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Crisi greca e dintorni

di Gianni Duchini - 23/03/2010

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Il  default del debito pubblico greco viene presentato come un problema di un paese, la Grecia, che non tocca minimamente Il Fmi (Fondo monetario Internazionale), semmai l’Unione europea, come se tutti i paesi europei non facessero parte dello stesso sistema occidentale a guida Usa.
Un semplice, e scontato, occultamento dei reali interessi del dominio Usa che ha saputo scaricare, nella recente grande crisi finanziaria, le proprie insolvenze dei mutui ipotecari sul sistema Europa, attraverso le mascherature delle ingegnerie finanziarie (derivati, subprime..). Grazie, soprattutto, al giogo imposto dal predominio politico Usa fin dalla II Guerra Mondiale e che a tutt’oggi, si è ramificato nel “vincolo (del debito pubblico) di Maastricht” entro cui in l’Unione europea fu confinata, dalla sua costituzione, quale recettore finale di uno scarico finanziario degli Usa, similmente ad una pattumiera, divenuta tale per i mastodontici e dispendiosi organismi  Istituzionali e finanziari europei, privi di reale autonomia politica. Così il Vecchio Continente non è in grado di contrastare la Fed (Banca Federale Usa), né, di intervenire con una certa efficacia nei recenti accordi (alquanto surreali) del “G20” tra i paesi delle maggiori macroeconomie  mondiali.

    In questi ultimi accordi si è convenuto di attuare politiche “non convenzionali” di crescita monetaria a bassi tassi dell’interesse e di massicci interventi pubblici finanziati con emissione di titoli pubblici. Una proposta che ripete lo scenario dei primi anni Duemila, “quando per rimediare allo scoppio della bolla del Nasdaq, la Fed tenne bassi i tassi e questo pose le premesse di una nuova bolla scoppiata tra il 2007 e il 2008”  con  un finale da panico, all’insegna di una crescita continua di debito pubblico e di disoccupazione.
    Su tutto questo aleggia il peso di una colpa sconveniente per la Grecia, come intendono attribuirla alcuni paesi, quali la Germania, legata alla  preoccupazione, come paese trainante dell’Europa, di caricarsi di cotanta zavorra greca. Ed anche qui qualcosa non quadra o non funziona, nel complesso sistema dell’Unione Europea: la Grecia ha effettuato le operazioni sul debito pubblico, di cui non ha registrato gli effetti sui contipubblici, perché le regole europee  lo consentivano e sono state cambiate solo dopo l’attuazione. Lo stesso trattato di Maastricht trovava la propria ispirazione da un’idea centrale in linea col paese dominante (Usa), secondo cui “il trasferimento delle sovranità monetarie nazionali alla Banca Centrale Europea (Bce) escludeva ogni condivisione dell’idea di unione politica.” Un’idea espressa chiaramente dai “padri promotori” (vedi il nostro salvatore della patria, Ciampi) secondo cui l’unificazione monetaria, tramite l’Euro, doveva realizzare a sua volta, con effetto di trascinamento monetario, il completamento dell’unificazione politica.
    Da ultimo, il nostro ineffabile governatore di Bankitalia Draghi, in risposta alle accuse rivolte da più parti di aver contribuito al dissesto greco, truccandone i conti del bilancio pubblico, nella sua qualità di rappresentante della Goldmann Sachs,  risponde  in modo sornione, non allontanando tale sospetto ma, al contrario, riconfermandolo nella sostanza, quando afferma, che non fece alcuna operazione con il governo greco, perché era troppo impegnato  a rilevare aziende e società private, per conto della  propria banca d’affari “con governi e funzionari governativi di vari paesi e sarebbe stato molto imbarazzante chiedere loro di entrare in affari con la Goldmann Sachs”. Niente di nuovo per il governatore di Bankitalia che nel ’92, già massimo dirigente in Europa della banca d’affari Usa, concordò con Prodi presidente dell’Iri  (sul noto piroscafo “Britannia”), la liquidazione di un intero sistema industriale pubblico italiano.