro). Si può dire degli Stati Uniti che corrispondono, nell'ordine delle civiltà occidentali, a quel passaggio dal qualitativo al quantitativo indotto dalla Riforma (ritorno alla lettera e allo spirito egalitario della Bibbia) e dalla teoria dei «diritti naturali» (mito dell'eguaglianza messo in opera dalla mistica democratica).

Sottolineando che, dall'inizio del XIX secolo, «la peggior disgrazia che potesse toccare a un partito politico era una crisi economica, e (che) la più grave obiezione a una legge era che poteva risultare nociva agli affari», Henry Steele Commager aggiunge: «Tutto questo tendeva a dare una forma "quantitativa" al pensiero, e conduceva l'Americano a mettere pressappoco al di sopra di tutto una valutazione quantitativa. Quando domandava quanto valeva un uomo, voleva parlare del valore materiale, e si irritava di ogni altro sistema di apprezzamento. Anche la soluzione che proponeva a numerosi problemi era quantitativa, e che si trattasse dell'educazione, della democrazia o della guerra il trattamento attraverso i numeri era il rimedio sovrano». (Lo spirito americano, La Nuova Italia, Firenze 1952). Questo «trattamento con i numeri» si manifesta in America ad ogni istante, nella passione delle statistiche e dei bilanci, nell'abitudine a quantificare o ad indicare il valore commerciale degli oggetti più insignificanti, e persino nella presentazione di quante parole sono composti. Nel settore industriale, l'uomo d'affari americano non si interessa che alla produzione in serie. (Del resto l'ambiente americano non spinge alla produzione di oggetti di qualità, che sono mediocremente apprezzati da una clientela standardizzata, cui non piace avere quello che i vicini non hanno). Questa disposizione di spirito si trova anche nella «futurologia» americana, le cui estrapolazioni privilegiano i fattori materiali (che sono quantificabili) - e minimizzano i fattori umani (che non lo sono). Georg Picht, membro del comitato tedesco per l'educazione e la cultura, consigliere scientifico del governo di Bonn, dichiara: «Ai miei occhi uomini come Herman Kahn sono pericolosi. In che consiste la sua prospettiva? Kahn pensa di poter quantificare tutto. Pensa di poter accedere a un massimo di potere sulle cose attraverso un massimo di matematizzazione. Estrapola l'avvenire dai dati scientifici e tecnici attuali, senza preoccuparsi affatto delle forze sociali, politiche e morali che possono entrare in gioco. Insomma ha, secondo una moda recente, una confidenza cieca nei dati quantitativi che un ordinatore può inghiottire, senza interrogarsi su tutti i fattori umani preliminari che sconvolgono senza cessa le nostre previsioni. Ora, le analisi sembrano dimostrare che i grandi mutamenti politici e sociali dell'avvenire sfuggono alla matematizzazione e non possono essere tradotti in schede perforate».

Le forme americane di vita sono forme «tecnomorfie». La diffusione dell'american way of life comporta una lenta sostituzione del meccanico all'organico, una materializzazione dei rapporti sociali. La «civiltà americana» trasforma una società viva in una società meccanica. questa trasformazione è ineluttabile. L'America non può farne economia. In un paese il cui principio istitutivo è un principio di eterogeneità, il consenso sociale non può in effetti stabilirsi spontaneamente. Quando l'ideale è il melting pot, non può esserci unità né di lingua, né di razza, né di cultura. Insomma, l'unità non può fondarsi su un fattore umano. Essa si fonda allora di necessità su un fattore materiale, sulle cose, perché solo le cose sono comuni a tutti gli Americani: l'american way of life si basa così, obbligatoriamente, sul possesso dei medesimi beni costitutivi dello standing. Al tempo stesso, siccome nessun legame organico può associare in modo durevole individui venuti da ambienti umani troppo diversi (le differenze sono troppo grandi perché si possa stabilire un senso di «appartenenza collettiva»), i rapporti sociali risultano delle effimere associazioni, perché gli anelli che assicurano la coesione generale saltano tanto più in fretta quanto più in basso sono collocati. Invasi dalla «tecnomorfia», essi stessi ridotti allo stato di macchine, gli uomini sono «unificati» dal basso e divengono intercambiabili. Ben lungi dall'essere temuta, questa situazione è amata e persino ricercata: essa rassicura infatti individui che, senza di essa, avrebbero troppi motivi per accorgersi di non esistere come corpo sociale. Osserva Tocqueville: «Gli uomini possono essere fisicamente liberi, ma psicologicamente e spiritualmente schiavi».

«Quella universale uniformità»

Da ciò risulta l'immensa monotonia, l'uniformità assoluta della vita americana. In duecento anni gli Stati Uniti non sono mai arrivati a personalizzare le loro località. (Le sole eccezioni, come New Orleans o San Augustine, sono delle ex enclaves francesi o spagnole). «Chi conosce l'America, sa quanto è grande la similarità, la monotonia straordinaria dello scenario della vita», notava Andre Siegfried. In Main Street, Sinclair Lewis scrive: «I nove decimi delle città americane sono cori simili che è una noia mortale andare dall'una all'altra».

Il matematico André Lichnerowicz, professore al College de France annota: «Quando siete in un quartiere di una città americana, non sapete dove siete. Non potete sapere se siete a Seattle, a Chicago o a Baltimora: sino ad oggi l'Europa è riuscita a far sì che in quasi tutti i quartieri di una città sappiate dove siete. La felicità è vivere in un paese vario, e non ritrovare la stessa aria dappertutto. Quello che bisogna conservare in Europa è la varietà».

Questa spersonalizzazione dei luoghi facilita evidentemente le migrazioni interne e la mescolanza: spostandosi, alla stessa latitudine, a 2.000 chilometri di distanza, gli Americani possono avere ancora l'impressione di restare nello stesso luogo (o, più esattamente, di cambiare quartiere all'interno di una stessa città). La mobilità sociale corrisponde d'altronde a un'esigenza fondamentale dell'ideologia americana. Consente a ciascuno di spostarsi in continuazione per sfruttare nel migliore dei modi le proprie opportunità di «riuscita». La mobilità sociale «orizzontale» (geografica) appare così come una delle condizioni per la mobilità sociale «verticale» (professionale).

Carlyle, che aveva celebrato l'eroismo ed il culto degli eroi nella storia, cadde dalle nuvole quando scopri l'America. «Questa gente - dichiarò - con una rapidità di cui la storia non conosce altro esempio, ha introdotto nel mondo milioni di volte più noia di quanto il mondo non ne avesse ancora conosciuta - ed ecco sino ad oggi l'unico servigio che abbiano reso all'umanità!». Tocqueville, inneggiando alla democrazia americana, scrive: «Scorro con lo sguardo questa folla innumerevole composta di esseri simili, in cui nessuno si innalza e nessuno si abbassa. Lo spettacolo di questa universale uniformità mi rattrista e mi gela» (op. cit.).


La stessa monotonia nel campo dei costumi. Dalla metà del XIX secolo in America il conformismo è divenuto una virtù. Oggi regna da padrone incontestato. Questo paese in cui non si smette mai di parlare dell'«individuo» è il meno individualista che ci sia. Ogni personalità svapora nel fashion ideal, l'ideale della moda «that film is supposed to be good», questo film è buono (quindi bisogna andarlo a vedere). Gli Americani vivono in appartamenti singoli, ma per istallarvi lo stesso standard. Seguono tutti le stesse mode gli stessi sentimenti, si rivolgono d'istinto alle stesse volgarità, utilizzano le stesse formule (snappy sayings), ostentano gli stessi atteggiamenti (commercial smile). Fondamentalmente estroversi, hanno bisogno di altri per dissimulare il proprio vuoto interiore. (I don't know what to do with myself). «La necessità di vivere in abitazioni simili, di fare lo stesso genere lavoro, di servirsi delle medesime macchine, di leggere gli stessi giornali, si accompagna al desiderio di utilizzare lo stesso sapone, di mangiare la stessa cosa al breakfast, di ridere delle stesse facezie dette alla radio, di ammirare le stesse vedettes del cinema, di leggere gli stessi articoli delle riviste» (H. S. Commanger, op. cit.). Presso i giovani, la pratica, completamente ritualizzata, del dating è destinata principalmente a mostrare che «si è come gli altri», sussidiariamente, che automobile si ha e quanto si vale in dollari). Di conseguenza, gli Americani professano un disprezzo di fondo, misto ad una totale incomprensione, per ogni comportamento singolare, e la «singolarità» si definisce segnatamnente con l'esercizio di un mestiere considerato poco redditizio. Fra loro, come scrive Nietzsche, «ciascuno vuole la stessa cosa, tutti sono uguali, chiunque é di diverso sentimento se ne va di buon grado al manicomio» (Così parlò Zarathustra). Chi si scopre differente si stende sul divano dell'analyst o cerca una buona terapia di gruppo a meno che la società non gli assegni il ruolo del fuorilegge, il che, alla lunga, lo vota al pentimento. Capita lo stesso nel dominio religioso, in cui l'America si mostra altrettanto «intollerantemente tollerante»: credete a qualsiasi Dio, purché sia unico e di ascendenza biblica.

Tratto da Il male americano, di Giorgio Locchi e Alain de Benoist (1978)